Proverbi dell’Agro Aversano. ‘Averza mala gente, pure l’evera è pugnente!’ ed altro ancora…

Come dicevano i nostri nonni? Ci sono dei detti, proverbi, litanie e filastrocche che, ormai, nessuno sembra più ricordare, e che sopravvivono, magari, soltanto nella memoria di qualche anziano. Stiamo parlando di quelle espressioni curiose che, con radici antiche, e significati inaspettati, vengono pronunciate da generazioni e giungono fino a noi quasi intatte. Purtroppo, queste consuetudini, tramandate per lo più oralmente, non hanno conservato nulla di documentato e, per questo, talvolta, risulta difficile anche la sola interpretazione. Ci sono proverbi, ad esempio, che spesso vengono impiegati per affermare la superiorità di un paese rispetto ad un contesto limitrofo, atti a deridere o denigrare i centri abitati confinanti.

Quante volte avrete sentito: ”Cesa, Sant’Antimo e Melito nisciuna femmena è pulita!”, un’espressione idonea ad offendere le donne di queste località che a volte prosegue in ”una ce ne steva bbona, era zoccola e mariola!”.

Sono ancora le donne ad essere prese di mira, allorché, contro il vicino paese di Casaluce, si udirà: ”femmene ‘e Casaluce, so’ tutte ‘nfrascaiole”, alludendo ancora alla poca fedeltà delle donne casalucesi che, secondo alcuni, coglievano ogni occasione per appartarsi dietro le ”frasche” (vegetazione) con i propri amanti, per poi amoreggiare.

Ancora, un modo dire attuale, è rivolto ai trentolesi, per cui: ”l’acqua ‘e Trentola nu coce è fasule!”. Ma, da dove nasce questo vecchio detto sull’acqua? Molto probabilmente, un tempo, in questa località, prima della venuta dell’acqua del Serino, si attingeva dai pozzi locali un’acqua talmente leggera, che era carente di alcuni elementi, quali calcio e ferro. Facendola bollire, quindi, non cuoceva alcun alimento, tra cui proprio i fagioli, all’epoca cibo prevalente consumato perché economico e nutriente.

Resta un’incognita il detto: ”’a lettera ‘e Teverola, ognuno a casa soia!”, utilizzato per porre fine ad una situazione, invitando ogni partecipante a ritornare nel proprio luogo di appartenenza.

Ancora, i cittadini di Lusciano, da sempre in astio con la attigua Parete, intimavano i vicini paesani a non intrommetersi nelle faccende che non erano di loro pertinenza, e quindi si rivolgevano con: ”Parete fatte areto, ca Lusciano te votta ‘e pprete!”.

Una tipica frase detta in modo scherzoso ed affettuoso, a mo’ di scioglilingua, dagli abitanti di Sant’Antimo ai cesani è la seguente: ”Chi vene a Cesa more acciso e chi fa ‘ammore va ‘mparaviso!”. Contro gli aversani, invece, sono impiegati numerosi sfottò, tra cui: ”l’averzano tene doie facce comme l’arco d”a Annunziata!”. Secoli di oscurantismo, difatti, hanno definito gli aversani, un popolo di ”facciastuorti”, cioè di gente pettegola e menzogniera.

Il perché di tale appellativo, sarebbe da giustificare nel fatto che l’orologio posto sul famoso Arco dell’Annunziata, ha due quadranti, due facce, quindi. Ma, negli ultimi tempi, si è cercato di spiegare tale proverbio ricercando la soluzione in una figura posta sul portale del complesso, che rappresenterebbe proprio la menzogna, composta da due facce, simbolo delle doppie virtù dell’uomo. Aversa è detta anche ”città dei pazzi”, poiché, nacque nel 1813 col nome di Real Case de’ Matti il primo Manicomio d’Italia,  un vecchio detto infatti dice: ”il carretto dei pazzi si riversò ad Aversa”. Gli aversani, inoltre, sono soprattutto oggetto di mira per chi viene dall’hinterland napoletano, un altro modo di dire comune è: ”cumpare d”Averza, e puorche ‘e Fauciano” (compagni di Aversa e maiali di Falciano), che paragonerebbe gli aversani, gente talmente bassa e sporca, ai maiali di Falciano del Massico, cittadina del casertano. Ma, famosa risulta l’espressione: ”Averza mala gente, pure l’evera è pugnente!” (aversani, gente cattiva, anche l’erba è pungente ad Aversa!).

Luigi Cipullo

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