Cosa contiene la Maddalena?
“La fruibilità degli archivi manicomiali, non riguarda solo l’aspetto clinico ma anche quello storico, economico, sociologico, antropologico”
di Grazia della Volpe
Bando di vendita, riqualificazione, protocollo d’intesa, area omogenea F1, area omogenea G, speculatori, palazzine, concertazione, consiglio comunale aperto e partecipato e tanti altri termini propri della più verace attività politica dilagano sui giornali della carta stampata e del web, dilagano insinuandosi anche fra i meno interessati all’argomento, perchè oberati da tanto parlare, stimolano quegli animi sensibili ma magari sopiti dal torpore quasi misterico che ha avvolto per anni certi argomenti. Eppure sulla bilancia delle preoccupazioni per quella che, in tanto politichese, sarà o potrà essere la sorte della Maddalena, i piatti propendono nettamente verso quello che è l’immobile, verso quell’immenso contenitore, dalle potenzialità più svariate, che gola può fare a chi vuol speculare secondo la logica del capitale. Sull’altro piatto della bilancia invece c’è l’invisibile , quel contenuto che non rispondendo alle logiche del capitale diventa leggero, diventa Psychè. Ma quella Psychè è la vita di quei luoghi che per quei corridoi polverosi, murati in parte, ancora spira.
La psychè di quel luogo si concretizza nella immensa quantità di materiale cartaceo che testimonia la vita passata di quei corridoi, che nel 1871 contava 2169 “anime”, di cui oggi restano solo gli echi. Il patrimonio cartaceo di cui non si conosce la sorte, a fronte di una “riqualificazione” dell’area, conta circa 70000 unità archivistiche che coprono un arco di tempo che va dal 1813 (anno di fondazione del morocomio) al 1999 (anno della definitiva chiusura della struttura come esecutivo della legge Basaglia – n° 180/ 78) affiancate da un numero di cartelle cliniche pari a 35000, considerato che un copioso scarto fu effettuato nel 1935. Laconica è la testimonianza documentale della prima fase di vita dell’istituzione ma supplita dalla presenza di un registro che riporta tutti i “mattoidi” entrati in struttura sin dalla sua apertura. Il lavoro di ordinamento e di informatizzazione dell’archivio del manicomio,approdato alla ricostruzione degli ordinamenti archivistici susseguitisi negli anni, risponde a due esigenze funzionali alla custodia della memoria e alla creazione di reti sempre più allargate di consultazione. Ma il riordino è stato preceduto da un ben più faticoso nobile e sporco lavoro: il recupero del materiale cartaceo che nel corso del tempo e poi con la definitiva chiusura della struttura imperversava in condizioni di totale abbandono, in assoluto disordine e in ambienti spesso fatiscenti e umidi. Ad Aversa il dott. Nicola Cunto è stato pioniere di questa impresa, recuperando carte anche dalle pozze d’acqua e inseguito amorevolmente asciugate e rese poi fruibili. Il dott. Cunto è quello che il professore Bellavista chiamerebbe “un uomo d’amore” che con passione
difende quello che ha fatto rinascere in modo laborioso e non senza tentativi detrattori. riuscendo a creare un centro studi “Le reali case dei matti” che si avvale anche di una biblioteca con monografie e periodici che all’epoca facevano della realtà aversana una realtà non solo di reclusione ma anche di studio della malattia mentale, un lavoro svolto in sinergia con la competenza dell’archivista dott. Salvatore Misso e della professoressa Candida Carrino. Attraverso questo centro divenuto polo aggregatore, il dott. Cunto non fa politica ma parla con gli studiosi della materia, parla con chi, a semplice titolo volontario, vuol contribuire al recupero cartaceo, parla con chi propone idee per lo sviluppo dell’area, senza però separare l’idea di contenuto da quella di contenitore. Laddove quel contenuto e quel contenitore aversano, se i manicomi più importanti nel sud Italia erano Aversa, Napoli col Leonardo Bianchi e Nocera col Vittorio Emanuele II, vantava di essere non solo il primo fondato (decreto regio dell’ 11 marzo 1813) ma anche l’unico che ruotava nell’orbita francese foriera di tali provvedimenti ad uso sociale, essendo stato fondato proprio durante il decennio francese da Gioacchino Murat nel pieno del pensiero di Pinel, psichiatra francese precursore di Basaglia, secondo il quale il malato di mente andava estrapolato dal profilo dell’ emarginato sociale.
A fronte dell’incognita che oltre alla vegetazione avvolge la Maddalena, non lasciamo che scappino via le storie di Antonia , internata come pazza solo perchè adultera, la storia del brigante Musolino , che in epoca fascista il duce non volle far chiamare così perchè si rischiava confusione con i cognomi, non lasciamo scappare via le tante storie ancora da scoprire.