73 anni fa la battaglia di El Alamein “mancò la fortuna ma non il valore”
1942: la battaglia di El Alamein e il massacro degli italiani
L’armata italo-tedesca guidata dal feldmaresciallo Rommel fu sconfitta dalle truppe britanniche del generale Montgomery
“Mancò la fortuna, non il valore”. Queste parole accolgono i visitatori a poco distanza dal sacrario di El Alamein, in arabo “le due bandiere”, nome che passò alla Storia per indicare una delle più violenti battaglie della Seconda guerra mondiale. La sconfitta delle forze italo-tedesche guidate dalla “volpe del deserto”, Erwin Rommel, contro gli inglesi del generale Montgomery segnò i destini del fronte nordafricano.
fonte: http://www.arsbellica.it
Battaglia di El Alamein
23 ottobre – 4 novembre 1942
Ad El Alamein sopraffatto dalla schiacciante superiorità inglese, Rommel, grazie al sacrificio italiano, riuscirà a portare in salvo le truppe motorizzate. Dovrà, dopo una ritirata di 2.000 km condotta con grande abilità, riaccendere la battaglia in Tunisia.
indice
- Gli avversari
- Gli antecedenti
- Dalla battaglia di movimento alla battaglia di posizione
- L’88 Flak
- Il fronte italo-tedesco ad El Alamein
- Il campo di battaglia e gli schieramenti
- La battaglia di El Alamein
- Il sacrificio dell'”Ariete” ad El Alamein
- La ritirata da El Alamein
- La fine della Folgore
- Il sacrario di El Alamein
- Le conseguenze
- Petrolio e vecchia Europa
- Se avesse vinto la “Volpe del deserto”?
EL ALAMEIN
Gli avversari
Erwin Johannes Eugen Rommel (1891 – 1944)
Nacque a Heidenheim nello stato del Württemberg. Secondo i voleri del padre, nel 1910 si arruolò nel 124° Reggimento di Fanteria come ufficiale cadetto. Durante la prima guerra mondiale, Rommel prestò servizio nel corpo degli Alpen Korps in Francia, sul fronte rumeno e italiano. Venne ferito tre volte e premiato con la Croce di Ferro di prima e seconda classe. Dopo aver combattuto nella battaglia di Caporetto e nella battaglia di Longarone in cui fece 9000 prigionieri, fu il più giovane militare a ricevere la più alta onorificenza tedesca, la “Blauer Max” (Pour le Mérite).
Reduce dalla Grande Guerra, fu comandante di reggimento e istruttore alla Scuola di Fanterie di Dresda (1929-1933) e all’Accademia di Guerra di Potsdam (1935-1938). Nel 1938, Colonnello, per le sue innovative idee sull’uso dei carri armati, ottenne il comando dell’Accademia di Guerra di Wiener Neustadt. Poco dopo fu posto al comando del battaglione di protezione personale di Adolf Hitler. Nell’agosto 1939 fu promosso a Generale di divisione poco prima dell’invasione della Polonia.
Scoppiata la Seconda guerra mondiale, partecipò dapprima con successo alla campagna di Francia al comando di una delle divisioni che sfondarono nella Francia del nord aggirando la Linea Maginot ed avanzando sino ad arrivare sulla Manica, poi gli venne affidato il comando della 7ª Panzer-Division per l’invasione. Quindi venne nominato, da Hitler in persona, comandante delle truppe tedesche in Africa e inviato in Libia nel febbraio del 1941 in aiuto delle truppe italiane, formando così i celebri Deutsches Afrika Korps e ottenendo vittorie strabilianti, tanto da essere soprannominato “La volpe del deserto” (“Wüstenfuchs“).
Audacissimo ed imprevedibile, insofferente dei vincoli gerarchici e dei problemi tecnico-logistici, le sue qualità si manifestavano soprattutto in fase offensiva e controffensiva: riusciva sempre a colpire quando e dove il nemico meno se lo aspettava.
Poco interessato a costruire con i comandi alleati e connazionali un clima di collaborazione, di carattere spigoloso, autoritario ed inflessibile, tutti i comandanti e i semplici soldati nemici o tedeschi, riconobbero immediatamente in lui il genio o un esempio da seguire. In combattimento utilizzava le forze corazzate come flotte nell’oceano sabbioso del deserto, realizzando profonde e rapide penetrazioni e altrettanto rapide conversioni aggiranti, senza mai curarsi dei fianchi dell’avanzata e dei rifornimenti. I generali italiani, impreparati alla guerra moderna, ne restarono disorientati, rimproverandolo per le tecniche poco ortodosse da lui utilizzate; quelli nemici, spesso dotati di forze superiori furono più volte duramente sconfitti. L’offensiva di Rommel spinse le forze britanniche fuori dalla Libia e, dopo la caduta di Tobruk, oltre il confine egiziano sulla strada verso Alessandria. L’offensiva italo-tedesca però, a causa della scarsità dei rifornimenti, si esaurì ad El Alamein, appena un centinaio di chilometri da Alessandria. Tornato in Germania, dove il 22 giugno 1942 ottenne la carica di Feldmaresciallo, chiese più volte l’invio di nuove truppe ad El Alamein. Ma Hitler (che considerava secondario il fronte africano) non accolse le richieste.
Rientrato in Africa, Rommel non poté evitare la sconfitta ad El Alamein, ma seppe condurre, con grande abilità, una ritirata di circa 2.000 km, dall’Egitto alla Tunisia, ove la lotta riarse per altri cinque mesi, ottenendo il suo ultimo successo sugli americani, nella battaglia del passo Kasserine.
Tornato in Germania nel marzo del 1943, Rommel rimase per qualche tempo inattivo. In seguito ebbe altri incarichi di alta responsabilità, come l’organizzazione delle difese del Vallo Atlantico.
Frequentando gli ufficiali anti-hitleriani si convinse della realtà criminale del regime e, dopo lo sbarco in Normandia, il 18 luglio 1944 la sua autovettura venne mitragliata da un aereo che alcuni storici affermano appartenente alla Luftwaffe e mandato sotto ordine diretto di Hitler, Rommel fu ferito e dovette essere ricoverato. Malgrado fosse in ospedale in Germania al momento dell’attentato al Fuhrer del 20 luglio 1944, venne accusato di avervi in qualche modo partecipato. Arrestato e costretto a scegliere tra il processo alla corte marziale per alto tradimento ed il suicidio, si tolse la vita con una fiala di cianuro il 14 ottobre 1944 per scongiurare crudeli rappresaglie contro la moglie ed il figlio.
Sir Bernard Law Montgomery, 1° visconte Montgomery di Alamein (1887 – 1976)
Nasce a Kennington Oval (Londra) il 17 novembre 1887. Di origini irlandesi trascorse gran parte della sua infanzia in Tasmania (Australia), dove il padre era vescovo anglicano. Rientrato in Irlanda con la famiglia, nel 1908 iniziò la carriera militare in Gran Bretagna al Royal Military College di Sandhurst da cui uscirà col grado di Sottotenente. Partecipa alla Prima Guerra Mondiale con il grado di Capitano nel Corpo di spedizione britannico in Francia e in Belgio; ferito due volte in combattimento nel 1914 fu decorato. Dopo la guerra militò in Renania, Irlanda, Egitto e India. Nel 1934 fu nominato Colonnello e solo nel 1937 divenne Generale, poi, l’anno successivo, comandò una divisione in Palestina e Transgiordania.
All’inizio della seconda guerra era comandante della 3ª Divisione di fanteria, con la quale combatté in Francia durante l’attacco tedesco e fu poi costretto a reimbarcare tutti i suoi uomini a Dunkerque. Fino al 1942 ha il comando del settore sud-est dell’Inghilterra. Alla metà dello stesso anno, per ordine del primo ministro inglese Churchill, gli fu affidato il comando dell’VIII Armata in Egitto, quando la spinta offensiva delle armate italo-tedesche si era ormai esaurita ad El Alamein. Qui tra i mesi di ottobre e novembre raggiunge la gloria, sconfiggendo nella battaglia di El Alamein Rommel e la Deutsches Afrika Korps.
Metodico e minuzioso organizzatore, profondo conoscitore dei metodi e della mentalità dei militari tedeschi, analizzati quando era di stanza in Renania, per molti storici non fu un vero e proprio stratega d’alto livello. Ad El Alamein Montgomery vinse grazie al fatto che Rommel si trovava già da tempo in una situazione logistico-organizzativa difficile a causa della mancanza di rifornimenti, e al fatto che si trovò ad operare con un enorme vantaggio essendo le forze alleate in forte superiorità numerica. Montgomery inoltre aveva il vantaggio di poter disporre di informazioni riguardanti i movimenti di Rommel e dei suoi rifornimenti grazie ad Ultra, il sistema inglese che decriptava i messaggi tedeschi trasmessi con il sistema Enigma. Nonostante ciò ad El Alamein le truppe dell’Asse riuscirono a fermare per alcuni giorni le truppe di Montgomery, secondo alcuni, anche per la sua tendenza a voler operare in condizioni di netta superiorità numerica per assicurarsi la vittoria piuttosto che tentare mosse azzardate.
Nel luglio del 1943 partecipa allo sbarco in Sicilia e a dicembre viene richiamato in patria, per essere posto al comando dello SHAEFF, l’organo interalleato che organizza lo sbarco in Normandia, a cui poi partecipa dopo essere stato nominato Maresciallo, col 21° Corpo d’Armata; con questo ruolo partecipò all’ultima fase della guerra sul fronte occidentale.
Dopo la guerra nel 1946 viene insignito del titolo di Visconte di El Alamein e nominato Capo di Stato Maggiore Imperiale. Divenuto famoso anche per il suo tipico cappotto che darà il via alla moda, appunto, del “montgomery”, comandò il corpo di occupazione britannico in Germania e fu vice comandante supremo di tutte le forze NATO fino al 1958. Muore a Inlington Mill, presso Alton nell’Hampshire, il 24 marzo del 1976.
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Gli antecedenti
Il 1942 fu l’anno delle ultime illusioni di vittoria per le nazioni dell’Asse. Il primo semestre vide ancora qualche successo delle forze italo-tedesche e giapponesi, ma poi si svolsero su tre fronti, in tre continenti diversi, altrettante battaglie risolutive: il tentato attacco all’isola di Midway nel Pacifico (3-5 giugno); Stalingrado (settembre 1942 – febbraio 1943); El Alamein (ottobre – novembre 1942).
