Napoli, cure palliative: nuovo decreto della Regione Campania. Soddisfatto il dottor Canzanella

Cure palliative in Campania, non più soli nel dolore: possibile! E’ questo il traguardo raggiunto con la firma apposta dal presidente della Giunta regionale, l’onorevole Stefano Caldoro, in qualità di Commissario ad Acta, al Decreto n. 22 del 10 marzo, ai sensi della Legge n. 38/10, che colma un grave ritardo normativo sulla medicina del dolore.

Particolare soddisfazione per la firma del Decreto è stata espressa dal dottor Sergio Canzanella, in qualità di Segretario Regionale della Federazione Associazione Volontariato in Oncologia e della Società Italiana Cure Palliative, esponente della Federazione Cure Palliative, di European Association Palliative Care e di European Cancer Patient Coalition, nonché componente della Commissione Regionale e dirigente dell’Associazione House Hospital onlus, che ha voluto sottolineare quanto segue:

Solo 20 persone su 100, in Regione Campania, sono a conoscenza dell’esistenza della terapia del dolore; al contrario, 80 su 100 ne ignorano l’esistenza. La fase terminale mette in crisi le relazioni di tali terapie. E’ questo, in sintesi, il quadro che emerge dai dati del Centro di Ascolto dell’Associazione House Hospital onlus. In generale, su un campione di circa 2.000 persone contattate, quelli che conoscono poco la terapia, ritengono che questo genere di cure sia rivolto a tutti i pazienti (35%), senza distinzioni rispetto alla patologia. Al contrario, tra le persone più informate prevale l’idea che essa sia rivolta prevalentemente ai malati cronici e a quelli terminali (36%); il 38% sempre degli informati risponde che le terapie sono rivolte solo ai malati terminali. Quanto alla conoscenza di centri e personale medico specializzato, l’85% del campione rivela di non avere notizia dell’esistenza di specialisti, l’80% di non conoscere ambulatori ad hoc per la terapia del dolore. A fronte di un 15% degli intervistati che ha invece conoscenza diretta di questa terapia, perché essi stessi o qualcuno della loro famiglia hanno utilizzato tali cure, si registra una quota doppia (24%) di potenziali pazienti: individui che a causa di un dolore cronico potrebbero essere interessati, se opportunamente informati, all’utilizzo di questa terapia. Qual è invece nella percezione comune, il peggior tormento? In caso di malattia grave, se si potesse scegliere di eliminare una delle sue conseguenze, la maggioranza del campione (30%) preferirebbe sottrarsi alla perdita dell’autosufficienza, giudicata la peggiore sofferenza. A questa seguono, nell’ordine, quella del dolore fisico (22%), quella dell’abbandono/solitudine (20%) e la depressione (18%). L’ansia viene indicata solo dal 5% del campione. Quanto alle reazioni personali registrate al contatto con la malattia grave, il 70% delle persone contattate dichiara di aver avuto un senso di impotenza, il 20% di aver pensato se capitasse a me non vorrei soffrire. Solo il 10% del campione risponde di aver provato fastidio. Combattere il dolore è da sempre un dovere etico e rappresenta una buona pratica di assistenza clinica. La Legge n. 38/10 impone a medici e infermieri l’obbligo di misurare e segnalare in cartella clinica le caratteristiche del dolore rilevato e la sua evoluzione, i farmaci prescritti utilizzati e i relativi dosaggi. Plauso al Presidente della Giunta Regionale, l’onorevole Stefano Caldoro, che già con il Decreto del Commissario ad Acta n. 128 del 10 ottobre 2012 aveva sancito il diritto ad una assistenza specifica e di qualità per i malati affetti da patologie inguaribili, mettendo in campo aspettative e speranze da parte dei malati e dei loro familiari, ma anche da parte dei molti volontari e professionisti che in questi anni con l’apertura di sette Hospice hanno animato un vero e proprio movimento culturale per la promozione delle cure palliative e medicina del dolore. Adesso bisogna combattere il dolore burocratico che scaturisce quando il malato e la famiglia sin dall’inizio della diagnosi o della disabilità, si ritrovano in una spirale burocratica fatta di code negli ospedali e negli ambulatori dei distretti sanitari, nelle sale d’aspetto, negli uffici per avviare pratiche di invalidità, d’accompagnamento, di fornitura di ausili e protesi, attese di mesi per eseguire indagini diagnostiche o per avere il consulto di uno specialista perché il cittadino non deve sentirsi più solo”.

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Redazione

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