“La città proibita”, Actionaid racconta storie di donne e di lotta

Si chiamano Tikdem, Debaki, Cleonice, Bopha, Furaha. Hanno vite diverse in paesi diversi, ma qualcosa le accomuna. Tutte devono lottare ogni giorno più degli altri per il semplice fatto di essere nate donne.

L’organizzazione internazionale Actionaid, che promuove progetti umanitari a favore delle popolazioni più povere ed emarginate, ha raccolto le loro storie in un dossier, “La città proibita – le donne e lo spazio urbano” (scaricabile a questo link: http://adozioneadistanza.actionaid.it/magazine/dossier-la-citta-proibita-le-donne-e-lo-spazio-urbano/), che racconta la fatica di essere donne in alcuni paesi del Sud del mondo. Le problematiche che esse devono affrontare vanno dall’accesso al mondo del lavoro alla possibilità di studiare fino al semplice muoversi all’interno della città, sui mezzi pubblici e così via.

Tikdem ha 36 anni e, grazie a un’associazione umanitaria, è riuscita a realizzare il sogno di aprire un’attività tutta sua. Questo, nonostante gli ostacoli burocratici e il rischio continuo di ricevere molestie da parte di clienti e, all’uscita la sera, di uomini malintenzionati.

Debaki Dhungel vive in un sobborgo di Kathmandu e frequenta il quarto anno delle superiori. E’ ancora una ragazzina eppure, quando prende l’autobus per andare a trovare la sua famiglia a Kaandaghari, è spesso vittima di molestie. Ha dovuto imparare troppo presto ad alzare la voce per difendersi.

Cleonice Maria da Silva ha 36 anni e vive con suo marito, i genitori e suoi quattro figli a Mill Tiriri, nello stato di Pernambuco in Brasile. La sua casa è una baracca, perché il terreno dove si trovava la sua abitazione è stato sottratto al padre con l’inganno dall’INCRA, l’azienda che si occupa dei lavori di ampliamento di Port Suape. E i soldi ricevuti in cambio non bastano per costruire una nuova casa.

Bopha viene dalla provincia cambogiana di Prey Veng e vive a Phnom Peng in una stanza in affitto di 2,3 per 3 metri, condivisa con quattro donne e dalle condizioni inumane. Suo figlio, 8 anni, è cresciuto dai nonni nel suo paese di origine. Bopha, come le sue coinquiline, è costretta dai proprietari a pagare per acqua ed elettricità molto più di quanto lo Stato imponga. E lavora in una fabbrica di indumenti dalle 07:00 alle 16:00 e dalle 19:00 alle 06:00 del mattino (con una pausa pranzo di un’ora tra le 11:00 e le 12:00) per uno stipendio di 70 $.

Furaha ha 10 anni e vive in una baracca fatiscente a Bamburi, in prossimità dell’enorme discarica di Mwakirunge. A Furaha non è permesso di studiare: si alza alle 06:00 del mattino e parte con il padre alla ricerca di tappi di plastica. La sua vita e quella delle altre bambine della comunità è continuamente minacciata dalle malattie causate dalla discarica e dalle violenze, qui all’ordine del giorno.

Per cambiare le cose si può partire da gesti semplici eppure importanti, come un’adozione a distanza. Informatevi meglio su questa forma di contributo consultando il sito http://adozioneadistanza.actionaid.it/.

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Redazione

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