La Storia di Aversa. Santa Maria Succurre Miseris detta “‘A cappella d’o mpiso”

Nei pressi di Piazza Mercato, proprio all’angolo del quadrivio dove insiste l’ingresso della scuola elementare Sant’Agostino, su di una lapide si legge ”Via Succurre Miseris”, strada che prende il nome da quel rudere che risulta essere ciò che rimane dell’antica chiesa dedicata a Santa Maria Succurre Miseris (Santa Maria del Soccorso), conosciuta dagli aversani come ”’A cappella d’o mpiso” che significa dell’impiccato.

aversa chiesa Santa Maria Succurre Miseris (Santa Maria del Soccorso)_fotoanticaIn questa chiesa, aveva sede la Confraternità detta di S.Giovanni Battista decollato, fondata nel 1545, conosciuta come ”Congrega dei Bianchi” per la tunica ed il cappuccio bianco dei suoi membri. Una pia associazione, questa, che aveva il compito di assistere i condannati a morte. L’iter fu per secoli lo stesso, ricevuta la notizia di una condanna a morte, i confratelli accuddivano il condannato sia di giorno che di notte con continua assistenza, sia umana che religiosa. Tre giorni prima dell’esecuzione, che prevedeva il più delle volte la pena del patibolo, si stabiliva chi dovesse provvedere al vitto del condannato e chi, invece, dovesse far la questua per le messe in suffragio dell’anima del reo. Le campane intonavano scrodanti rintocchi, ed invitavano la città tutta a pregare per il malcapitato.  Successivamente, i confratelli incappucciati si recavano in compagnia di un chierico nella prigione recitando litanie ed orazioni alla Vergine. Era impartito, poi, il sacramento della Comunione. Il giorno dell’esecuzione, giunti nel cortile del carcere, gli ”incappucciati” si disponevano in semicerchio in numero sempre pari, non erano tutti ecclesiastici, numerosi erano anche i laici. Partendo da quaranti passi dal patibolo, si accompagnava il condannato verso l’ultimo tratto terreno e lo si predisponeva a ricevere l’Assoluzione facendolo recitare il Credo, l’atto di pentimento dei peccati. Lasciate le funi, il coro dei Bianchi recitava il De profundis.

Luigi Cipullo

Redazione

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