Non appena dichiarata guerra alla Francia e all’Inghilterra, l’Italia avrebbe dovuto attaccare l’isola di Malta che, con i suoi aereoporti ed il munito porto, costituiva una vera e propria minaccia per tutti i traffici italiani, militari o mercantili, con la colonia nord-africana. Nonostante ciò, l’attacco aereo fu sferrato solo nel 1942, quando era ormai evidente che nessuna vittoria sarebbe stata possibile in Africa se non si fosse rimosso quell’ostacolo ai rifornimenti. Contemporaneamente, si avviò la preparazione dell'”Operazione C3″, il vero e proprio assalto all’isola, che avrebbe dovuto essere effettuato con aviolanci di paracadutisti, sbarchi preliminari di incursori, veri e propri sbarchi in grande stile di mezzi pesanti e truppe d’occupazione immediatamente dopo la ripresa dell’offensiva sulla piazzaforte di Tobruk.
Intanto in Africa in giugno tutto era ormai predisposto per la nuova offensiva italo-tedesca. Guidate da Rommel, le divisioni dell’Asse conquistarono Tobruk, unico importante porto della Cirenaica, dopo diciassette mesi di occupazione britannica, infliggendo all’VIII Armata inglese la perdita di 5 generali, 30.000 uomini e migliaia di tonnellate di carburante, viveri, munizioni e materiale bellico. Rommel insistette allora presso Hitler perché fosse rinviata la presa di Malta, e tutte le energie fossero concentrate per sostenere l’avanzata della sua Armata verso Alessandria, approfittando del caos totale in cui versava l’esercito avversario: poche settimane ancora, e prima il canale di Suez, poi il Medio Oriente con le sue riserve petrolifere, potevano cadere nelle mani italo-tedesche. Il Fuhrer, spinto dai brillanti successi di Rommel, convinse allora Mussolini a sospendere l'”Operazione C3″, ma non accolse le richieste sull’invio di nuove truppe (fu inviata solo la 164ª divisione di supporto), decretando nei fatti la condanna all’annientamento dell’Asse in Nordafrica.
Entro il 28 giugno le avanguardie dell’Asse avevano abbondantemente superato il confine egiziano, sconfitto di nuovo i Britannici a Marsa Matruh e raggiunto la località di Fuka. In poco più di un mese Rommel aveva percorso combattendo circa 650 km di deserto e fatti circa 40.000 prigionieri. Davanti a lui, prima di Alessandria, si trovava adesso soltanto la stazione ferroviaria di El Alamein (“le due bandiere”) e un appena abbozzato complesso di difese dove si affrettavano a trovare rifugio tutte le disperse unità inglesi, in precipitosa ritirata dalla Libia, ed i rinforzi provenienti dal Medio Oriente. Ad El Alamein Rommel, però, disponeva ormai solo di 7.500 fanti e 85 carri armati tedeschi, 5.550 fanti, 30 carri e 200 cannoni italiani; tuttavia, decise di perservare negli attacchi, nella convinzione di avere di fronte a se soltanto i resti malridotti di unità in fuga.
Il 25 luglio 1941 aveva preso il comando dell’VIII Armata britannica il generale Claude Auchinleck che, non condividendo il pessimismo degli altri generali inglesi, aveva scelto proprio El Alamein come centro di resistenza ad oltranza. La linea di difesa prescelta per El Alamein bloccava entrambe le strade e la ferrovia per Alessandria, era lunga 64 km in direzione nord-sud e andava dal mare alla sabbiosa depressione di El-Qattara, ove il terreno e le temperature infernali rendevano impossibile il transito ai mezzi corazzati: per la prima volta dunque, Rommel non avrebbe potuto aggirare il fianco meridionale delle posizioni nemiche.
EL ALAMEIN
Dalla battaglia di movimento a quella di posizione
- Gen. Claude Auchinleck
Per tutto luglio, in quella conosciuta come la prima battaglia di El Alamein, si susseguirono attacchi dell’Asse e contrattacchi britannici, nessuno dei quali decisivo, e senza un chiaro vincitore.
Il 1 luglio l’Afrika Korps attaccò ma la resistenza della linea britannica nei pressi di El Alamein fece arrestare l’avanzata delle forze dell’Asse.
Il 2 luglio Rommel, volendo sfondare nei pressi di El Alamein, concentrò le sue forze a nord. Auchinleck fallì un contrattacco al centro delle linee dell’Asse, ma ebbe più successo a sud, contro le truppe italiane. Rommel decise quindi di riorganizzarsi e di difendere la linea conquistata.
Il 3 luglio la 132ª divisione corazzata “Ariete” diede prova di grande coraggio meritandosi la stima del feldmaresciallo e degli stessi avversari. Con una trentina di carri e circa 600 bersaglieri, l’Ariete, attaccò il dispositivo difensivo britannico, senza attendere che la 101ª divisione motorizzata “Trieste” le coprisse il fianco destro ma, contrattaccata da tutti e due i lati, fu costretta a ripiegare sulle linee della divisione Pavia.
Il 10 luglio Auchinleck attaccò il settore nord a Tel el Eisa prendendo un migliaio di prigionieri e il successivo contrattacco di Rommel non ottenne grossi risultati.
Il 14 luglio e il 21 luglio Auchinleck attaccò ancora al centro, sul crinale di Ruweisat, ma nessuna delle due battaglie ebbe successo e costò la perdita di 700 uomini.
Altri due attacchi vennero lanciati il 27 luglio, uno fallimentare a Tel el Eisa, l’altro, disastroso, a Miteiriya. I campi minati non erano stati ripuliti e la fanteria venne lasciata, senza il sostegno dell’artiglieria, a fronteggiare il contrattacco tedesco.
Il 31 luglio Auchinleck ordinò la fine dell’offensiva e il rafforzamento delle difese per contrastare una massiccia controffensiva, che riteneva ormai imminente.
La battaglia di El Alamein finì in stallo, tuttavia dal punto di vista strategico l’arresto dell’avanzata delle truppe dell’Asse verso l’Egitto può considerarsi un successo britannico.
Il fronte di El Alamein si andava consolidando, ma, mentre l’VIII Armata continuava a ricevere rinforzi, l’Asse al contrario si andava indebolendo. La cessazione dei bombardamenti su Malta faceva sentire il suo effetto: i convogli italiani di rifornimento sbarcavano a Bengasi e dovevano percorrere circa 1.100 km di strada per raggiungere il fronte ad El Alamein, spesso sotto il bombardamento dell’aviazione inglese. A metà agosto Rommel era ancora privo di 16.000 uomini, 210 carri armati e 1.500 autocarri che gli erano stati promessi, e per sopravvivere doveva ricorrere alle ormai esigue scorte che si era procurato a Tobruk. Inoltre, Auchinleck, per decisione di Churchill, era stato sostituito l’8 agosto dal generale Montgomery, che avrebbe portato la sconfitta dell’Asse nella seconda battaglia di El Alamein.
- El Alamein – Carri italiani M13/40 avanzano
Alla metà di agosto Rommel, nonostante il suo pessimismo, decise di riprendere l’iniziativa prima che il nemico potesse consolidare ancora di più le sue già solide difese. L’occasione poteva essere data dal plenilunio nella notte fra il 30 e il 31 agosto: la pallida luce lunare avrebbe favorito i suoi genieri ed i suoi carri nel superamento dei campi minati. Una volta guadagnate le distese desertiche, la “volpe” Rommel avrebbe di nuovo fatto valere la sua superiorità di manovra. L’azione, iniziata con un finto attacco a nord e l’attacco principale a sud, in direzione di Alam el Halfa, mostrò subito i suoi limiti: il 7 settembre le forze dell’Asse dovettero ritornare battute ai punti di partenza, dopo aver inferto e subito perdite pressapoco uguali. Ormai non restava che fortificare le proprie posizioni in attesa dell’inevitabile contrattacco britannico e dei rinforzi promessi dai quartieri generali dell’Asse.
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L’88 Flak
- 88 mm Flak alla Krupp, 1917
Questa famosa arma controcarro tedesca di 88 mm fu uno dei cannoni di maggior successo nella Seconda Guerra Mondiale. Fece la sua comparsa nel corso della Prima Guerra Mondiale, quando i cannoni di questo calibro venivano utilizzati come contraerea. Era montato su un rimorchio a 4 ruote appositamente attrezzato con due travi laterali azionate da martinetti idraulici che venivano posizionate per assicurare la piattaforma. Entrarono in servizio nel 1916 prodotti da due stabilimenti, la Krupp di Essen e la Rheinmetall-Borsig con il nome di Geschutze 8,8 Kw Flak (abbreviazione per FLUG ABWEHR KANNONE).
Con il Trattato di Versailles del 1919, alla Krupp e alla Rheinmetall furono imposti limiti sulla produzione di cannoni. Al fine di eludere le restrizioni da parte della Commissione Disarmo, nel 1921, la Krupp fece un accordo con la Bofors in Svezia per continuare a sviluppare i cannoni. Nel 1928, la squadra della Krupp al lavoro in Svezia, aveva sviluppato un nuovo cannone di 88 mm della lunghezza di 53 calibri, 4,664 m (anche se era indicato come L56), con un raffinato meccanismo di otturazione a movimento orizzontale semiautomatico, attivato da una molla messa in tensione dal rinculo del pezzo.
La produzione del nuovo 88 mm iniziò direttamente in Germania nel 1933, momento in cui il regime nazista denunciò la maggior parte delle restrizioni del Trattato di Versailles, con la designazione di 8,8 Flak 18, e fu in dotazione al reparto della Luftwaffe inviato in appoggio alle truppe nazionaliste nella guerra civile spagnola, 1936-39. Qui fu impiegato principalmente nel ruolo antiaereo per cui era stato progettato, poi, dal 1937, fu considerato utile anche nel ruolo anticarro. Nonostante questi risultati non tutti erano convinti della soluzione di utilizzare cannoni contraerei come anticarro, tuttavia si continuarono a studiare proiettili perforanti per questa arma.
- Flak 18 in azione
Il Flak 18 aveva una canna in due pezzi, l’affusto era a crociera (kreuzlafette) su un piedistallo relativamente alto, per permettere il movimento dell’otturatore anche alla massima elevazione, aveva un brandeggio di 360° con il movimento in elevazione da -3° a 85°, permettendo quindi di impiegare il cannone anche per bersagli terrestri. In ordine di marcia due travi della crociera erano sollevate e le altre erano messe su carrelli a ruota singola. Piuttosto pesante ed ingombrante il cannone, in seguito all’esperienza di combattimento in Spagna, dimostrò una notevole precisione sia nel tiro terrestre che in quello contraerei, ma la canna dopo un certo numero di tiri andava sostituita completamente e inoltre la messa in batteria si mostrò difficoltosa e comunque richiedeva tempi lunghi.
