Spacciavano cocaina in caserma, arrestati militari Brigata Bersaglieri
Nella mattinata odierna, nella provincia di Casetta e Roma, i CC della Compagnia di Maddaloni hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal GIP del tribunale di S. M. Capua Vetere, su richiesta della locale Procura della Repubblica, nei confronti di quattro persone (delle quali una, SANTONASTASO Luigi, ristretta in carcere, tre, ROSSINI Roberta, BELVEDERE Luigi e CASERTA Patrizio, agli arresti domiciliari, la quarta, GIOVE Lello sottoposta al divieto di dimora nella provincia di Caserta), tutti militari dell’Esercito Italiano effettivi all’VIII Brigata Bersaglieri di Caserta.
Le misure cautelari sono state applicate all’esito di un’articolata e strutturata attività di indagine, coordinata dalla procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, che ha consentito di raccogliere un compendio indiziario grave a carico dei predetti militari, in ordine ai delitti di falsità materiale commessa da pubblico ufficiale, corruzione, detenzione, offerta e messa in vendita, nonché cessione a titolo oneroso di sostanze stupefacenti (arti. 110, 319, 476 c.p. e art. 73 d.P.R. 309/90,).
L’indagine, articolatasi dal febbraio 2014 al marzo 2015, ha consentito, attraverso mirate attività tecniche (intercettazioni telefoniche) e dinamiche (servizi di osservazione, pedinamento e sequestri apparentemente occasionali di sostanze stupefacenti), di accertare come i militari arrestati avessero avuto, all’interno della Caserma dell’Esercito Italiano – in Caserta, sede dell’VIII Reggimento Bersaglieri Brigata Garibaldi – la disponibilità di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti del tipo cocaina che venivano cedute o vendute all’interno della medesima struttura militare ad altri commilitoni, ad opera del caperai maggiore SANTONASTASO Luigi, con la determinante collaborazione della propria compagna ROSSINI Roberta, anch’ella militare in ferma provvisoria per quattro anni.
Le investigazioni consentivano, dunque, di disvelare, da un lato, la rete di approvvigionamento della cocaina, i cui punti di riferimento sono stati identificati in soggetti del territorio di Maddaloni e Caivano. Dall’altro, è emerso un sistema di diffusa corruzione, all’interno della medesima struttura militare, grazie al quale il caperai maggiore Luigi SANTONASTASO riusciva ad ottenere l’alterazione dei risultati dei drug test disposti dal Comando nei confronti dei militari sospettati di fare uso di sostanze stupefacenti.
Sia il SANTONASTASO sia la ROSSINI sono militari dediti anche all’uso personale di sostanze stupefacenti e sono stati trovati in possesso, nel corso delle indagini, di numerose dosi di cocaina/crack. Tale circostanza aveva indotto il Comando dell’VIII Reggimento bersaglieri della Brigata Garibaldi ad effettuare dei drug, test nei confronti della ROSSINI.
Ebbene le attività di indagine hanno reso possibile accertare l’alterazione degli esiti dell’esame “drug-test”, cui periodicamente venivano sottoposti gli appartenenti alle Forze Annate, utilizzando in particolare due modus operandi:
– procurandosi una provetta di urina “pulita” da sostituire, al momento opportuno, con la propria, approfittando della distrazione o della connivenza del personale sanitario addetto;
– avvalendosi di alcuni militari che, abusando della loro qualifica di Assistente Sanitario e della conoscenze tecniche acquisite, provvedevano a modificare i risultati dell’esame direttamente presso il Laboratorio dell’Ospedale militare di Caserta, dietro compenso di denaro ovvero in stupefacente per somme fino ad euro 200 (in particolare si sono prestati a tale illecito mercimonio i militari Lello GIOVE e LUIGI BELVEDERE).
La falsificazione dei risultati veniva acclarata senza ombra di dubbio, grazie all’attività di intercettazione telefonica, alla successiva acquisizione delle conversazioni avvenute tramite messaggistica di “WHATSAPP”, nonché attraverso una attività di PG posta in essere contemporaneamente all’esecuzione del drug test, con successivo esame del profilo genetico (DNA) sull’ urina, risultata negativa. Si dimostrava in modo inconfutabile che in entrambi i casi la provetta di urina, contenente tracce di sostanza stupefacente, era stata sostituita con altra “pulita”.