Caserta. Chiedeva elemosina e faceva abortire ragazze costrette a prostituirsi

Il Giudice delle Indagini Preliminari, accogliendo pienamente le risultanze investigative emerse nell’ambito di una articolata attività di indagine coordinata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ed eseguita dai Carabinieri della Compagnia di Mondragone, ha convalidato il provvedimento di fermo emesso dal Sostituto Procuratore dottoressa Mariangela Condello, titolare dell’indagine, nei confronti di EWUNORAGBON Friday, nato in Nigeria il 01.01.1966, soggetto intraneo al mondo dello sfruttamento della prostituzione e ritenuto responsabile dei reati di cui all’art 18 e 19 della legge n. 194\78, in materia di interruzione di gravidanza.

L’attività di indagine, partita nello scorso settembre, iniziava con frequenti attività di osservazione e pedinamento del soggetto che, sin da subito, si mostrava assolutamente insospettabile in quanto veniva notato più volte mentre chiedeva l’elemosina ed aiutava a portare le borse della spesa, in un noto centro commerciale di Napoli. L’insospettabile “accattone” in realtà era soprannominato “Doctor”, per le sue conoscenze mediche e svolgeva aborti, dietro la richiesta delle Madame che sfruttavano giovani ragazze connazionali nell’attività di meretricio sul litorale domitio. La triste attività svolta dell’indagato, era rivolta a tutte quelle ragazze che, rimanendo incinte a causa della grave condizione di sfruttamento a cui erano sottoposte in modo continuativo,  non potevano ormai più essere impiegate in strada e dunque contribuire al guadagno delle proprie aguzzine. L’attività di indagine, posta in essere con l’utilizzo di intercettazioni telefoniche ed ambientali, ha permesso agli inquirenti di far luce sul macabro operato dell’indagato che, nel breve monitoraggio, si è reso responsabile di circa sei aborti. L’imponente numero di clienti che contattavano il dottore, ha fatto comprendere alla polizia giudiziaria, quanto fosse fruttuoso il giro di affari del sospettato. Per un singolo aborto procurato con la somministrazione di farmaci, percepiva un compenso di 300  euro mentre, per un aborto procurato, oltre i tre mesi di gravidanza e necessario di operazione, chiedeva un corrispettivo in denaro di circa 2500 euro.

Il provvedimento di fermo si è reso necessario per interrompere la condotta criminosa del soggetto nigeriano che si mostrava -durante le intercettazioni – totalmente indaffarato da tale attività. L’operazione si è conclusa quando la polizia giudiziaria, ha fatto irruzione nella casa ove si svolgeva tale scempio. I militari, una volta entrati all’interno dello stabile, hanno dovuto abbattere una porta, inchiavata dall’esterno, che conduceva ad una stanzetta di pochi metri quadrati ove venivano trovate due ragazze nigeriane ventenni. Nell’immediatezza veniva svolta una perquisizione accurata della casa che permetteva di rinvenire diversi farmaci, da utilizzarsi sotto prescrizione medica ma di uso comune, che come effetto collaterale potessero cagionare l’aborto. Inoltre, venivano rinvenute delle cannule ginecologiche sterili, fazzoletti imbevuti di sangue e altri strumenti utilizzati per tali pratiche. Le due ragazze venivano condotte immediatamente alla clinica Pineta Grande di Castel Volturno dove veniva constato l’avvenuto aborto di una delle due e lo stato di gravidanza, risultato alla dodicesima settimana, per l’altra. Entrambe venivano ricoverate. La preziosa collaborazione degli interpreti, ha permesso di aprire un eccellente dialogo con le ragazze sfruttate che decidevano di collaborare e di raccontare tutto quello che avevano patito. Una delle due ha raccontato di aver subìto, contro la sua volontà, delle manovre assolutamente invasive da parte dell’indagato che le provocavano un aborto con ingente perdita di sangue. L’altra, pur avendo subito le sevizie, allo stato non aveva ancora perduto il bambino. Il racconto delle ragazze ha anche fatto luce sul macabro contesto di sfruttamento della prostituzione in cui erano finite. Entrambe, originarie della Nigeria, ed arrivate in Italia dalla Libia, vittime di tratta di esseri umani, venivano indotte a prostituirsi sul litorale domitio e solo dopo aver avuto quello che agli occhi dei loro aguzzini era considerato un incidente di percorso, esse erano costrette ad abortire contro la loro volontà.

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Redazione

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