Nel 1936-37, quindi, furono apportati alcuni miglioramenti. Il nuovo modello, l’8,8 Flak 36, aveva la canna costruita in tre sezioni separate intercambiabili, tenute insieme da un manicotto esterno, facilitando quindi la sostituzione delle canne usurate dal tiro e risparmiando così sull’impiego sia di mano d’opera sia di materiale nel corso della vita del cannone. La piattaforma a crociera fu conservata, ma ne fu aumentata la stabilità e furono modificati i carrelli, che ora divennero intercambiabili (Sonderanhaenger 201), il movimento poteva avvenire con la canna rivolta sia in avanti che indietro, e il sistema di montaggio facilitato accorciava i tempi richiesti per mettere il pezzo in batteria. Ma il miglioramento più importante con i carrelli Sonderanhaenger 201, era dovuto alla possibilità di sparare a bersagli terrestri anche in ordine di marcia. Dal 1938 i carrelli Sonderanhaenger 201 furono montati anche sui Flak 18 e, dal 1940, sia il Flak 18 che il Flak 36 furono dotati di una scudatura fissata all’affusto del pezzo, per proteggere l’equipaggio dal trio delle armi leggere quando veniva utilizzato contro bersagli a terra. I modelli più recenti di Flak 36 furono dotati di carrelli con sistema di montaggio migliorato e ruote gemellari, il Sonderanhaenger 202.
- Flak 36 su Sonderanhaenger 202
In ordine di marcia su Sonderanhaenger 201, il Flak 18 e 36, pesava 7 tonnellate. Per trainarlo erano richiesti trattori particolarmente potenti, il veicolo maggiormente utilizzato fu l’SdKfz 7, semicingolato da 8t costruito dalla Krauss-Maffei. Aveva il motore sistemato davanti con un corto albero di trasmissione che azionava una ruota motrice anteriore e il treno di rotolamento a 5 ruote sfalsate con struttura a raggiera, 3 file di posti a sedere per circa una dozzina di uomini e dei cassoni nella parte posteriore per le munizioni e le attrezzature.
L’equipaggio era di 11 uomini con un numero di munizioni che variava a seconda dell’impiego.
I proiettili erano tutti a cartoccio proietto (corpo unico) del tipo ad alto esplosivo (HE), che pesava 9,1 kg, perforante (AP), del peso di 9,5 kg, o fumogeno. La cadenza di tiro era di 15-20 colpi al minuto con una velocità iniziale del proiettile alla bocca di 820 m/s con HE e 800 m/s con AP.
Sia il Flak 18 che il Flak 36 raggiungevano una quota massima di 10700 m e la massima gittata nel tiro terrestre era di 16200 m, quando utilizzati come arma anticarro potevano impegnare bersagli con il tiro nel primo arco (tiro diretto) fino a 3000 m (era in grado di perforare qualsiasi corazza alleata entro i 2.500 metri di distanza).
- SdKfz7 con FlaK 18 ad El Alamein
I Flak 18 e 36 venivano impiegati principalmente come cannoni antiaerei, ma il 21 maggio 1940, nei pressi di Arras in Francia, la 7ª Panzerdivision, comandata da Rommel, fu attaccata da due divisioni di fanteria e una brigata corazzata inglesi. I carri Matilda britannici ebbero presto la meglio sui carri tedeschi PzKpfw 38(t). Rommel ordinò allora di mettere in posizione gli “88” che ebbero ragione delle corazze dei carri britannici. Da quel momento l’utilità degli “88” nell’uso anticarro non fu più messa in discussione e Rommel continuò ad usare gli “88” come arma anticarro per tutta la Campagna del Nord Africa compresa El Alamein.
In Africa i Flak 18 e 36 esordirono in occasione della difesa del Passo Halfaya, una località posta al confine tra Egitto e Libia, durante la battaglia di Sollum, giugno 1941. Con tiro a corto raggio da postazioni difensive, distrussero 123 su 238 carri armati inglesi, un carro britannico abbattuto ogni 20 colpi di “88” sparati. Da allora in poi, l’Halfaya Pass venne chiamato dai carristi inglesi, con un evidente gioco di parole,Hellfire Pass, ossia «il passo del fuoco d’inferno».
- Messa in batteria di un FlaK 36 ad El Alamein
Fino alla fine della guerra gli “88” Flak 18 e 36 furono utilizzati su tutti i fronti anche come cannoni anticarro, nonostante nel corso della guerra furono sviluppati modelli anticarro. Infatti i modelli Flak 18 e Flak 36 sono stati quelli prodotti in maggior numero di tutta la serie “88”.
Simile al Flak 36, il Flak 37 è stato prodotto specificatamente come cannone antiaereo, dotato di un nuovo sistema di trasmissione dati elettromeccanico, denominato Ubertragungser 37, adatto solo per bersagli aerei.
Più importante di tutti il Flak 41, sviluppato e prodotto dalla Rheinmetall-Borsig come un vero cannone multiuso anticarro/antiaereo. Il meccanismo di recupero e di ammortizzazione del rinculo fu rivisto, spostando la culla in posizione orizzontale e sostituendo il piedistallo con un perno per abbassare l’altezza del pezzo su una piattaforma a crociera più ampia di quella del Flak 36, i carrelli a ruote gemellari Sonderanhaenger 202 erano di serie. La canna fu allungata a 72 calibri, cioè 6,336 m (anche se era definito L74) e rafforzata, costruita in tre parti tenute unite da un manicotto. La cadenza di tiro era di 20 colpi al minuto con una velocità iniziale del proiettile alla bocca di 945 m/s. Il Flak 41 entrò in servizio nel 1943.
- Pak 43
Anche la Krupp era impegnata nello sviluppo di un cannone multiuso da 88 mm, ma l’uscita del Flak 41 della Rheinmetall portò alla decisone di mantenere il modello Krupp specificamente come anticarro (Pak). Denominato Pak 43, il cannone Krupp era sempre su affusto a crociera, ma con una capacità di tiro in elevazione ridotta, da -8 a 40° e una riduzione dell’altezza del piedistallo. Il meccanismo dell’otturatore era sempre a scorrimento orizzontale e quello di accensione era elettrico, per potere inserire controlli di sicurezza sul fuoco. All’estremità della bocca era adattato un freno di bocca a due uscite. La canna era lunga a 71 calibri, 6,2 m, con una velocità iniziale del proiettile alla bocca di 1129 m/s, poteva penetrare 130 mm di armatura a 1500 metri. Anche il Pak 43 entrò in servizio nel 1943.
Per ridurre i tempi di messa in batteria e di ripristino dell’ordine di marcia fu abbandonato l’affusto cruciforme e adottato l’affusto a gambe divaricabili del 105 mm le FH 18/40 con due sole ruote a gommatura piena e le due gambe con due vomeri per ridurre il rinculo. Il Pak 43/41 fu anche dotato di un grande scudo di protezione dei serventi composto da più parti e raggiungeva un peso di 4355 kg.
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Il fronte italo-tedesco ad El Alamein
Il fronte italo-tedesco ad El Alamein si estendeva da Mersa el Hamra, sulla costa, al piccolo rilievo di Qaret el Himeimat, a sud, sovrastante la profonda depressione di El-Qattara. Tra questi due punti estremi il terreno non offriva alcun appiglio tattico, né caratteristiche sufficienti all’identificazione dei luoghi, se si eccettuano alcuni piccoli rilievi o creste, come quella di Miteirya, dove più violento si sviluppò l’attacco, corrispondenti a ondulazioni del terreno, e le centinaia di cartelli innalzati su una rete di piste polverose dai nomi fantasiosi, che consentivano agli uomini di orientarsi.
- Piazzamento mine ad El Alamein
I campi minati dell’Asse, disposti a “gabbie” per una profondità di 5-7 km, coprivano tutto il fronte di El Alamein formando una gigantesca doppia “S”. In alcuni punti si prolungavano ben all’interno delle retrovie amiche per offrire una protezione laterale, nelle eventualità di sfondamenti e conversioni aggiranti operate dal nemico. La prima linea di fanteria, denominata di “sicurezza e allarme”, coincideva con il margine anteriore dei campi minati; dietro vi era una zona di sicurezza fitta di mine e trappole e sotto il tiro delle artiglierie. Infine a 5-7 km dalla linea di allarme, la vera e propria linea di resistenza, profonda 2-3 km. Ancora indietro si trovavano schierate le artiglierie di grosso calibro a lunga gittata, e dopo di queste le riserve mobili corazzate e motorizzate, distribuite in larghi spazi per sottrarle all’offesa aerea avversaria.
La linea di sicurezza e allarme, costituita da piccoli capisaldi male e poco rifornibili, esposti all’artiglieria avversaria doveva contrastare l’azione delle pattuglie nemiche che di notte esploravano i campi minati per disegnarne le mappe o, addirittura, per preparare i varchi che poi sarebbero stati utilizzati per l’offensiva generale.
- Postazione Italiana ad El Alamein
La zona di resistenza era organizzata in capisaldi di battaglione. A ciascun battaglione di fanti (in media 500 uomini se italiano) era affidato un tratto di fronte di solito pari a circa 3 km. Questo sistema difensivo era il massimo che si potesse realizzare in quel momento ad El Alamein. La sua profondità e dispersione consentiva di sottrarre efficacia all’aviazione ed artiglieria avversaria; i campi minati avrebbero dato il tempo di far affluire le riserve nei settori minacciati; il sacrificio ed il logorio dei pochi uomini posti a presidio della linea di sicurezza e allarme avrebbe preservato i loro commilitoni più arretrati, consentendo loro di riprendere forza e vigore in tempo per la battaglia finale. Ma gli italiani sarebbero stati capaci di contrastare con il loro insufficiente armamento, i carri armati inglesi? A questo interrogativo corrispose una decisione che ancora oggi fa molto discutere: le linee di resistenza e sicurezza avrebbero visto interposti reparti italiani e reparti tedeschi, cosicché i primi potessero avvalersi delle migliori armi anticarro germaniche. Ciò darà luogo, nei momenti più convulsi dei combattimenti, a gravi problemi per i reparti italiani appiedati, che spesso rimarranno con i fianchi scoperti all’attacco del nemico a causa di non preannunciati arretramenti dei reparti motorizzati tedeschi confinanti.
