Fantasmi e munacielli: la storia di Don Carmeniello

Anche l’area aversana, come ogni luogo dove lo spiritismo è forte, ha la sua buona dose di spiriti: munacielli, janare e presenze che possono portare fortuna o accanirsi su chi le incontra e recare solo sventure. Della storia che raccontiamo, come delle tante leggende popolari tramandate oralmente, non si conserva nulla di documentato, ma ne resta solo l’eco. Per fortuna, ancora qualcuno ha deciso di ricordarsene.

Una mattina d’estate di fine anni 50, donna Maria ‘a paratrice (il marito si occupava della “paratura” o meglio dell’allestimento di tendaggi per le diverse feste cittadine), da buona massaia di casa, dopo aver terminato le faccende domestiche e le varie mansioni, giunse all’ora di pranzo senza aver preparato nulla, allora, decise di cucinare qualcosa come si direbbe nell’area partenopea “sciuè … sciuè …”, gli spaghetti aglio e olio.

Come tutti sanno, cosa essenziale affinchè il piatto riesca a perfezione, sono i peperoncini rossi, quelli piccanti, ma Maria si accorse che aveva terminato tutta la conserva e allora uscendo di casa, si diresse “areto ‘e Capune”, nell’antico palazzo dei Signori Capone, del quale il propietario era l’allora Don Carmine, facoltoso proprietario terriero che nei numerosi appezzamenti di terra seminava ogni ben di Dio e tra l’altro anche i desiderati ‘puparuoli’ di cui Maria aveva bisogno.

Sul conto di Don Carmine giravano strane voci che spiegavano il come della sua condizione tanto agiata. Infatti, si diceva che tutti i giorni quest’ultimo, scendeva nella grotta del seicentesco palazzo e sfamava un “munaciello”, una figura spettrale che ricambiava l’omaggio offerto con fortuna e salute e soprattutto con ingenti somme di denaro.

Intanto, Maria arrivò al portone dei Caponi: “Don Carmeniè, me servesseno duje puparuoli, sapite, stammatina n’aggio tenuto proprio tiempo ‘e cucenà e chillo maritemo povero ommo, mo vene ‘a faticà e ij n’ce priparo duje aglio e uoglio”…
Don Carmine la guardò, e se facette ‘na bella resata: “Figlia mia, vieni cu’mme, te faccio vedè ‘na cosa!!!”…

I due salirono le scale, e arrivarono al piano nobile del palazzo, Don Carmine aprì la porta ben ‘nzerrata e gli occhi di Maria si spalancarono, increduli dinnanzi a ciò che si mostrava alla sua vista. Nella stanza, stese in fila, appese con delle mollette, decine e decine di banconote tutte in taglio da diecimila lire, una scena che non aveva nulla da invidiare a quella del film: “La banda degli onesti”, quando Totò e Peppino nei panni di falsari nella tipografia di Lo Turco tappezzavano la stanza di denaro.

Maria sbalordita restò muta, Don Carmine la guardò: “Né Marì, che mò nu parli chiuù, che fa cu sti puparuoli, so chiù belli ‘e puparuoli mije‘”.

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Redazione

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