Caserta. Bacino di Crisi, i lavoratori: “Il lavoro un problema che non ha fine”

Il lavoro è sempre stato un tema molto dibattuto ed è fondamentale comprenderne il significato e l’importanza che esso assume nella società in cui viviamo. Quando si parla di lavoro nelle scienze umane e sociali si fa riferimento generalmente ad un’attività umana che prevede l’impiego di energie fisiche ed intellettuali  al fine di raggiungere un determinato scopo.

Nella nostra società, basata sulla produzione e sul consumo di beni, il termine lavoro implica un compenso in denaro attraverso il quale il lavoratore può procurarsi ciò di cui ha bisogno per vivere. Il lavoro influisce  fortemente nella formazione dell’identità personale e sociale degli individui  condizionando le scelte e le relazioni dei singoli soprattutto quando non c’è o non è stabile.  A questo proposito, in particolare negli trent’anni, si sono verificati dei cambiamenti economico-sociali che hanno portato diverse conseguenze per i lavoratori ed hanno cambiato il modo di concepire il lavoro, rendendolo, molto spesso, un elemento di totale insicurezza. Il lavoro oggi diventa dunque insicuro, instabile, flessibile e precario. Le cause  di questo fenomeno sono da ricondurre ad un abuso di forme politiche  contrattuali flessibili con l’obiettivo di reclutare personale a basso costo senza  vincoli di tutela dei posti di lavoro. In Italia l’instabilità lavorativa è diventata strutturale, ed ha diffuso, soprattutto tra i lavoratori vedi (IL BACINO DI CRISI DI CASERTA) una condizione di incertezza, frammentazione e mancanza di diritti causata in primo luogo dalla discontinuità e della mancanza di  reddito. I lavoratori  faticano a sentirsi per colpa della politica  parte dell’organizzazione in cui lavorano, anche perché  percepiscono il proprio lavoro come indefinito, discontinuo, non
finalizzato al consolidamento della propria posizione.

L’insicurezza lavorativa (Job insecurity) ed economica ostacola l’organizzazione della vita degli individui, soprattutto dei giovani, per i quali la difficoltà di ottenere  contratti a lungo termine ritarda l’uscita dalla famiglia d’origine e la decisione di formarne una propria. Per molti giovani  lavoratori la famiglia costituisce l’unico ammortizzatore sociale: secondo i dati ISTAT del 2009 il 59,2% dei giovani di età compresa tra i 25 ed i 29 anni e il 28,9% di quelli tra i 30 ed i 34 anni vivono ancora in famiglia. I lavoratori precari inoltre  faticano a riconoscersi parte della società e a mantenere un senso di comunità e di solidarietà: questi sono sempre più colpiti da forme di esclusione e di marginalità sociale, nonchè da stress e da patologie somatiche e psichiche.  Il lavoro da “principale”, è diventato “consequenziale” e alla luce di questo, ” i politicanti cosa  fanno mentono su tutto ciò .. Il costituzionalismo si ha  dalle origini storiche, inizia  dopo la Rivoluzione Francese, ed  ha compiuto un lungo cammino che giunge fino a noi. Tra quel lontano  esordio ed i giorni nostri c’è stata l’ascesa delle masse popolari, cioè del mondo del lavoro, alla vita politica e l’accesso alle sue istituzioni.

C’è stata in una parola, la diffusione della democrazia, sia nella dimensione politica che in quella sociale. Di questa diffusione sono figli la generalizzazione dei diritti e l’uguaglianza rispetto ai beni primari della vita  come la salute, l’istruzione, la previdenza sociale, ecc. Primario tra i beni  primari,  è il lavoro  che è stato accolto come fondamento della democrazia repubblicana. Quale lavoro? affermano i lavoratori del < BACINO DI CRISI DI CASERTA>  Il lavoro che compare nella nostra Costituzione è il “lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni” (art.35). Il lavoro in tutte le sue manifestazioni è titolo d’appartenenza alla comunità nazionale,  alla cittadinanza; è un fattore d’unità ed inclusione. A questo proposito,  l’art. 3 che è uno svolgimento dell’articolo 1 ci dice che non basta  dire in astratto che il lavoro è condizione inclusiva di cittadinanza, occorre  che lo sia in concreto, in quanto in situazioni di soggezione, idigenza, precarietà, insicurezza, si è meno cittadini, o non lo si è affatto ed è infatti “compito della Politica rimane quello di  rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatti la libertà e l’eguaglianza dei cittadini  impedendo  (…) l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art 3 Cost.) Tornando al “rovesciamento” di cui si è parlato in precedenza, affermiamo che tra le tante cause che oggi ci sono individuiamo   tra queste, in primo luogo, l’abbandono dell’unitarietà e della generalità del fronte sindacale in forza di un sempre maggiore distacco della politica dallo spirito della Costituzione, imposto principalmente dal mercato mondializzato. In secondo luogo, il fatto che l’attività economica oggi si sia spostata dall’economia reale verso l’economia  fittizia cioè l’economia finanziaria. La nostra è un’economia controllata da una finanza finalizzata solo a se stessa, ai suoi diritti, che dirotta le risorse dove conviene, al fine di ingigantire se stessa e i suoi attori, che non sono né gli imprenditori  né i lavoratori ma gli speculatori di una scarsa politica.  I politicanti indeboliscono l’economia reale, e tutto ciò si avvantaggia nelle sue difficoltà, per questo   la finanza è nemica del lavoro. Nel mercato globale le politiche della cara Italia  non coincidono con i fenomeni sul piano mondiale perché alla delocalizzazione delle unità produttive corrisponde la perdita della capacità contrattuale dei lavoratori, che evidentemente non è altrettanto facilmente delocalizzabile e la politica invece di governare assiste. Inoltre di fronte  alla forza della finanza la politica si dimostra troppo spesso  succube.

A questo punto rimane da porre la domanda che i lavoratori del <BACINO DI CRISI DI CASERTA> si fanno nella loro mente “i rovesciamenti costituzionali di cui s’è detto, sono solo eventualità che possono correggersi,  governando, con il contrasto? Oppure sono necessità che possono solo essere assecondate, perché ogni resistenza è vana? Siamo padroni dei rapporti  sociali ed economici in cui viviamo o siamo condannati al darwinismo sociale? Se vale la seconda risposta, la Costituzione, per la parte del lavoro, dovremmo dirla antiquata, scarsa, vergognosa   superata dalla forza delle cose, e dalla demagogia. Se  vale la prima, resta aperta la possibilità d’una politica costituzionale del lavoro. Chi deve parlare, agire e combattere di conseguenza,sono le forze le politiche, sindacali, culturali. A loro la triste decisione .. Ma soprattutto a loro la decisione del futuro della nostra martoriata Terra di Lavoro.

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Redazione

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