La storia di Aversa: “I figli Illegittimi dell’Annunciata”

di Stefano Montone

Aversa, una città dove spesso ci si lamenta, ci si duole, ci si offende perché all’appello mancano secoli di storia, manca una parte vitale. La narrazione di quello è stato il soffio, l’alito. Le cose semplici ma anche le cose importanti di questa città.

Se a mancare stranamente sono i racconti, degli Angioini, degli Aragonesi dei Normanni e anche dei Borbone; la situazione diventa a tratti comica quando a mancare sono addirittura pezzi di storia legati all’inizio del Novecento.

Quando ti accorgi che la storia di questa maledetta città è stata dimenticata per incuria degli abitanti; è stata dimenticata perché il vecchio non interessa, ed ecco che per puro  caso  ci si imbatte in dei faldoni impolverati…. quattro o cinque, non tanti. Mangiucchiati dai topi, scritti a mano, molti in bella, anzi in bellissima calligrafia…

Abbandonati in un impolverato e malandato archivio ritroviamo alcune storie particolari. Alcune storie provenienti dai primi del Novecento. Ma quello che c’è scritto sopra i faldoni ci lascia angosciati.

 Una sorta di lista di proscrizione. Sono illegittimi!  Si proprio così. Sopra i faldoni c’è scritto “figli illegittimi”. Addirittura erano stati fatti i prestampati con tale dicitura.

Apriamo lentamente e con il rispetto storia ci impone, con il rispetto delle storie narrate,  scritte con penna e calamaro su fogli pergamenati con una filigrana intatta che sembra essere stampata l’altro ieri, leggiamo le loro storie. Sono figli illegittimi, figli nati fuori dal matrimonio, figli non riconosciuti dal padre, spesso e volentieri figli di serve (all’epoca erano chiamate così), di agricoltori, di gente povera. Per secoli ai ‘figli illegittimi’, figli nati fuori dal matrimonio spesso da donne sole e di condizione sociale umile, se la sono passata malissimo e con essi le loro madri. Molti venivano abbandonati davanti a chiese e conventi o all’ospedale oppure depositati direttamente sulla ‘ruota degli esposti’ e affidati alla pietà di qualcuno.

Questi bambini venivano portati alla ” Real casa dell’Annunziata”, schedati inseriti in quei quattro o cinque faldoni che ricordano la prima parte degli anni 10 del 1900.

 Dentro ci troviamo nomi che riecheggiano anche oggi per le strade della città. Non faremo questi nomi. Scriveremo solo le iniziali o nomi di fantasia perché probabilmente nella mente dei vivi sono ancora forti, anzi feroci, i ricordi dei morti.

Sono passati più di settant’anni, per la precisione centodieci, cento quindici, centodiciassette, ma a noi non interessa. Racconteremo queste storie con tatto, con rispetto, con serietà. Sfogliamo a mano a mano le cartelle impolverate. Vengono fuori piccole storie.

La maggior parte di questi bambini venivano dati a famiglie esterne. Questo istituto veniva definito “dell’allevamento esterno”. Allevati. Forse come polli, forse come animali. Forse si trattava del progenitore del moderno affido? Era il progenitore della moderna adozione?

Fatto sta che la stragrande maggioranza di genitori affidatari   richiedeva all’amministrazione alla Real Casa dell’Annunziata dei sussidi, di piccoli contributi, per comprare a questi bambini delle scarpe.

Da quanto risulta da una nota datata 1913, una signora chiede un contributo per comprare stivaletti, un giubino, un cappottino,
ed è ricorrente la richiesta di soldi i tutti i fascicoli. Non uno ma tanti. Immergendoci in queste carte impolverate troviamo, anzi scrutiamo tra la normalità  degli atti burocratici piccoli dettagli, storie interessanti.

Alcune madri naturali riuscivano a non essere proprio nominate, altre invece erano note. Negli atti antecedenti al 1914 la struttura è indicata come “Real Casa dell’Annunciata”, dopo questa data invece diventa “Real casa dell’Annunziata”. Emblematica è la storia dell’adozione forse più breve dell’epoca moderna.

 Un bimbo, infatti, portato in istituto il 28 gennaio del 1914, probabilmente giorno della nascita, fu adottato il giorno dopo da una coppia di Lusciano. Come risulta dal decreto di affido, il suo nome era Acquario Alfredo, molto probabilmente perché nato sotto questo segno astronomico. Purtroppo, però, mori il 26 marzo dello stesso anno nel comune di Lusciano e Ducenta lasciando i coniugi in un profondo dolore.

 I cognomi che venivano attribuiti ai bambini in istituto erano i più svariati, spesso di fantasia, a volte anche ridicoli : Perpetua ,  Liquida, Occhietto, Beltempo, Aspetta, Limpido, Lucido, Battezzata, Giove, Sorpreso, Fervore, Dubborioso, etc…

C’erano anche casi di bambini che una volta affidati ai futuri genitori adottivi venivano poi riportati in istituto. È il caso di S. A. che il 10 ottobre del 1914 fu affidato ad una coppia Aversana di Costantinopoli, poi restituito e il 23 marzo del 1915 fu affidata ad un’altra coppia. In alcuni casi, così come nelle cartelle dei primi anni del secolo, nella domanda di allevamento esterno   ( moderno affido), le persone dichiaravano il motivo per il quale volevano adottare un bambino. In tanti riferivano perchè vi stata era la morte di un congiunto, oppure il ringraziamento alla madonna per una grazia ricevuta.

Il caso di una bimba alla quale viene dato il nome “Profumo” risalta ai nostri occhi per il mistero di una medaglietta spezzata allegata al suo fascicolo.

Sull’atto di nascita si legge la data 22 aprile. La singolare medaglietta, sulla quale si nota l’immagine di S. Antonio,  è caratterizzata da un taglio ben preciso perché la madre aveva trattenuto probabilmente l’altra metà in segno di affetto e forse anche con la speranza di ritrovare sua figlia. Invece no, la medaglietta era stata trattenuta nel fascicolo e mai consegnata alla bambina.

Singolare era poi la richiesta presentata da alcuni genitori adottivi che nell’istanza specificavano anche l’età del bambino che volevano adottare. Numerosi,  poi, erano i casi di persone celibi o nubili che facevano beneficenza a questi bambini ospitati in istituto.

Non tutti i bambini, però, trovavano dei genitori adottivi. Molti di loro diventavano adulti nella casa dell’Annunziata. Tante storie tutte diverse ma con un unico elemento in comune l’abbandono, o meglio un atto di rinuncia, talvolta voluto, talvolta forzato, ma pur sempre un abbandono doloroso..

Resta però il mistero di quei quattro/cinque faldoni con la scritta “illegittimi”. Perchè qualcuno volle metterli da parte. Perchè qualcuno ci tenne a separarli da tutti gli altri? la La domanda sorge spontanea? se si trattava di bambini abbandonati sui sagrati delle Chiese, come facevano i vertici dell’istituto a sapere che si trattava di figli nati fuori dal matrimonio? è chiaro che esisteva una sorta di anonimato e che tale archivio fu creato probabilmente a fin di bene per fare in modo che i figli fossero un giorno ritrovati dai genitori e magari riconosciuti dai padri.

Redazione

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