Giffoni. Tom Felton e Luca Capuano ospiti del Giffoni Film Festival
Tom Felton si commuove nell’incontro con i giurati del Giffoni 2015: il ‘bullo’ Draco Malfoy si lascia travolgere dalle emozioni parlando con i ragazzi che hanno gremito la sala Truffaut e tra i quali non è mancato chi ha scelto di aspettarlo fin dalle prime ore del giorno prima cercando la posizione migliore nella piazza della Cittadella.
Durante la proiezione del video di benvenuto l’attore si è emozionato al punto da doversi interrompere più volte, dicendo di essere “sopraffatto da quest’accoglienza“: “Mi sembra tutto bizzarro e bellissimo allo stesso tempo. Non mi considero famoso, ma essere qui a Giffoni, manifestazione che ha fatto un lavoro eccezionale, è per me un onore indescrivibile. Vi avverto, se continuate a piangere inizio anch’io“. Detto fatto: occhi lucidi, voce rotta, battito accelerato, Felton ha dovuto riprendere fiato più volte. “Non sono solo io l’unico fortunato in questa sala. Tutti i ragazzi del Festival sono stati benedetti da quest’esperienza fuori dal comune“.
Nell’incontro con i giornalisti, invece, torna a fare il ‘duro’. “Avrei voluto uccidere io Lord Voldemort“, scherza con chi gli chiede cosa cambierebbe della saga di J.K. Rowling dopo che la stessa autrice ha dichiarato che, col senno di poi, avrebbe modificato qualcosa. “Per me è perfetta così com’è. Sarebbe come voler cambiare la favola di Jack e il fagiolo magico: ormai Harry Potter fa parte di noi“, dice l’attore 27enne che ha iniziato a interpretare il ruolo di Draco Malfoy a 13 anni. Difficile equilibrare gioco e lavoro per chi passa l’infanzia sul set, ma Felton si dice fortunato: “Rispetto ai miei colleghi ho avuto la possibilità di alternare scuola e Hogwarts e questo mi ha fatto restare con i piedi per terra“.
Intanto si gode un pò il sole del Sud, visto che sta girando un film tra Roma e la Puglia, Stratton, per la regia di Simon West. A gennaio 2016, invece, uscirà negli USA Risen, una sorta di detective story ambientata nel periodo post resurrezione di Gesù.
Tutto questo non sarebbe stato possibile senza quel provino “magico”: “Mi ha scelto il regista di Chris Columbus – spiega – e a lui devo tutto. Ma devo essere grato anche ai miei genitori, se mi son trovato al posto giusto al momento giusto. Mi hanno scelto per la mia faccia ma è il vostro affetto ad avermi guidato fino a qui“.
Elegante, come il personaggio che interpreta nella fiction Le tre rose di Eva, Luca Capuano sembra avere molti punti in comune con Edoardo Monforte: un tipo passionale ed imprevedibile, sempre pronto a cogliere l’attimo. Un carattere in linea con il tema del Giffoni Film Festival 2015, di cui è stato ospite oggi.
“Carpe Diem è il mio motto – ha confessato l’attore partenopeo – ma ovviamente la mia chiave di lettura non è quella del ‘godiamoci il momento e non pensiamo al domani’, anzi. Le occasioni vanno prese al volo per costruire il futuro, lo ripeto sempre anche ai miei due figli“. Nel futuro due progetti, distanti come lo sono Napoli, dove è nato, e Torino, dove ha studiato come attore. Il primo riguarda il teatro, dopo tanta tv: “Ho iniziato a solcare il palcoscenico per passione, non con l’idea di farne un mestiere. Il prossimo autunno spero di tornare in teatro con uno spettacolo a cui sto lavorando. Le lunghe serie tv sono un’ottima palestra, ma macinano tempo che, inevitabilmente, è sottratto alle quinte”.
Dalla ‘valigia dell’attore’ al cesto del perfetto “cuoco contadino”, come lo chef Pietro Parisi, socio in affari di Capuano, ama definirsi. “Abbiamo deciso di aprire insieme una piccola bottega a Roma. L’obiettivo è portare la semplicità dei prodotti della nostra terra in giro per il mondo”. Futuro, progetti e occasioni, come quelle che si presentano alla nuova generazione grazie al web: “Un cammino su cui l’Italia è arrivata tardi, a causa anche della paura di osare delle major, da cui la rete appunto è libera. Un web che mostra però una doppia faccia, dove l’accessibilità, a volte può significare anche perdita di qualità”.
«Al teatro e agli attori odierni manca il senso del rito, quella sana concentrazione che ti consente di entrare nel personaggio e raccontarne le dinamiche senza correre il rischio di portare la propria vita sul palcoscenico». Luca De Filippo non ha avuto nemmeno un attimo di esitazione e in un’ora carica di silenzi e occhi attenti ha raccontato ai ragazzi della Masterclass la sua storia umana e professionale con la placidità tipica di chi non ha più nulla da dimostrare. «La recitazione non è mai stata una scelta ma, fin dal momento in cui ho iniziato a calcare il palco con la compagnia paterna, ho avvertito il dovere di portare avanti una ricchissima tradizione familiare e, soprattutto, di esserne all’altezza senza apparire un privilegiato senza alcun merito reale».
Sessantenne sempre più simile all’indimenticato padre Eduardo, l’attore di origini napoletane impegnato fino a pochi mesi fa con lo spettacolo Sogno di una notte di mezza sbornia ha difeso l’ultimo mezzo democratico di intrattenimento e di spettacolo: «Sebbene la politica stia cercando a tutti i costi di rendere il teatro sempre più simile a una fabbrica, magari gestita da burocrati e preoccupata di soli numeri ed entrare, il palcoscenico continua a preservare ugualmente la sua magia e, in special modo, la sua oggettività. Fin quando, difatti, ci saranno degli attori e degli spettatori presenti nello stesso luogo e nel medesimo momento, le rappresentazioni teatrali non potranno permettersi di apparire falsate o faziose».
Un suggerimento professionale, infine, prima di congedarsi dal giovane pubblico che lo ha insignito del premio Giffoni Experience Award: «A differenza dei musicisti e dei pittori, gli attori non hanno modo di dimostrare oggettivamente il loro talento. L’unica forza rimane il volto, e quello richiede anni di gavetta e di esperienza per poter dimostrare la veridicità di ogni ruolo. A chi vuole perseguire questa professione, pertanto, non rimane altro che lo studio e la vita vera».