L’Italia che ricomincia da Scampia nell’emozionante libro di Angelo Pisani.
Che cosa è oggi davvero Scampia? Che luogo del mondo – e dell’anima – sono le periferie delle metropoli, abbandonate dalla mano degli uomini e dei governanti, lasciate in balia di topi e cinghiali come Tor Bella Monaca a Roma, o cancellate con un tratto di penna da agende istituzionali affollate di rutilanti eventi dal lungomare al centro, come succede da sempre per Scampia?
E’ nelle periferie delle metropoli che nascono e crescono i nuovi italiani, quella generazione anagrafica che manterrà vivo il Paese negli anni a venire, giovani uomini e giovani donne, ragazzi, bambini, capaci ancora di alimentare la speranza e i sogni in un Paese che, dal punto di vista demografico, sta lentamente scomparendo, giorno dopo giorno, inghiottito dal buio di politiche autoreferenziali, di imposizioni fiscali asfissianti, di un peso sociale delle ingiustizie che avvelena la vita. Dall’Italia fuggono giovani e vecchi. Un’emigrazione lenta ma costante che, goccia a goccia, sta portando il deserto laddove una volta c’erano gli italiani, le famiglie, le fabbriche, il lavoro, dove si avvertiva tangibile l’energia di un popolo che aveva trovato la forza di rialzarsi dopo lo sterminio nazista, ricostruendo dalle fondamenta il proprio Paese.
I pensionati cercano ristoro agli ultimi anni della loro vita in territori con fiscalità più eque, nazioni dove il loro assegno mensile valga ancora qualcosa, anche in termini di dignità. I ragazzi fanno la valigia e vanno via in cerca di lavoro, perché sanno che il lavoro è vita e sanno che in Italia il lavoro vero per loro non c’è, sanno che per loro qui non ci saranno mai contributi, pensione, figli. Niente. Qui non ci sarà niente. E cominciano ad emigrare anche intere famiglie, molte partono da Napoli, il luogo l’Europa dove le contraddizioni sono più acute e si sente nell’aria lo scontro fra due mondi, l’Olimpo milionario dei grandi stilisti con i loro scintillanti corifei, e tutt’intorno i gironi degli inferi, la pletora di mendicanti che ogni mattina escono di casa per inventarsi qualcosa pur di mettere un piatto in tavola la sera.
Ecco, quando oggi ci domandiamo se resta qualcosa, per il futuro, dell’Italia messa su con le braccia e con la mente dei nostri nonni, allora per trovare una risposta dobbiamo tornare in periferia, dentro quelle popolose, sterminate comunità che nonostante tutto all’Italia ci credono ancora.
E’ questo, a ben guardare, il senso profondo che trasmette la lettura di “Luci a Scampia”, un grande messaggio di fiducia in quella moltitudine mai piegata dal male, ancora pronta a costruire un domani dalle macerie lasciate dopo una crisi economico-esistenziale durata quasi dieci anni e mai finita. Sono loro, è il popolo dell’Ottava Municipalità di Napoli, la gente di Napoli Nord che Angelo Pisani ha incontrato sul suo cammino per la prima volta ad aprile del 2011, quando pensava di dover guidare la Municipalità del suo quartiere, il Vomero, zona bene della città, e invece fu candidato ed eletto nei territori di Scampia, Piscinola, Marianella, Chiaiano.
A distanza di cinque anni il volto di queste terre è profondamente cambiato. E ancor più è cambiato il giovane avvocato, figlio della buona borghesia partenopea, che fin dal primo giorno ha saputo vivere come un dono l’incontro e l’abbraccio con queste comunità di famiglie, lavoratori, sacerdoti, bambini, invalidi, giovani e vecchi, persone.
Al di là dei tanti, memorabili episodi raccontati nel libro – alla sua maniera, con piglio deciso ma lineare, in posizione di ascolto permanente, sempre vigile a captare gli umori del mondo – “Luci a Scampia” va colto nella sua essenza, va letto seguendo lo sguardo lungo sulle periferie “dell’anima” (si sarebbe detto una volta), per sentire fino in fondo il messaggio che fin dall’inizio ha rapito lo stesso Pisani. L’Italia, se ci sarà ancora un’Italia, può rinascere solo da qui. L’Italia o ricomincia a Scampia, a Tor Bella Monaca, nelle banlieue torinesi o nelle enclave milanesi, dove nulla è dato per scontato ma tutto ancora si può fare, o non ricomincia affatto.