(VIDEO) Alessia e Alessandro, i femminielli della Napoli arcobaleno

Alessia “nata sbagliata” che sogna una famiglia unita, famiglia che non ha mai avuto, Alessandro che vive quotidianamente con l’aiuto prezioso dei genitori in un quartiere tanto difficile come Scampia. Sono due testimoni dell’essere ‘femmenèlla” – come da sempre a Napoli ci si riferisce ad un maschio omosessuale con espressività marcatamente femminili (spesso sovrapposto alla più diffusa realtà transgender o transessuale) – oggi in una città arcobaleno che affronta il tema della tolleranza nei confronti della comunità LGBT.

Hanno accettato di raccontarsi in Nata Femmena, il film documentario di Pasquale Formicola e Elisabetta Rasicci su Ra3 per il ciclo Doc3- Il cinema del reale, Alessia Cinquegrana, nata come Giovanni, 29 anni, è la prima sposa trans in Italia. Alessandro Saggiomo, 25 anni, attore e drag queen, è attivista del mondo LGBT napoletano ed aspirante nuova RuPaul.

“È importante mostrare fin dove si spinge la voglia di cambiare. Mostrare il conflitto umano che c’è alla base di un tale, radicale, cambiamento. Alessia ed Alessandro sono sfaccettature dello stesso volto. E raccontiamo – dicono i registi – l’eterno conflitto tra paura e amore riflesso nei gen-itori dei protagonisti che sono combattuti tra l’amore per i figli e l’odio e la paura di chi li giudica. Mostrare anche il lato ‘vile’ e perverso dell’amore, quando un padre decide di eliminare per sempre dalla propria vita un figlio da lui stesso creato in quanto non conforme a quello che desiderava e l’attrazione malata verso un individuo indifeso tanto da indurlo a farsi del male tentando il suicidio”.

La figura del “femmenèlla” esiste da molto tempo nella tradizione campana, all’interno della quale riesce a godere di una posizione relativamente privilegiata grazie alla sua partecipazione ad alcune manifestazioni folkloristiche (a volte anche di ambito religioso come la “Candelora al Santuario di Montevergine ad Avellino” oppure la “Tammurriata” alla festa della Madonna dell’Arco). “Oggi, invece – dicono gli autori spiegando le ragioni ‘politiche’ del film- con il progressivo impoverimento culturale del paese assistiamo a manifestazioni di intolleranza nei confronti di una categoria un tempo integrata ed apprezzata nella comunità. Nelle generazioni più giovani si assiste oggi al doppio fenomeno dell’inculturamento, per il quale alcuni di coloro che in passato si sarebbero definiti femminielli oggi si definiscono semmai “trans”. Mancando un supporto ideologico all’interno della comunità si crea terreno fertile per la nascita di incomprensioni in ambito familiare per i trans napoletani, che si vedono emarginati all’interno delle loro stesse famiglie. “La gente parla” è la motivazione sulla quale si ergono i timori e i pregiudizi di madri e padri di trans dichiarate, operate o in transizione”.


L’intero documentario, prodotto da VeridisQuo, viaggia su due linee di narrazione.

Ad Aversa c’è Alessia Cinquegrana che per lo Stato Italiano è una donna a tutti gli effetti, eppure non si è ancora sottoposta all’operazione chirurgica finale. Nel luglio del 2017 ha sposato Michele con un rito religioso scontrandosi ferocemente con i dogmi della Chiesa Cattolica. La voglia di riscatto sociale di Alessia passa dal mega matrimonio all’inizio di un’attività imprenditoriale. Con la possibilità, offerta dallo stato italiano, di usufruire di fondi di sviluppo per le imprese giovanili, Alessia ha aperto un negozio di abbigliamento femminile. Eppure manca ancora qualcosa. Davanti al Santuario della Madonna dell’Arco, Alessia prega per ottenere un’ultima grazia: il suo ultimo desiderio è quello di poter diventare madre, adottando una bambina. “È stato bello raccontare tutto ciò che ho sofferto per giungere ad un traguardo, un traguardo che mi auguro porti ad una vittoria per chi ha un vissuto simile al mio, perché la nostra vita è fatta di alti e bassi. Sono contentissima del risultato del documentario”, dice Alessia.

Alessandro Saggiomo è un giovane piastrellista di Scampia, ma di notte si trasforma in Mamy O’Hara, una drag queen difficile da non notare. La forza di Alessandro sono i genitori che lo hanno sempre appoggiato e seguito facendogli quasi da assistente. Mamy ci racconta che non ha alcuna intenzione di diventare una trans perché si sente maschio. Ma il suo sogno è di diventare una star e per questo partecipa ad un talent show che va in onda su di una tv privata napoletana. “È di fondamentale importanza che una storia come la mia approdi in televisione. In tanti da casa si potranno identificare nel mio vissuto fatto di emozioni grandi e forti che metto nel mio bagaglio di vita, non arrendendomi mai dinanzi agli ostacoli ma superandoli sempre a testa alta”.

A fare da fil rouge uno dei più influenti drammaturghi napoletani, Enzo Moscato, che negli anni ’80 ha utilizzato nel dramma “Scannasurice” il personaggio di un femminiello come simbolo della globalizzazione della cultura napoletana. “Io sono nato e vissuto fino a 10 anni sui quartieri spagnoli. Da bambino ricordo che arrivavano sti femminielli arrivavano nei vicoli e come campavano? Di certo non campavano come hanno fatto poi nei decenni successivi, prostituendosi, facendo i travestiti oppure le tombole nelle case. Qualcuno poi finì pure col fare l’attore di varietà e via discorrendo… e questi no, facevano proprio teatro di strada. Io me lo ricordo questo fatto. E facevano la riffa con i panarielli e noi bambini vedendo questi individui strani mostruosi, perché erano maschi e femmine contemporaneamente non è che si travestissero però si agghindavano oltre che essere espressivamente più sul lato femminile che maschile e poi giocavano col vicolo, con i bambini, e quindi questa è stata la prima forma teatrale a cui ho assistito e poi riflettendoci sopra poi tutti gli elementi si compongono e quella era un’immagine antropologica per certi versi ma contemporaneamente anche teatrale perché per Napoli non si può scindere l’antropologia, la sociologia dalla teatralità”.

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