Capaccio Paestum. 9 settembre 1943: quel jazz che venne dal mare

Ore 3:30 del 9 settembre 1943 scatta l’ora X dell’operazione Avalanche. La 36° Texas si riversa sul litorale di Paestum per fare da testa di ponte e difendere lo sbarco della 45° e 56° divisione: con i soldati alleati, sull’Italia soffiò il vento del jazz.

Il cartellone Musica ai Templi allestito da Gaetano Stella e organizzato dalla sua Animazione ’90 ha affidato l’evocazione di quei tempi, attraverso l’esecuzione della musica della swing craze, in quei luoghi ove settantaquattro anni fa sbarcarono gli alleati, letture di lettere di militari redatte alle vigilia dello sbarco e immagini storiche, alla Big band Swingtime, diretta dal M° Antonio Florio.

Il piatto forte della serata di venerdì 8 settembre, che si è tenuta al fianco del Tempio di Nettuno, è stata naturalmente, il portrait di Glenn Miller, musicista simbolo dello sbarco quanto il boogie, con il celebrato In The Mood, divenuto un vero e proprio inno della liberazione nel mondo, colonna sonora della fine della guerra e di un’epoca, e simbolo dell’inizio di un’altra era, quella della libertà. Per essere più esatti, il sogno, l’illusione della libertà. Questo sogno, questa illusione permise alla muscolatura Italia di ricostruire le proprie macerie, il proprio “Domani”. L’era dello swing la si fa terminare con la morte del maggiore Glenn Miller, l’ormai popolarissimo direttore dell’orchestra dell’Aeronautica statunitense, caduto nelle acque della Manica in un giorno del dicembre 1944, con l’aereo che lo portava dall’Inghilterra alla Francia. Fu proprio la sua musica ad arrivare per prima in Europa, attraverso i famosi “V” disc, al seguito delle truppe americane. In the Mood, un boogie woogie che si potè ascoltare nella colonna sonora del film Sun Valley Serenade e Moonlight Serenade, con quel loro inconfondibile suono ottenuto con l’impasto delle voci dei clarinetti e dei sassofoni, furono musiche che servirono a far capire agli europei che la guerra era veramente finita. Ora, chi voleva, da questa parte dell’Atlantico, poteva anche scoprire, o riscoprire, il jazz, quello ritmato e un po’ melenso dell’ “era dello swing”, e quello dei suoi dintorni, a cominciare dall’impareggiabile Duke Ellington, che vedremo tratteggiato in pagine che hanno scritto la storia di questo genere, quali “It Don’t mean a Thing if ain’t got that Swing”, pezzo che ha dato appunto il nome a questo periodo, Mood Indigo, Caravan,Echoes of Harlem, Prelude to a kiss, un omaggio all’inimitabile suono del sax alto di Johnny Hodges, la Donna ellingtoniana nella sua Sophisticated Lady,  e ancora, Count Basie con Splanky, Randy Brooks evocato da Harlem Nocturne, il clarinetto dal suono classico di Benny Goodman e la sua orchestra sulle note di Don’t be that Way e la potenza dell’orchestra di Chick Webb con Stompin’ at the Savoy. Gli europei, che a queste cose si interessavano, si buttarono sui “V” discs e, quindi, sulle prime incisioni regolari disponibili, per fare una scorpacciata di jazz. Inghiottirono in un sol colpo anni di musica e cercarono di capire. Forse, trovandosela dinanzi tutta insieme, poterono comprendere meglio degli americani che cosa era stata la musica swing, e che cosa, di tutto quanto era stato registrato negli anni della “swing craze”, valesse la pena di essere ricordato e conservato. Gran finale con un brano altamente simbolico: Sing, sing, sing! composto da  Louis Prima nel 1936. E’ questa la pagina voluta da Benny Goodman per chiudere la scaletta dello storico concerto del 16 gennaio 1938 alla Carnagie Hall. Il jazz in quella data sbarcò nel tempio della musica classica, con un’orchestra composta da rappresentanti di tutte le minoranze che avevano fatto nascere questo genere, unitamente all’America. Bianchi, neri, ebrei, creoli, italiani, sud-americani, lanciarono uno dei primi inni di pace, aperto dall’evocazione dei tamburi d’Africa, nello storico a-solo di Gene Krupa, dopo vent’anni di lotta il jazz, musica che come i suoi esecutori, non era stata accettata nella sua terra natale, bandita e disprezzata in mille modi, che ha dovuto, per buona parte della sua storia, cercare di sopravvivere, spiegare e difendere la propria esistenza, poteva lanciare il suo Urklang di libertà, lo stesso messaggio di pace che, ci giungerà dagli strumentisti della Big band Swingtime, vedrà schierati ai sassofoni Giuseppe Plaitano (alto e clarinetto), Francesco Florio (alto), Umberto Aucone e Maurizio Saccone (sax tenore), Nicola Rando ( sax baritono), alle trombe Giuseppe Fiscale, Mauro Seraponte, Nicola Coppola e Raffaele Improta, ai tromboni Alessandro Tedesco, Raffele Carotenuto, Umberto Vassallo, al pianoforte Antonio Perna, al doublebass Antonello Buonocore e alla batteria Domenico De Marco. Solista e conductor Antonio Florio, con loro nell’incanto del palcoscenico al fianco del tempio di Nettuno, Olga Chieffi, ideatrice del racconto storico-musicale con la partecipazione speciale di Gaetano Stella e Gabriel Zuchtriegel, curatori delle letture.

Emanuele Arciprete

Redazione

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