Giovedì 18 dicembre 2014, Teatro Elicantropo di Napoli La Monaca di Monza diGiovanni Testori In scena la vicenda di un’oppressione familiare e la manifestazione di come la violenza del potere possa annidarsi, prima che altrove, tra le mura domestiche.

La scelta di un autore come Giovanni Testori nasce dal forte desiderio di dare grande risalto alla parola.Una parola italiana, pura, fortemente letteraria, ma dotata di una forza carnale e sanguigna straordinaria, che assurge a linfa vitale dello spettacolo La Monaca di Monza, in scena da giovedì 18 dicembre 2014 alle ore 21.00 (in replica fino a domenica 21) al Teatro Elicantropo di Napoli.

L’allestimento, presentato da Compagnia (S)Blocco5, vede impegnati in scena e alla regia Yvonne Capece eWalter Cerrotta, coadiuvati dal disegno luci di Anna Merlo e le scene di Lorenzo Giossi.

Il rapporto carnale/sacro, che Testori ha con la “parola”,è stato fondamentale per la messa in scena di questo allestimento, orientandoil lavoro sulla sua Monaca di Monza, un personaggio amatissimo a partire da Manzoni, e che riesce,come poche altre figure, a rappresentare il binomio fede/peccato, ribellione/pentimento: punto nodale di tutto il suo corpus letterario.

Il debutto del testo, rappresentato molto raramente, risale al 1967, con la regia di Luchino Visconti e Lilla Brignone nei panni di Marianna de Leyva. Lo spettacolo fu accolto favorevolmente dal pubblico, grazie anche all’autorevolezza della Brignone, ma fu bersaglio di non poche polemiche, quando l’autore stesso, inizialmente, parlò di “tradimento” da parte di Visconti.

Anno 1591, Marianna de Leyva, figlia del conte Martino e di Virginia Maria Marino, divenne monaca assumendo il nome di Suor Virginia Maria. Vent’anni dopo, durante il processo che la vide coinvolta per concorso in omicidio della conversa Caterina Cassina da Meda, dichiarò di essere stata chiusa in monastero dai suoi, contro la propria volontà e di essere stata iniziata agli ordini sacri in modo non conforme alle regole. Fu accusato con lei il conte Gian Paolo Osio, suo amante da quasi dieci anni. Nel 1610 Suor Virginia fu murata viva in una cella larga due metri per tre, con un solo foro nella parete per ricevere cibo e aria. La condanna prevedeva che rimanesse rinchiusa per il resto della vita; ma suor Virginia riuscì a convincere il cardinale Federico Borromeo del suo pentimento e uscì dalla sua prigione tredici anni dopo.

«Dopo l’incontro con Alain Toubas, illustre erede di Testori – spiegano Walter Cerrotta e Yvonne Capece – e che sarà presente alle repliche napoletane, abbiamo avuto modo di operare sul testo, utilizzando nella prima parte anche Manzoni, in modo da renderlo rappresentabile da due attori.Abbiamo deciso di sviluppare un dialogo tra Suor Virginia (la Gertrude manzoniana) e i principali artefici della sua monacazione forzata e del suo calvario, dal carcere familiare a quello monastico fino a quello penale».

I personaggi si muovono in un universo mentale fatto di ricordi e reviviscenze.La scenografia scura, fatta di poche e semplici linee,tenta di restituire un non-luogo, un limbo nel quale volti e parole galleggiano, in cerca di una rivendicazione che dia senso al dolore e agli errori della vita.

La Monaca di Monza di Giovanni Testori

Napoli, Teatro Elicantropo – dal 18 al 21 dicembre 2014

Inizio delle rappresentazioni ore 21.00 (dal giovedì al sabato), ore 18.00 (domenica)

Info al 3491925942 (mattina), 081296640 (pomeriggio)email [email protected]

 

Da giovedì 18 a domenica 21 dicembre 2014

Napoli, Teatro Elicantropo

(repliche da giovedì a domenica)

Compagnia (S)Blocco5

presenta

La Monaca di Monza

di Giovanni Testori

interpretazione e regia

Yvonne Capece, Walter Cerrotta

disegno luci Anna Merlo

scene Lorenzo Giossi

durata della rappresentazione 75’ circa, senza intervallo

La scelta di un autore come Giovanni Testori nasce dal desiderio di dare grande risalto alla parola: una parola italiana, pura, fortemente letteraria ma dotata di una forza carnale e sanguigna straordinaria.

Il rapporto carnale/sacro che Testori ha con la “parola” ci ha affascinati e quindi spinti a lavorare sulla sua Monaca di Monza, un personaggio amatissimo a partire da Manzoni e che riesce — come poche altre figure — a rappresentare il binomio fede/peccato, ribellione/pentimento: punto nodale di tutto il suo corpus letterario.