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Il campo di battaglia e gli schieramenti
- El Alamein – Il campo di battaglia e gli schieramenti iniziali
Ad El Alamein enormi distese di campi minati, Teufelgarten (“giardino del diavolo”), vennero frapposti tra i due schieramenti; artiglierie e carri armati, interrati e mimetizzati, presero posizione alle spalle delle fanterie di prima linea, anche esse interrate e protette da cortine di filo spinato e trappole anticarro. Ancora più indietro, a distanza di sicurezza dalle artiglierie nemiche, sorsero improvvisate piste di decollo, magazzini e depositi di carburanti, impianti di potabilizzazione delle acque, ospedali. Le immobili distese desertiche di El Alamein erano ora animate da un’incessante attività di preparazione per una battaglia di logoramento e quantità.
Alla vigilia della battaglia di El Alamein l’Armata italiana era formata da 3 Corpi, due di fanteria (X e XXI) ed uno corazzato (XX), per complessive cinque divisioni di fanteria (17ª Pavia, 27ª Brescia, 185ª Folgore, 25ª Bologna, 102ª Trento), due corazzate (132ª Ariete e 133ª Littorio) e una motorizzata (101ª Trieste); il Deutsches Afrika Korps era costituito da due divisioni corazzate (15ª e 21ª Panzerdivision), una leggera motocorazzata (90ª Leichte division), una di fanteria (164ª Infanteriedivision), una brigata paracadutisti (22°,Ramcke, dal nome del suo comandante) e diversi altri reparti di supporto tra cui quello equipaggiato con i pezzi da 88mm. Queste forze erano supportate da 340 aerei, di cui 110 tedeschi.
Lo schieramento lungo la linea di El Alamein vedeva a settentrione, dal mare all’altura di Miteiriya, la 164ª divisione di fanteria tedesca (gen. Lungershausen) e la 102ª Divisione di Fanteria “Trento” (gen. Masina); al centro, dal Miteiriya a Deir el Munassib, la Brigata paracadutisti Ramcke (gen. Ramcke), la 25ª Divisione di Fanteria “Bologna” (gen. Gloria) e la 27ª Divisione di Fanteria “Brescia” (gen. Brunetto Brunetti); a sud, da Deir el Munassib alla depressione di El-Qattara, la 17ª Divisione di Fanteria “Pavia” (gen. Nazareno Scattaglia) e la 185ª Divisione Paracadutisti “Folgore” (gen. Enrico Frattini).
Dietro questa prima linea c’erano le forze corazzate mobili: a nord la 15ª Panzer (gen. Von Vaerst) e la 133ª Divisione Corazzata “Littorio” (gen. Bitossi); al centro la 21ª Panzer (gen. Von Randow); a sud la 132ª Divisione Corazzata “Ariete” (gen. Arena).
In posizioni arretrate lungo la costa, erano schierate la 90ª leggera tedesca (gen. Von Sponeck), la 101ª Divisione Motorizzata “Trieste” (gen. La Ferla) e 19ª la divisione Flak (gen. Burckhardt) della Luftwaffe, ripartita in batterie assegnate alle tre divisioni combattenti.
L’intero schieramento ad El Alamein comprendeva in totale (ma i numeri variano secondo le fonti): 104.000 uomini (circa 55.000 italiani), 751 pezzi di artiglieria, 522 pezzi anticarro, 535 carri armati (242 tedeschi, 293 italiani), poche decine di autoblindo.
- El Alamein – M3 Grant
L’VIII armata britannica ad El Alamein, formata da inglesi, francesi, greci, australiani, neozelandesi, indiani e sudafricani era costituita dal X corpo d’armata corazzato (gen. Herbert Lumsden), comprensivo di due divisioni corazzate al completo (1ª e 10ª) e di una con pochi reparti (8ª) posta in seconda schiera, dal XIII corpo d’armata (gen. Brian Horrocks), costituito dalla 7ª divisione corazzata e la 44ª e 50ª di fanteria, schierate sul braccio meridionale del fronte; dal XXX corpo d’armata, costituito da cinque divisioni di fanteria; da diversi supporti d’armata di consistenza equivalente ad un’altra divisione motocorazzata, concentrati nel settore settentrionale, dove si sarebbero portati i principali attacchi.
In totale: circa 200.000 uomini, 1200 carri armati, 400 autoblindo, 939 pezzi di artiglieria, 1200 aerei da caccia e da bombardamento.
Già da queste cifre la sproporzione delle forze ad El Alamein è alquanto evidente, se poi consideriamo anche la qualità degli armamenti la situazione peggiora ulteriormente.
- El Alamein – Crusader II
Le formazioni corazzate alleate ad El Alamein disponevano di 265 carri medi M4 Sherman(32t, cannone da 75mm e corazza 15/76mm), 226 carri medi M3 Grant (27t, 2 cannoni, un 75mm più un 37mm, corazza 12/50mm) e 147 carri leggeri M3 Stuart (13t, cannone da 37mm e corazza 15/43mm) di costruzione americana, a cui si aggiungevano 269 carri incrociatoreCrusader II (20t, cannone da 40mm e corazza 14/50mm), 132 carri incrociatore Crusader III(20t, cannone da 57mm e corazza 14/50mm), 203 carri per fanteria Valentine III (18t, cannone da 40mm e corazza 8/60mm) e 6 carri per fanteria Matilda II (27t, cannone da 40mm e corazza 20/78mm) inglesi.
I 535 carri dell’Asse ad El Alamein, comprendevano 239 carri medi M13/40 e M14/41 (14t, cannone da 47mm e corazza 6/42), 20 carri leggeri L6/40 (7t, cannone 20mm e corazza 6/30mm) italiani e 31 carri leggeri Pzkfw II (10t, cannone da 20mm e corazza 5/35mm) tedeschi, nettamente inferiori ai carri Sherman e Grant di costruzione americana ma anche ai Crusader inglesi, mentre reggevano appena il confronto gli 85 carri medi Pzkfw III Ausf. J(23t, cannone 50mm L/42 e corazza 16/50mm) e gli 88 carri medi Pzkfw III Ausf. J¹ (23t, cannone 50mm L/60 e corazza 16/50mm).
- El Alamein – Semovente 75/18 M41
Gli unici mezzi validi ad El Alamein erano i 34 semoventi 75/18 M41 (15t, cannone 75/18mm e corazza 8/50mm) delle divisioni corazzate Ariete e Littorio, che si dimostrarono estremamente efficaci contro le corazze dei carri Sherman e Grant, e, da parte tedesca, erano superiori ai carri nemici i 30 carri medi Pzkfw IV Ausf. F2(24t, cannone 75mm L43 e corazza 20/60mm) e gli 8 carri medi Pzkfw IV Ausf. F (22t, cannone 75mm L24 e corazza 20/50mm).
Per quanto riguarda i cannoni anticarro, ad El Alamein gli italiani disponevano del superato pezzo 47/32 “elefantino” e i tedeschi dell’altrettanto inefficace 50mm Pak 38. Gli unici pezzi di rilievo erano il cannone 88 FlaK, vero terrore dei carri nemici, il 76,2mm Pak 36(r) e il cannone italiano 90/53, il miglior pezzo contraerei pesante italiano, affidabile e potente, utilizzato anche come pezzo anticarro (analogamente all’88 tedesco). Gli inglesi ad El Alamein erano dotati dell’ottimo pezzo da 57mm entrato in servizio proprio nell’estate del ’42, l’Ordnance QF 6-pounder. L’artiglieria nemica era quantitativamente e qualitativamente nettamente superiore, considerando anche che la maggior parte dell’artiglieria italiana allineava ancora vecchi cannoni risalenti alla prima guerra mondiale.
- El Alamein – Pzkfw III Ausf. J
Il 22 settembre Rommel tornò in Germania per curarsi un’infezione nasale e per l’aggravarsi di disturbi al fegato, lasciando il comando al generale Georg Stumme, un esperto di truppe corazzate. Rommel passò anche per Roma, chiedendo l’invio ad El Alamein di rifornimenti e truppe in aiuto, senza ottenerli. Intanto Montgomery preparava la sua offensiva ad El Alamein per il plenilunio del 23 ottobre, quasi in concomitanza con l'”Operazione Torch“, lo sbarco anglo-americano in Marocco e Algeria con l’obiettivo di aprire un secondo fronte alle spalle delle forze dell’Asse in Nord Africa, che il comando USA aveva fissato per l’8 novembre. Le truppe Alleate ad El Alamein avrebbero dovuto superare i campi minati in sole 10 ore, ossia prima dell’alba, per poter evitare di essere ingabbiate ed annientate dal tiro incrociato dei difensori. Inoltre, i carri di Rommel avrebbero sicuramente atteso quelli inglesi all’uscita dei varchi creati attraverso i campi minati, cogliendoli, dunque, non schierati in formazione da battaglia o, ancor peggio, disordinati dal tiro dell’artiglieria avversaria.
- El Alamein – Pulizia dei campi minati
Il generale inglese adottò, quindi, una soluzione semplice: gli Alleati ad El Alamein non avrebbero combattuto, come si era fatto in precedenza, nel tentativo di cercare ed annientare i carri nemici, ma si dovevano creare dei corridoi sufficientemente larghi lungo i campi minati, in modo tale da conquistare lo spazio necessario per permettere alle divisioni corazzate di far valere la propria superiorità.
Montgomery preparò quindi le sue truppe a questo scopo e istruì accuratamente le artiglierie per fornire loro il massimo appoggio possibile.
Inoltre mise in atto una serie di diversivi nei mesi precedenti la battaglia di El Alamein per sviare il comando nemico; venne fabbricato un falso oleodotto per far pensare a un attacco non imminente, e molto più a sud del punto prestabilito, in più, dei finti carri armati, costruiti con sagome di compensato attaccate alle jeep, vennero dislocati a sud, mentre i carri posizionati a nord, furono camuffati come camion da trasporto.
