Napoli. Cantone: “Le curve del San Paolo in mano alla camorra”

Raffaele-CantoneCi sono tanti tifosi perbene nelle curve del San Paolo, ma «l’organizzazione di quei settori è in mano alla camorra, che lì pesca la sua manovalanza». Parola di Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, pm che indagò sui rapporti tra cosche e calcio.

E che ora spiega: «Il problema del San Paolo è di ordine pubblico, non sportivo. Va vietato l’accesso ai condannati per camorra anche in primo grado, estendendo il Daspo ai reati di criminalità organizzata seppur non in maniera generalizzata. All’interno dello stadio si crea un mix esplosivo: tante persone in strada non si trovano mai, e lì una rissa per motivi di camorra si può trasformare in una carneficina».

Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, il magistrato che da pm indagò sulle infiltrazioni della camorra nel mondo del calcio: che accade nelle curve dello stadio San Paolo di Napoli?
«Accade che l’organizzazione di quei settori — l’organizzazione, non i tifosi — è di fatto in mano alla camorra, che all’interno dello stadio pesca la sua manovalanza».

Il procuratore Giovanni Colangelo, però, dice che chiudere le curve non servirebbe.
«Ha perfettamente ragione. Il problema non è sportivo, ma di ordine pubblico. Ciò detto, se siamo di fronte a quella che anche lui definisce l’emergenza del momento, è necessario adottare delle contromisure».

Quali?
«Credo che sia indispensabile vietare l’accesso allo stadio ai condannati per camorra, anche in primo grado».

E come?
«Estendendo il Daspo ai reati di criminalità organizzata. Non in maniera automatica e generalizzata, beninteso. Ma, nella valutazione del soggetto, deve essere un elemento da aggiungere ai reati da stadio».

Raffaele Cantone — classe ’63, in magistratura dal ’91, pm in prima linea contro il clan dei Casalesi, poi giudice al Massimario della Cassazione, oggi alla guida dell’Anticorruzione — la faccia sporca del pallone l’ha prima indagata e poi raccontata in un libro (Football clan) nel quale spiega perché «il calcio è diventato lo sport più amato dalle mafie». Correva l’anno 2012, e già all’epoca il magistrato lanciava l’allarme sugli stadi come serbatoio cui i boss attingevano per reclutare nuove leve.

Cantone, rispetto a tre anni fa il rischio è aumentato?
«Certo. Se fosse vero che le tensioni camorristiche si sono spostate sugli spalti, come del resto conferma lo stesso procuratore di Napoli, significherebbe che il livello di pericolosità si è alzato a dismisura».

Perché?
«Una rissa tra delinquenti all’interno dello stadio per motivi di camorra può trasformarsi in una carneficina. E rischiano di essere coinvolti anche quelli che non c’entrano».

Si potrebbe obiettare, come fa Colangelo, che in fin dei conti i camorristi la violenza la esportano ovunque.
«È verissimo. Ma è vero anche che all’interno dello stadio si crea un mix esplosivo difficilmente riscontrabile in altre situazioni. Tante persone in una strada non le trovi mai. E bisogna tener conto anche dell’esaltazione, della manzoniana suggestione della folla».

C’è il rischio che lo stadio finisca in mano ai clan?
«Non bisogna generalizzare. All’interno di una curva ci sono tantissime persone perbene. È l’organizzazione ad essere in mano alla camorra, non i tifosi. E non da ora».

Cioè?
«Le Teste Matte, uno dei gruppi delle curve, sono del 1985, forse dell’86. E le indagini sui rapporti tra ultras e clan oggi sono sentenze passate in giudicato. Quando scrissi delle infiltrazioni mi diedero dell’esagerato, oggi constato con amarezza che quell’analisi è ancora più attuale, vista la crisi della camorra tradizionale».

Qual è il pericolo?
«I violenti dello stadio possono essere la manovalanza del futuro per la camorra. Gli affiliati ideali per le cosche di ragazzini sono quelli abituati a usare le mani e tirare cocaina».

Lei — a proposito delle immagini che ritraevano il boss Antonio Lorusso a bordo campo o il padrino Domenico Pagano accanto a un ignaro Marek Hamsik — ha sostenuto che la camorra utilizza il calcio come strumento di consenso. È ciò che accade anche in curva?
«Sono le facce diverse di una stessa medaglia. Il calcio è lo sport più trasversale dal punto di vista sociale, perché allo stadio ci vanno tutti, dal premier a Genny la carogna, me compreso. Ma la partita è anche uno dei pochissimi momenti di grande coinvolgimento popolare, ed è questo che la camorra sfrutta. Lì, su quegli spalti, tra tantissima gente sana, c’è anche chi può essere utilizzato dal crimine come manovalanza e diventare strumento di potere per imporsi nei territori. E i clan, allo stadio, con la scusa del calcio organizzano omicidi e strategie criminali».

A proposito di «Genny la carogna», cioè Gennaro De Tommaso. Un anno dopo la trattativa dell’Olimpico è tornato in scena chiedendo spiegazioni dopo la rissa al San Paolo. Eppure aveva avuto il Daspo e una condanna a due anni e due mesi, sebbene sia libero. Cos’è che non va?
«Che sia libero non mi meraviglia. È stato condannato per resistenza a pubblico ufficiale, reato per il quale credo che non ci sia neppure un detenuto in Italia, e non è che deve andare in cella solo perché si chiama Genny ’a carogna. Quanto al Daspo, in linea generale credo che in quegli ambienti si tratti di un provvedimento che paradossalmente finisce con il rafforzare la figura degli ultras. Episodi come il caso dell’Olimpico durante la finale di Coppa Italia del 3 maggio 2014, nella loro mentalità, ti fanno diventare leader, se non lo sei già. Il punto vero, però, è un altro».

Quale?
«Qui si procede per allarmi, emergenze, interventi sporadici. Ma, fino ad ora, non si è mai affrontato il problema stadio trattandolo per quel che è. Una questione di ordine pubblico, non di sport».

(Corriere.it)

Redazione

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