Il testo è stato rappresentato molto di rado: il debutto risale al 1967 con la regia di Luchino Visconti e Lilla Brignone nei panni di Marianna de Leyva. Lo spettacolo fu accolto favorevolmente dal pubblico, grazie anche all’autorevolezza della Brignone, ma fu bersaglio di non poche polemiche quando l’autore stesso, inizialmente, parlò di “tradimento” da parte di Visconti.

1591: Marianna de Leyva, figlia del conte Martino e di Virginia Maria Marino, divenne monaca assumendo il nome di Suor Virginia Maria. Vent’anni dopo, durante il processo che la vide coinvolta per concorso in omicidio della conversa Caterina Cassina da Meda, dichiarò di essere stata chiusa in monastero dai suoi contro la propria volontà e di essere stata iniziata agli ordini sacri in modo non conforme alle regole. Fu accusato con lei il conte Gian Paolo Osio, suo amante da quasi dieci anni. Nel 1610 Suor Virginia fu murata viva in una cella larga due metri per tre, con un solo foro nella parete per ricevere cibo e aria. La condanna prevedeva che rimanesse rinchiusa per il resto della vita; ma suor Virginia riuscì a convincere il cardinale Federico Borromeo del suo pentimento e uscì dalla sua prigione tredici anni dopo. Fu il cardinale stesso, colpito dall’eccezionalità della vicenda e dal percorso di redenzione della monaca, a decidere di lasciarne la prima testimonianza scritta. Ad essa si ispireranno nel corso dei secoli il Ripamonti e, naturalmente, Alessandro Manzoni, che trasformò suor Virginia in una delle più famigerate e controverse icone letterarie di tutti i tempi.

Negli anni Sessanta vengono pubblicati per la prima volta gli atti integrali del processo a Marianna de Leyva, ed è a partire da questa pubblicazione che Giovanni Testori stende “La Monaca di Monza”. Testori sceglie il tema della “fanciulla malmonacata” — assai sviluppato da Dante in poi — per parlare del suo personale rapporto con il religioso, della dicotomia tra fede e pratica cattolica; un incessante dialogo tra spirito e corpo, esigenze della carne ed esigenze dell’anima.

Un evento che generò un caso storico e letterario esemplare. Il tormento di una “cristiana malmessa” — per citare Testori stesso — , i tentativi di evasione di una sposa di Cristo, per la quale il convento equivalse alla morte. L’ambivalenza fra amore/vita e dolore/morte. La soppressione della libertà di scelta in nome di una religione vissuta come una serie infinita di regole e pratiche rituali ormai prive del loro senso originario. Il monastero come prigione da subire e feudo su cui poter regnare. La negazione della carne schiacciata dal peso del peccato; carne che grida con violenza blasfema e disperata di essere salvata. Questi i punti di indagine dai quali siamo partiti per il nostro allestimento.

Dopo l’incontro con Alain Toubas, illustre erede di Testori (che sarà presente alle repliche napoletane), abbiamo avuto modo di operare sul testo (utilizzando nella prima parte anche Manzoni) in modo da renderlo rappresentabile da due attori: abbiamo deciso di sviluppare un dialogo tra Suor Virginia (la Gertrude manzoniana) e i principali artefici della sua monacazione forzata e del suo calvario dal carcere familiare a quello monastico fino a quello penale. I personaggi si muovono in un universo mentale fatto di ricordi e reviviscenze; la scenografia scura, fatta di poche e semplici linee — ciò che rimane, nel ricordo di Virginia, di un’intera vita vissuta tra panche ecclesiastiche e scranni da feudataria — vuole restituire un non-luogo, un limbo nel quale volti e parole galleggiano in cerca di una rivendicazione che dia senso al dolore e agli errori della vita. Parole, suoni, luci e musiche (tutte selezionate da un lasso di tempo che va dal 1570 fino al 1630, periodo nel quale si svolsero i fatti) vanno e vengono come echi di una verità che appare solo a lampi e continuamente scompare, abbandonando l’uomo nel silenzio del vuoto e del NIENTE.

Entrambi napoletani, ci siamo conosciuti al Teatro Elicantropo nel 2003 e proprio sotto la guida di Carlo Cerciello abbiamo recitato in numerosi suoi spettacoli: Il cielo di Palestina, Italietta, Genova ’01, Macbeth, Norway.today. A distanza di tanti anni siamo felici ed emozionati di presentare il primo lavoro della nostra compagnia (S)Blocco5 nel teatro dove abbiamo cominciato il nostro percorso artistico.

Yvonne Capece e Walter Cerrotta

Redazione

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