EL ALAMEIN
La battaglia di El Alamein
- El Alamein – Operazione Lightfoot
All’offensiva britannica si diede il nome di Operazione Lightfoot (“piede leggero”): l’azione prevedeva una manovra a tenaglia condotta da fanteria e forze corazzate lanciando due attacchi frontali a nord e a sud della linea del fronte di El Alamein. Le cinque divisioni di fanterie del XXX corpo, protette da un intensissmo fuoco di sbarramento delle artiglierie, dovevano avanzare nel settore nord del fronte di El Alamein rompendo il primo schieramento difensivo (fase di rottura), poi aprire due corridoi nei campi minati ampi circa 10 km in corrispondenza di Kidney Ridge e Miteiriya (fase di demolizione), per permettere alle divisioni corazzate del X Corpo il passaggio oltre le prime linee dell’Asse. Allo stesso modo, contemporaneamente e con lo stesso schema, la 44ª Divisione di fanteria avrebbe attaccato a sud del fronte di El Alamein, nel settore compreso tra Qaret el Himeimat e Deir el Munassib in corrispondenza del centro del settore tenuto dalla “Folgore”, aprendo i varchi attraverso cui lanciare i carri della 7ª Divisione corazzata, con lo scopo di tenervi agganciate le locali riserve corazzate di Rommel, impedendo quindi a queste di convergere verso il fronte nord dove l’attacco sarebbe stato più intenso.
Una volta sopraffatta la linea di resistenza, le divisioni di fanteria si sarebbero aperte per schierare i loro pezzi controcarro in attesa della reazione delle forze mobili italo-tedesche. Respinti o logorati i carri dell’Asse, queste ultime sarebbero state raggiunte e superate dalle ondate di carri Sherman e Grantdelle divisioni corazzate, lanciate nei corridoi per travolgere in campo aperto e in profondità le unità italo-tedesche rimanenti (fase di irruzione). Secondo Montgomery la battaglia di El Alamein, se tutto fosse andato secondo i piani, sarebbe stata decisa in pochi giorni, durò invece ben più del previsto, assumendo un andamento del tutto diverso e senza cogliere il successo sperato, sarà quindi necessaria una seconda operazione.
L’offensiva ad El Alamein scattò puntuale la notte del 23 ottobre.
- El Alamein – Inglesi avanzano verso la linea di fuoco
Alle 20:40, centinaia di cannoni iniziarono il tiro sulla prima linea italo-tedesca dell’intero fronte scatenando l’inferno, il fronte di El Alamein si illuminò per tutta la sua ampiezza, un fuoco martellante, incessante, la terra tremava sotto i colpi che battevano il fronte distruggendo tutto, demolendo le postazioni e gli appostamenti, interrompendo la rete di collegamenti a filo, annullando ogni possibilità di rifornimento e di sgombero dei feriti. Le artiglierie dell’Asse effettuarono solo un ridotto fuoco di controartiglieria per risparmiare le munizioni che scarseggiavano, vedevano avvicinarsi sempre più la cortina di fuoco prodotta dal nemico mentre gli uomini sulla prima linea attendevano nelle buche l’immancabile avvio dell’assalto della fanteria nemica. Dopo un quarto d’ora gli uomini delle fanterie inglesi uscivano dalle loro buche ed avanzavano verso il punto in cui i colpi andavano ad infrangersi ed esplodere, e, alle 21:00 circa, arrivavano a contatto con quanto rimaneva dei capisaldi avanzati.
Nel settore nord la 9ª Divisione australiana, gli scozzesi della 51ª, i neozelandesi della 2ª, la 1ª Divisione sudafricana e la 4ª indiana si scontrano con le postazioni avanzate della 164ª Divisione di fanteria tedesca e della 102ª Divisione “Trento”. Dietro di loro il rombo assordante dei motori di circa 500 carri armati, in attesa che i genieri aprano i varchi. L’attacco permise una prima penetrazione dei carri della 1ª e 10ª divisione corazzata all’interno del dispositivo difensivo ma un pronto contrattacco della “Trento”, da parte del III battaglione del 61° Reggimento, appoggiato dai cannoni del I e III gruppo del 46° Reggimento, riuscì a bloccare l’offensiva e la forzatura si fermò a tre chilometri dalla linea difensiva.
A sud invece, dove le artiglierie della “Folgore” risposero immediatamente al fuoco, la fanteria della 44ª Divisione inglese, col supporto dei carri della 7ª riuscì a forzare in alcuni punti ma la loro avanzata fu duramente contrastata dall’azione degli avamposti della “Folgore” che resistettero tutta la notte fino ad essere completamente distrutti, così sia i mezzi corazzati sia le truppe attaccanti rimasero bloccati in mezzo ai campi minati.
- El Alamein – Linea Inglese
Al mattino del 24 ottobre Montgomery non poteva certamente essere soddisfatto sull’andamento dell’attacco ad El Alamein: malgrado qualche piccolo successo il grosso delle sue forze era ancora bloccato davanti ai campi minati antistanti lo schieramento difensivo. Da parte dell’Asse vennero quindi lanciati una serie di contrattacchi per ristabilire la linea del fronte di El Alamein.
A sud all’alba il 5° battaglione parà contrattaccava le forze penetrate nella notte, le respingeva e rioccupava le proprie posizioni.
A nord anche la “Littorio” e la 15ª panzer contrattaccano le infiltrazioni nemiche insieme alla 164ª e alla “Trento”.
Alle 15:00 ad El Alamein l’attacco inglese riprendeva a nord, preceduto dal solito fuoco delle artiglierie, riuscendo a progredire solo limitatamente. A sud invece, verso le 18.00, con il supporto di alcuni carri della 21ª Panzer e della “Ariete”, la “Folgore” ristabilì anche il settore centrale del suo fronte. Nel settore di Dier el Munassib, un pugno di paracadutisti agli ordini del tenente colonello Marescotti Ruspoli sferrò un secondo contrattacco per ristabilire definitivamente la situazione sul proprio fronte ma l’azione riuscì solo parzialmente ed al prezzo di pesanti perdite, nello scontro perse la vita lo stesso Ruspoli. In quelle ore cadde anche il generale Stumme, stroncato da un’infarto mentre la sua vettura era finita sotto il fuoco nemico e il generale von Thoma prese il comando delle forze dell’Asse ad El Alamein.
Nella notte, verso le 22:30, la 10ª divisione corazzata riprende l’attacco in corrispondenza del corridoio più a sud nel settore tenuto dalla divisione “Trento”, e allo stesso tempo un nuovo attacco viene sferrato contro la “Folgore”.
- Carta topografica usata da Rommel a El Alamein
La mattina del 25 ottobre la situazione che si era delineata ad El Alamein vedeva a nord tre brigate corazzate inglesi che avevano superato i campi minati e si erano attestate davanti alla linea di resistenza, al centro, davanti ai settori della “Bologna” e della “Brescia” le posizioni erano rimaste pressochè inalterate, mentre a sud l’attacco inglese non era riuscito a praticare alcuna breccia.
L’offensiva britannica di El Alamein riprese. A nord un violento attacco britannico puntò a superare l’altura del Kidney Ridge ma la reazione italo-tedesca costrinse le truppe attaccanti a ripiegare, con forti perdite da ambo le parti.
A sud i caposaldi tenuti dalla 11ª e dalla 12ª compagnia della “Folgore” su Dier el Munassib, vennero attaccati due volte ma riuscirono comunque a respingere il nemico. Durante la notte l’11ª compagnia, investita da ogni lato, resisteva sino all’esaurimento delle munizioni, contrassaltando con bombe a mano e all’arma bianca, e alle 4 del mattino del 26 resistevano ancora. La quasi totalità dei paracadutisti era caduta sulle postazioni con in testa il proprio comandante, il capitano Costantino Ruspoli, fratello del tenente colonnello caduto il giorno precedente, ma ancora una volta l’attacco inglese non era riuscito.
Intanto Rommel, non appena gli venne comunicato l’inizio dell’offensiva inglese ad El Alamein, era immediatamente partito per il fronte africano e, alle ore 23:25 del 25 ottobre, tutti i reparti dell’Asse sul fronte di El Alamein ricevettero il messaggio «Ho ripreso il comando della Panzerarmee – Rommel».
Il 26 gli Alleati ad El Alamein avevano perso 6.200 uomini contro i 2.500 dell’Asse, ma mentre Rommel aveva solo 370 carri armati pronti all’azione, Montgomery ne aveva ancora più di 900.
Il fallimento dell’offensiva a sud, dove gli attacchi contro la “Folgore” erano stati tutti respinti, le forti perdite subite e il fatto che non si era ancora verificata la rottura del fronte di El Alamein, necessaria, secondo i piani, entro la notte del 24, indussero Montgomery a sospendere le operazioni nel settore sud ed a dirigere tutte le sue forze in un attacco nel settore nord ove la difesa aveva parzialmente ceduto. Quindi rallentò momentaneamente il ritmo delle operazioni, per riorganizzare le forze e far affluire le nuove riserve soprattutto nel settore nord, lui personalmente avrebbe curato lo spostamento e la riorganizzazzione, in circa 36 ore, dei 60.000 uomini e delle migliaia di automezzi ormai accalcatisi nel saliente prodotto da Lightfoot.
Dall’altra parte Rommel, preoccupato per l’affondamento di due cisterne di carburante e convinto che lo sforzo principale degli Alleati si sarebbe esercitato a nord del fronte di El Alamein, decise di muovere una parte delle sue riserve corazzate nella zona di Sidi Abd el Rahaman. L’intera 90ª leggera, la 21ª Panzer ed alcuni elementi dell'”Ariete” si misero in marcia verso il saliente scavato dall’attacco britannico, la “Trieste”, si sarebbe schierata tra la 90ª ed il mare.
Montgomery ordinò agli australiani di attaccare con continuità il settore costiero, da sud verso nord, per tenere occupati i comandi dell’Asse.
- El Alamein – Attacco degli Australiani e riorganizzazione britannica
Nel corso della giornata però l’azione riprese, Montgomery voleva comunque tenere occupati i comandi dell’Asse. Nel settore nord del fronte di El Alamein un attacco degli australiani, da sud verso nord, eliminò alcuni centri di fuoco del 125° fanteria e della “Trento”, riuscendo ad impadronirsi della quota 28, mentre gli scozzesi della 51ª divisione occupavano il Kidney Ridge. Questi due successi tattici materializzavano per gli inglesi, sia pure con notevole ritardo, la coclusione della “fase di rottura”. Mentre sul fronte meridionale di El Alamein, ancora una volta l’attacco inglese portato dalla 44ª divisione inglese venne fermato nei pressi di Deir el Munassib dai paracadutisti della “Folgore”.
Nella notte un gruppo di CR 42 condusse alcune azioni di attacco sia contro le postazioni occupate dal nemico, sia contro il traffico ferroviario e stradale e sui concentramenti di truppe nella zona della stazione di Alamein.
Il giorno dopo, giunte in posizione la 90ª leggera e la 21ª Panzer, Rommel scatenò il suo primo grande contrattacco con l’appoggio delle forze aeree. L’attacco sferrato simultaneamente contro gli australiani e contro gli scozzesi fu un disastro: 43 CR 42, insieme a numerosi MC 202 ed ME 109 tedeschi, attaccarono con mitragliamento e bombe, sia la quota 28 che il Kidney Ridge, ma la loro azione fu duramente contrastata da grosse formazioni di caccia britannici; a terra, prima l’intervento di 90 bombardieri alleati, poi i concentramenti dell’artiglieria nemica, infine il fuoco diretto di carri armati e cannoni anticarro inglesi, impedirono ogni progressione e le colonne d’attacco dovettero ripiegare, dopo aver subito forti perdite in uomini e mezzi. L’attacco era servito solo ad impoverire ulteriormente le già misere scorte di munizioni e carburanti.
Quella sera Rommel, convintosi che le sue unità ad El Alamein non fossero oramai più in grado né di respingere gli avversari né di far fronte a nuovi attacchi, pensò di far ripiegare i reparti su posizioni più arretrate.
- El Alamein – Panzer III J in movimento
Quindi chiamò il quartier generale del Fuhrer per esporre la situazione di El Alamein e chiedere rinforzi consistenti e rapidi. Ma l’attenzione dei potenti era tutta rivolta a Stalingrado: a Rommel ad El Alamein non si concesse neanche un reggimento di fanteria che in quel momento era inutilizzato a Creta, gli fu anzi ordinato di mantenere a qualunque costo l’attuale fronte. Perciò non fu possibile un arretramento della linea di El Alamein, anche perchè la pressione avversaria continuava e quindi impediva di rompere il contatto, pena il collasso della linea di difesa.
Intanto l’attacco proseguiva, la mattina del 28 neozelandesi e scozzesi annientarono un caposaldo della posizione di resistenza della “Trento”, a sud di el Wiska, ma un ennesimo contrattacco di carri e semoventi della “Littorio” ripristinò a stento la situazione. Alla sera, dopo un’ora di intenso fuoco di artiglieria, gli australiani lanciarono un nuovo attacco contro le postazioni italo-tedesche, per scardinare le difese e proseguire poi sino ad Abd el Rahman, ma ancora una volta furono fermati e respinti.
Nei giorni seguenti gli australiani reiterarono il loro attacco più volte, sempre sostenuti da violente azioni di fuoco dell’artiglieria, ma furono sempre contrattaccati e respinti. Questa situazione di attacchi e contrattacchi ad El Alamein durò fino alla fine di ottobre, senza alcun risultato di rilievo né da una parte né dall’altra: un logorio continuo di uomini e di mezzi che riuscì a mettere in crisi l’intero settore costiero dell’Asse, richiamandovi l’attenzione di pressoché tutte le forze corazzate italo-tedesche.
- El Alamein – Operazione Supercharge e sfondamento del fronte
Il 1° Novembre, dopo 8 giorni di combattimenti, nonostante la sproporzione delle forze, la difesa non era stata ancora infranta e le unità italo-tedesche ad El Alamein, benché provate e pesantemente decimate, continuavano a tenere. Montgomery decise allora di trattenere sulla costa tutte le riserve mobili di Rommel e, mentre esse erano impegnate a contrastare l’impeto degliAussies, attaccare decisamente verso ovest, su Tell el Aqqaqir, partiva l’Operazione Supercharge.
Il nuovo assalto britannico di El Alamein, come Lightfoot, avrebbe ricercato la rottura del fronte con massicci attacchi delle fanterie. Questa volta l’attacco decisivo doveva essere portato nel punto di congiunzione tra lo schieramento tedesco e quello italiano. Ottenuta una falla ampia almeno 4 km e completamente sminata, i carri avrebbero distrutto le ultime forze corazzate nemiche. L’azione di rottura sarebbe stata sostenuta da una cortina prodotta da 192 cannoni campali; altri 168 cannoni avrebbero distrutto i residui capisaldi dell’Asse. Nell’operazione gli Alleati avrebbero impiegato 570 carri. A Rommel ne restavano in quel momento solo 167 efficienti, dei quali 65 erano italiani.
Il 2 Novembre, all’una del mattino, dopo tre ore di intenso e violento bombardamento di aviazione e artiglieria, Montgomery, riordinate ancora una volta le proprie forze, lanciò l’attacco decisivo e finale di El Alamein.
Mentre la 9ª divisione australiana effettuò un attacco diversivo in direzione della costa, più a sud i neozelandesi e gli scozzesi riuscirono ad incunearsi tra la “Trieste” e la “Littorio”, la frattura del fronte di El Alamein venne conseguita. Le fanterie italo-tedesche non avevano ormai più nulla da opporre all’avversario.
Subito dopo, tra le fanterie, apparvero sulla scena i 132 carri della 9ª brigata corazzata (2ª divisione neozelandese), che, passando attraverso un varco creato nei campi minati, si schierarono in perfetto ordine lineare protetti dalla cortina di fumo innalzata dalle loro artiglierie. Dovevano aprire la strada alle divisioni corazzate del X Corpo d’Armata (1ª e 10ª). Il tiro nebbiogeno si spostava di 100 metri ogni tre minuti e lentamente i carri lo seguivano, mantenendo l’allineamento.
- El Alamein – 88 Flak in azione
Intanto dall’altra parte della cortina di fumo e fiamme, si approntava uno schieramento controcarri di emergenza, a forma di mezzaluna con la concavità rivolta verso il nemico: circa 20 micidiali pezzi da 88, qualche altro pezzo anticarro di calibro minore e gli ultimi carri disponibili sul posto, che vennero prontamente interrati.
Quando la 9ª brigata stava per giungere nei pressi della pista Rahman, venne a contatto con le difese anticarro tedesche. Fu una battaglia eroica e feroce: la 9ª brigata non raggiunse gli obiettivi topografici che le erano stati assegnati e rimase con soli 19 carri intatti, tuttavia il suo sacrificio non fu vano, dal momento che le altre divisioni corazzate inglesi riuscirono a passare attraverso lo schieramento nemico e ad ingaggiare battaglia. Alla fine del combattimento sul campo di battaglia non vi erano più forze dell’Asse; quattro battaglioni di fanteria e i carri della “Littorio”, si erano come volatilizzati; 35 relitti di cannoni anticarro italo-tedeschi restavano a contrassegnare il luogo della loro ultima resistenza.
- El Alamein – Un Ord. QF 6-pounder in posizione
Un atto doveva ancora compiersi prima della fine ad El Alamein: la reazione dinamica delle ultime riserve mobili dell’Asse, fino a quel momento impegnate più a nord per suturare la penetrazione compiuta dagli australiani. Il comandante del Deutsche Afrika Korps, generale Ritter von Thoma, lanciò in combattimento tutti i mezzi corazzati ancora a sua disposizione nel tentativo di fermare gli inglesi: i resti della 15ª e 21ª Panzer nonché i pochi carri italiani rimasti della “Littorio” e della “Trieste”, in tutto 120, contrattaccarono il saliente dove circa 250 carri li attendevano con il supporto di tutti i pezzi controcarro divisionali. Fu un’aspra e furibonda battaglia di carri armati che durò tutta la giornata, le forze dell’Asse non riuscirono a ricacciare l’avversario ma l’assalto venne temporaneamente bloccato. Allo strapotere dei carri britannici si aggiunsero anche gli effetti di ben sette incursioni di 18 bombardieri della Desert Air Force. La “Littorio” rimase con solo due compagnie di bersaglieri e con meno di 20 carri, la “Trieste” perse al completo un reggimento di fanteria ed il battaglione carri con gran parte delle artiglierie divisionali. A fine giornata von Thoma riferì personalmente a Rommel che l’armata era rimasta con 35 carri, che le forze di fanteria erano dimezzate, che di pezzi da 88 mm ne restavano un pugno e che un’altra nave cisterna era stata affondata nel canale di Sicilia. Nel suo rapporto Rommel avrebbe scritto: «i carri armati della “Littorio” e della “Trieste” venivano abbattuti uno dopo l’altro dal fuoco controcarro degli inglesi». Decise per lo sganciamento ed il ripiegamento sulle retrostanti posizioni di Fuka. La battaglia di El Alamein era perduta e la ritirata inevitabile; al quartier generale di Rommel giungeva frattanto la risposta di Hitler alla richiesta di autorizzazione alla ritirata da El Alamein: «[…] non sarebbe la prima volta nella storia che la volontà più forte trionfa sui più forti battaglioni del nemico. Alle vostre truppe non potete indicare altra via se non quella che conduce alla vittoria o alla morte».
- El Alamein – Carri della Littorio in movimento
Il 3 novembre fu di calma relativa, le divisioni “Littorio”, “Trieste” ed “Ariete” ricevettero l’ordine di ritornare in prima linea e prendere contatto con il nemico, poi, nella notte, Rommel ordinò l’inizio del ripiegamento da El Alamein.
Nel frattempo Montgomery ordinò una manovra di aggiramento della sacca di Tell el Aqqaqir ed un attacco generale tra la costa e la depressione di Deir Abu Busat.
Il 4 novembre, alle 7 del mattino, gli alleati riprendevano l’offensiva ad El Alamein.
A nord la 9ª divisione australiana riprese ad avanzare verso la costa, ove trovò sguarnite le posizioni avversarie, poichè la fanteria tedesca ed i bersaglieri le avevano abbandonate, la reazione della 90ª divisione leggera li fermò ancora una volta ma la pressione alleata era troppo forte e dovettero cedere. Più a sud, la 1ª e la 10ª divisione corazzata britannica puntarono contro il Deutsche Afrika Korps, concentrando lo sforzo al punto di giunzione tra la 15ª e la 21ª Panzer riuscendo a passare e minacciando così di avvolgimento ciò che rimaneva delle due divisioni. La 2ª divisione neozelandese e la 7ª divisione corazzata inglese lanciarono l’azione contro i limiti di saldatura fra i resti della “Trento” e l'”Ariete”, e tra questa e la 15ª Panzer. Anche le divisioni “Brescia” e “Pavia” avevano ceduto. La divisione corazzata “Ariete” si ritrovò isolata, mentre la “Littorio” continuava a battersi con gli ultimi carri rimasti in organico.
Proprio la divisione “Ariete” insieme ai resti della “Littorio” e della 15ª Panzer vennero impiegate per coprire la ritirata alle altre forze. I combattimenti difensivi di retroguardia si proponevano soltanto di guadagnare qualche ora per i commilitoni in ripiegamento e proprio per questo assunsero un valore eroico.
EL ALAMEIN
Il sacrificio dell’Ariete ad El Alamein
- El Alamein – Colonna di carri della “Ariete”
All’alba del 3 novembre l'”Ariete”, tornata a nord, si preparò a chiudere il varco aperto nella linea italo-tedesca di El Alamein. Nella giornata del 4 novembre i carristi dell'”Ariete” si sacrificarono fino all’ultimo; premuta di fronte, superata sulle ali ed aggitrata dai carri Sherman che l’attaccavano sui rovesci la divisione “Ariete” si consumò sul posto. Nel combattimento furono annientati tutti i battaglioni carri, tranne il XIII, il reggimento bersaglieri e le batterie di semoventi. Il 6 novembre, presso Fuka, anche il XIII Battaglione Carristi M venne impegnato da forze nemiche soverchianti e distrutto.
Dalle memorie del generale Rommel su El Alamein: «A sud del comando si vedevano grandi nuvole di polvere. Qui si svolgeva la disperata lotta dei piccoli e scadenti carri armati italiani contro circa 100 carri pesanti britannici […]. Come riferì più tardi il maggiore von Luck, da me mandato sul posto, gli italiani combatterono con straordinario valore […] uno dopo l’altro i carri armati esplodevano o si incendiavano. Verso le 15:30 giunse l’ultimo messaggio radio dell’Ariete: “Carri armati nemici fatta irruzione a sud dell’Ariete; con ciò Ariete accerchiata. Trovasi a circa 5 km a nord-ovest di Bir el Abd. Carri Ariete combattono”. La sera del 4 novembre il Corpo d’Armata Corazzato Italiano, dopo valorosa lotta, era annientato. Con l’Ariete perdemmo i nostri più anziani camerati italiani, ai quali, bisogna riconoscerlo, avevamo sempre chiesto più di quello che erano in grado di fare con il loro cattivo armamento».
EL ALAMEIN
La ritirata da El Alamein
Tra il 3 e il 4 novembre le forze dell’Asse, non più in grado di opporre resistenza organizzata, iniziarono il ripiegamento da El Alamein che riuscì parzialmente ai reparti dell’ala settentrionale più vicini alla camionabile costiera, e soprattutto alle truppe tedesche che erano motorizzate. Per le divisioni di fanteria italiane ad El Alamein, non motorizzate, che procedevano a piedi e dai lontani settori del fronte meridionale di El Alamein era preclusa ogni via di fuga. La “Trento”, la “Bologna”, la “Pavia”, la “Brescia” vennero facilmente superate, aggirate e distrutte dalle unità corazzate e meccanizzate britanniche, e nella ritirata andò perduta anche l’invitta “Folgore”, lungo il cui fronte il nemico non era mai riuscito a sfondare. La divisione “Trento” iniziò il ripiegamento verso ovest il 3 novembre, al mattino del 4 novembre i reparti superstiti furono investiti dalla 2ª divisione neozelandese, l’ultimo messaggio radio della divisione, alle ore 13, diceva: «munizioni quasi esaurite. Le spareremo tutte sul posto».
- El Alamein – Panzer IV F abbattuto
I giorni successivi le unità superstiti ad El Alamein, che muovevano per lo più a piedi, premute dal nemico da ogni prte, senza viveri ne acqua, continuarono a combattere sino al limite delle possibilità, in parte riuscendo a sfuggire al nemico, in parte cadendo in combattimento o venendo costrette alla resa. Oltre 30000 soldati si dovettero arrendere. Molti di più riuscirono però a ripiegare da El Alamein, sia per le capacità tattiche di Rommel, che per l’estrema prudenza di Montgomery. Probabilmente Rommel sarebbe riuscito a salvare molti più uomini ad El Alamein se Hitler non lo avesse obbligato a resistere sul posto “fino all’ultimo uomo” e solo in un secondo tempo gli avesse concesso la libertà di sganciarsi.
Il 6 novembre le forze italo-tedesche di El Alamein ripiegarono su Marsa Matruh; il 12 venne raggiunta la linea Tobruk-el Adem.
Con successivi spostamenti a scaglioni, e sempre combattendo, le residue forze italo-tedesche di El Alamein condotte magistralmente avrebbero raggiunto la Tunisia, dove la lotta sarebbe riarsa, ormai senza speranza, fino all’aprile 1943.
EL ALAMEIN
La fine della Folgore
Quando si parla della battaglia di El Alamein si pensa subito a due nomi: Rommel e “Folgore”.
La divisione paracadutisti italiana si batté valorosamente ad El Alamein, ma anche le altre divisioni italiane si comportarono altrettanto valorosamente. Lo stesso Rommel nutriva stima nei confronti dei soldati italiani, in merito al valore del nostro soldato ad El Alamein molte fonti gli attribuiscono la celebre frase: «Il soldato tedesco ha stupito il mondo, il bersagliere italiano ha stupito il soldato tedesco».
Nelle sue memorie su El Alamein ha aggiunto: «[…] avevamo chiesto troppo ai nostri camerati italiani. Con il loro armamento debole e scadente non avrebbero potuto fare di più, ne si capisce come abbiano potuto farlo».
Molte le testimonianze sul valore delle truppe italiane ad El Alamein, il 25 ottobre, appena tornato ad El Alamein, al colonnello Westphal che lo ragguagliava sulla situazione, Rommel chiese: «[…] e gli italiani, cosa fanno gli italiani?»; il colonnello rispose: «Signor Generale Feldmaresciallo, gli italiani si battono oltre il limite dell’inverosimile».
Resta senzaltro indiscusso il comportamento eroico della divisione “Folgore” che durante la battaglia di El Alamein resistette all’attacco portato da ben tre divisioni britanniche, una corazzata e due di fanteria, basterà ricordare che tra la sera del 23 ottobre e quella del 28, in 5 giorni di combattimento ad El Alamein, la divisione folgore perse 39 ufficiali e 560 tra sottufficiali, graduati e paracadutisti caduti o feriti. Su 12 comandanti presenti in linea, 8 erano morti e 2 feriti. Davanti alle loro posizioni gli inglesi avevano lasciato 70 carri distrutti, più di 600 caduti e 197 prigionieri, di cui 23 ufficiali.
Tanto valore suscitò il rispetto e l’ammirazione anche da parte degli stessi nemici britannici. Un ufficiale superiore inglese, preso prigioniero dai paracadutisti nei combattimenti del 27 ottobre, presentandosi al comandante del 187° reggimento della “Folgore” gli disse: «Credevamo di doverci battere contro degli uomini, per quanto famosi, e ci siamo urtati a dei macigni. Ogni vostro soldato, Signore, è un eroe».
- Targa commemorativa alla Corte d’Onore del Sacrario Militare Italiano a El Alamein
La fine della divisione non avvenne nei lembi di deserto che aveva avuto l’ordine di difendere, bensì durante il successivo ripiegamento da El Alamein (che per essa iniziò alle 2 di notte del 3 novembre), durante il quale i decimati reparti di paracadutisti, senza autocarri, privi di tutto, acqua compresa (riservata solo alla retroguardia combattente in ragione di mezzo litro per uomo), marciarono nel deserto a piedi, trasportando a braccia i loro pezzi anticarro superstiti e le poche mitragliatrici. Alle 2 del pomeriggio seguente i sopravvissuti erano già accerchiati e gli inglesi offrivano la resa. I paracadutisti risposero con il grido “FOLGORE!” ed aprirono il fuoco mettendoli in fuga. Dopo due giorni di marcia nel deserto, alle 14:35 del 6 novembre, dopo aver rintuzzato tutti gli attacchi nemici, esaurite tutte le munizioni e distrutte le armi, gli ultimi superstiti del 187° reggimento si arresero, ma non vollero mostrare bandiera bianca nè alzare le mani al nemico. Passarono in riga con l’onore delle armi, sui 5000 effettivi dell’organico iniziale ad El Alamein, nei ranghi, in piedi vi erano 32 ufficiali e 272 paracaditisti.
Il comandante della “Folgore”, generale Frattini, dopo la resa viene accompagnato nelle retrovie inglesi di El Alamein ed un interprete gli chiede: «Lei è il comandante della Folgore? Un generale inglese desidera salutarla». Si presenta il generale Hugues, comandante della 44ª divisione fanteria britannica, quella che aveva attaccato senza successo le posizioni della “Folgore”, «Si era sparsa la voce che il comandante della Folgore fosse caduto», disse Hugues, «Ho saputo che non è vero, e voglio dirle che sono contento», Frattini ringraziò, «Volevo dirle anche che nella mia lunga vita militare mai avevo incontrato soldati come quelli della Folgore», Frattini ringraziò ancora una volta poi si salutarono e si separarono.
Da parte britannica i riconoscimenti del valore italiano ad El Alamein non mancarono:
«Gli italiani si sono battuti molto bene ed in modo particolare la divisione Folgore, che ha resistito al di là di ogni possibile speranza.» – (BBC 8 novembre 1942)
«I resti della divisione Folgore hanno resistito oltre ogni limite delle possibilità umane.» – (Radio Londra 11 novembre 1942)
«Gli ultimi superstiti della Folgore sono stati raccolti esanimi nel deserto. La Folgore è caduta con le armi in pugno. Nessuno si è arreso. Nessuno si è fatto disarmare.» – (BBC 3 dicembre 1942)
«Dobbiamo davvero inchinarci davanti ai resti di quelli che furono i leoni della Folgore.» – (discorso alla Camera dei Comuni del Primo Ministro Churchill)
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Il sacrario di El Alamein
Alla fine della battaglia di El Alamein l’Asse lamentava la perdita di 25.000 uomini tra morti, feriti e dispersi e circa 500 carri armati, oltre a 30.000 prigionieri, 20.000 italiani e 10.000 tedeschi, compreso il comandante dell’Afrika Korps, generale von Thoma. Gli inglesi persero 13.560 uomini, tra morti, dispersi e feriti e 600 carri armati fuori combattimento. Vista l’enorme sproporzione di forze in uomini e mezzi all’inizio della battaglia di El Alamein, le perdite inglesi sono da ritenersi troppo alte.
Nei dintorni di El Alamein sono stati eretti diversi sacrari in ricordo dei caduti, i principali sono: il Sacrario Militare Italiano di El Alamein, costituito principalmente da una torre ottagonale alta circa 30 metri e dalla Base Italiana di Quota 33, che ospita le spoglie di circa 5.000 caduti Italiani ad El Alamein; il Cimitero del Commonwealth, che consiste in file parallele di lapidi, con le tombe dei soldati dei vari paesi che hanno combattuto insieme ai britannici ad El Alamein; il Sacrario Tedesco di El Alamein, costruito nello stile di una fortezza medioevale, contenente i resti di 4.200 soldati tedeschi.
- El Alamein – Sacrario Italiano
- El Alamein – Base Italiana di Quota 33
- El Alamein – Cimitero del Commonwealth
- El Alamein – Sacrario Tedesco
Si deve a Paolo Caccia Dominioni, all’epoca maggiore e comandante del 31° battaglione guastatori del genio che combatté a fianco della “Folgore” ad El Alamein, se, dopo quattordici anni di duro e ignorato lavoro nei luoghi della battaglia di El Alamein, è sorto un sacrario, da lui progettato e costruito, che raccoglie i resti di 4.814 caduti italiani e 232 ascari libici, che ora hanno una degna collocazione insieme al cimitero inglese e al sacrario tedesco ad El Alamein.
- Il Maggiore Paolo Caccia Dominioni
Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale si assunse volontariamente l’incarico di ricercare le salme dei caduti di ogni nazione disperse tra le sabbie del deserto egiziano ad El Alamein, condusse personalmente le ricerche tra i campi minati ancora attivi, venendo coinvolto per ben due volte nell’esplosione delle mine, sulle quali un suo gregario fu seriamente ferito e ben sei suoi collaboratori beduini rimasero uccisi.
Sino ad allora, nelle vicinanze di El Alamein, su iniziativa degli inglesi, era stato creato un cimitero, ad opera di 47 prigionieri di guerra italiani, tra cui il sergente maggiore Pellicciotta ed il sergente Pietrangeli, che dal 1943 all’agosto del 1945 avevano lavorato volontariamente nell’opera di raccolta e recupero delle salme semisepolte o ancora giacenti sul terreno. Avevano perso tre dei loro sui campi minati ed erano riusciti a riunire quasi 5.000 caduti, tra Italiani e Tedeschi, su di un’ampia superficie, sotto la “Quota 33“.
La “Quota 33” di Tell el Eisa fu conquistata dai “marò” del “San Marco” alla fine della corsa da Tobruk ad El Alamein e vi si era schierato il LII Gruppo Cannoni da 152/37. All’alba del 10 luglio 1942 fu contrattaccato e travolto dagli australiani della 9ª Divisione che catturarono le artiglierie. La riconquista della posizione fu affidata alla 3ª compagnia dell’XI battaglione carri della Divisione “TRIESTE”, capitano Vittorio Bulgarelli: 19 carri M13 ed M14 si lanciarono allo scoperto, presi sotto tiro dai 57 controcarro australiani. Furono colpiti uno dopo l’altro, solo uno aveva continuato la corsa verso la quota, l’aveva raggiunta e sorpassata, sempre sparando, ed era scomparso alla vista. La sua targa era RE 3700.
Quando nel 1948, tornato ad El Alamein dopo sei anni, il maggiore Paolo Caccia Dominioni giunge davanti a “Quota 33” ha quello stesso carro davanti agli occhi, nel punto dove un proiettile anticarro lo aveva centrato fermando la sua folle ed eroica corsa. Il relitto arrugginito dello scafo è sul lato nord della strada, verso il mare, mentre la torretta, divelta dallo scoppio della granata, giace capovolta dall’altra parte della strada, con il suo pezzo e con le sue mitragliatrici binate, tra le mine ancora attive del vecchio campo minato. Più in là cinquemila croci nel deserto, lo spettacolo che gli si para davanti è solenne.
Ma nel deserto giacevano ancora a migliaia di caduti che dovevano essere raccolti, bisognava salvare le tombe dal degrado del tempo e dalle profanazioni occasionali o commesse per fanatismo, correggere i nomi sbagliati, identificare, se possibile, gli ignoti. Il maggiore si mise subito al lavoro, sistemò la “Quota 33” come base logistica ed ufficio e costruì una serie di edifici di raccordo tra il cimitero e la litoranea: alcuni depositi, un piccolo museo, una base tedesca ed una “Corte d’Onore”, ad arcate, in cui costruì un basamento di pietra a forma di scafo di carro M13 e vi installò sopra la torretta e la targa del carro RE 3700.
- El Alamein – Monumento al Carrista nel Deserto
Il 4 ottobre 1950 lo raggiunge il guastatore Renato Chiodini, anche lui reduce del 31° battaglione guastatori ad El Alamein, che si era offerto di “dare una mano” sino alla fine della missione.
Nel 1955 si decide di sostituire il cimitero di “Quota 33” con un grande Sacrario e l’anno dopo, terminata la progettazione, l’ingegner Dominioni inizia i lavori di costruzione del Sacrario di El Alamein. La ricerca delle salme, la costruzione e messa a punto del Nuovo Sacrario di El Alamein continueranno sino a tutto il 1962.
In 14 anni di impegno e dedizione l’opera del comandante Paolo Caccia Dominioni, del guastatore Renato Chiodini e dei loro collaboratori beduini si sintetizza in 360.000 km di ricognizione nel deserto, di cui più di 100.000 in zone minate, con feriti e caduti; in oltre 1.500 salme Italiane, unitamente a più di 300 di altra nazionalità, recuperate dai campi di battaglia e in circa 1.000 caduti senza nome identificati.
Le statistiche ufficiali affermano che in terra egiziana sono caduti 5.920 soldati italiani. Le salme reperite sono state 4.825, delle quali 11 successivamente rimpatriate e 4.814 tumulate nel Sacrario di El Alamein. Di esse 2.465 hanno un nome, 2.349 rimarranno ignote per sempre. Mancano purtroppo le spoglie di 1.095 soldati mai ritrovate e che rimarranno “disperse” in eterno.
Il Colonnello Paolo Caccia Dominioni di Sillavengo, ingegnere, architetto, scrittore ed artista, più volte decorato al valore militare, ha lasciato mirabile traccia di sé e si è spento a Roma, Policlinico Militare del Celio, il 12 agosto 1992, nel 2002, in occasione della cerimonia commemorativa del 60° anniversario delle battaglie di El Alamein gli è stata conferita la Medaglia d’Oro al Valore dell’Esercito “alla memoria”.
- El Alamein – Cippo a 111 km da Alessandria
Il Sacrario di El Alamein è costituito da tre distinti blocchi di costruzioni: lungo la strada il porticato d’ingresso al Sacrario con la Corte d’Onore alla cui sinistra si trova il cimitero degli Ascari libici e la annessa moschea, e alla destra alcuni edifici di servizio, un piccolo museo contenente cimeli bellici ritrovati durante la ricerca delle salme e una sala di proiezione; dal porticato della Corte d’Onore, al cui interno si trova il “Monumento al Carrista nel Deserto“, si accede a una strada in leggera salita, contornata da cespugli e cippi che ricordano le divisioni italiane impegnate nella battaglia di El Alamein, che conduce alla collinetta della torre del Sacrario vero e proprio; una bianca torre ottagonale alta circa 30 metri, leggermente rastremata verso l’alto che si allarga alla base in un ampio padiglione all’interno del quale sono custoditi i resti dei soldati italiani; su una collinetta ad ovest della torre del Sacrario, a circa 500 metri, sorge la torre “Quota 33” a ricordo perenne del sacrificio italiano ad El Alamein.
Poco distante dal Sacrario di El Alamein, ai margini della strada litoranea a 111 chilometri da Alessandria, su un cippo, la famosa iscrizione, fatta dai bersaglieri del 7° Reggimento il 1° luglio 1942, indica il punto di massima avanzata dell’esercito italiano e ricorda che agli italiani caduti nella battaglia di El Alamein, spesso condotta senza gli adeguati mezzi, «Mancò la fortuna, non il valore».
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Le conseguenze
Con la vittoria in Africa, gli Alleati ottennero almeno tre risultati: il crollo della volontà combattiva dell’Italia; l’apertura di un nuovo fronte aereo (i bombardieri a lungo raggio potevano ora raggiungere sia i pozzi petroliferi rumeni sia le industrie metallurgiche italiane e bavaresi); una sostanziale attenuazione delle riserve dei Sovietici sulle effettive intenzioni dei loro alleati occidentali. La conquista dell’Africa, inoltre, mise gli alleati in condizione di scegliere dove e quando attaccare il continente europeo. L’impossibilità di prevedere con certezza la direzione che avrebbero assunto, costrinse la Germania a disperdere importanti forze di riserva sulle spiagge meridionali d’Europa ed a presidio dell’Italia.
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Petrolio e vecchia Europa
Tra gli errori commessi da Hitler nella condotta della guerra, vi è senz’altro la scarsa importanza attribuita al delicato fronte mediterraneo, lasciato sostanzialmente alle deboli forze dell’Alleato italiano. Una più energica iniziativa militare e diplomatica nel meridione, che avesse portato l’Asse ad impadronirsi di Gibilterra, di Malta, di Alessandria e delle posizioni britanniche nel Madio Oriente nei primi mesi del conflitto, avrebbe dato senz’altro, da un punto di vista strategico, una svolta differente alla guerra.
Ad El Alamein, come osservava Barnett, che ha dedicato la sua opera di studioso alle vicende della guerra in Africa, «è condensato ironicamente il suicidio della vecchia Europa: perchè oggi né tedeschi, né italiani, né inglesi controllano più il Medio Oriente, per il quale hanno così duramente combattuto». Del loro superbo colonialismo, dei loro grandiosi progetti di espansione e di dominio, rimangono, in quel lembo di deserto torrido di giorno e gelido di notte che si affaccia sul limpido mare, tre cimiteri e monumenti di guerra: un castello svevo per i tedeschi, un prato all’inglese per i britannici, un’alta torre bianca per gli italiani.
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Se avesse vinto la “volpe del deserto”?
Vincere una battaglia difensiva in condizioni di così grande svantaggio sarebbe stato già un risultato importante, se non altro per le positive ripercussioni che la vittoria avrebbe prodotto sulle popolazioni tedesche ed italiane. Ma perché potessero verificarsi ulteriori favorevoli sviluppi militari in Africa, sarebbero comunque stati necessari mezzi e rifornimenti che in quel momento l’Asse non poteva, o non voleva, distogliere da altri impieghi.
Se avesse vinto, quindi, Rommel avrebbe colto la prima occasione per ritirarsi a Sollum, accorciando sensibilmente le sue linee logistiche e costringendo Montgomery ad un cambio di posizione di aereoporti e depositi: la successiva offensiva britannica, che sarebbe stata ancora più massiccia e questa volta sostenuta, da ovest, dall’avanzata delle forze americane sbarcate nelle colonie francesi, sarebbe stata solo ritardata.