Pedofilia nella Chiesa, Diego si incatena in Vaticano: denunciato

Diego Esposito, uscito allo scoperto con il suo vero nome, Arturo Borrelli, si è incatenato in Vaticano perché non ha più notizie del processo al sacerdote che avrebbe abusato di lui da piccolo. Per la sua protesta è stato portato in Questura. Ma lui non si arrende, rivolgendosi direttamente al Papa

Nuova protesta di Diego, nome di fantasia utilizzato all’inizio da Arturo Borrelli nel servizio di Pablo Trincia in cui ha raccontato gli abusi sessuali che avrebbe subìto da ragazzino da parte di un prete. Questa mattina, si è incatenato fuori dal Vaticano, protestando anche contro Papa Francesco. “Dice di voler stare vicino a noi vittime, io ho l’aiuto di tutti e invece mi manca proprio quello della sua Chiesa”.

Il suo dramma ha inizio a 13 anni, quando a Ponticelli (Napoli) sarebbe stato abusato dal suo professore di religione delle medie, don Silverio Mura, processato per quei fatti dal Tribunale ecclesiastico di Milano. “Ha scelto il rito abbreviato per avere un terzo di pena scontata”, dice Diego, che non sa altro del procedimento. “Mi sono legato a una ringhiera per una decina di minuti. Poi sono venute le forze dell’ordine che si sono manifestate solidali nei miei confronti”. È stato scortato in commissariato e denunciato per procurato allarme.

“A Papa Francesco ho fatto avere tutta la documentazione sulla mia vicenda. A che punto è arrivato il processo?”, si chiede ancora Diego, che ha incontrato una volta Papa Francesco. “Non ho avuto nessuna risposta dal Vaticano. Sono pronto a farmi arrestare ma farò di tutto per essere ascoltato. Io voglio solo giustizia per cercare di riprendermi un po’ della mia vita”.

Quell’incubo della sua infanzia lo accompagna in ogni momento della giornata: “Ho sognato il prete che ammazzava mia moglie e io non riuscivo a reagire. Ho anche dovuto aumentare le pillole giornaliere e la notte non riesco più a dormire”.   

Nel nostro servizio, Arturo Borrelli, al tempo ancora sotto il nome di Diego, ha raccontato le violenze sessuali subite “per 3 anni, 2-3 volte alla settimana” e la sua lotta di decenni per vederle riconosciute dalla Chiesa.

Dopo 25 anni, registrando tutto, aveva incontrato di nuovo don Silverio, che non negava quanto avvenuto ma lo invitava solo a pregare. La Curia di Napoli poi lo aveva fatto sottoporre a una perizia psichiatrica (lui aveva registrato anche quella), che in realtà sembra incolpare lui per il fatto di essere andato a casa del sacerdote. 

Gli abusi di don Silverio non avrebbero segnato la vita solo di Diego, che da allora vive tra psicofarmaci e attacchi d’ansia e di panico. Ci sarebbero altre vittime. Una di queste, Giuseppe (anche in questo caso il nome è di fantasia), l’abbiamo intervistato incappucciato. Almeno altre nove persone sarebbero disposte a testimoniare per quello che, come sosteniamo nel servizio della Iena Pablo Trincia e dell’autore Marco Fubini, potrebbe essere “uno dei più grossi casi per abusi sessuali all’interno della Chiesa italiana”. 

Don Silverio, nel frattempo, si era trasferito al Nord, a Montù Beccaria (Pavia), dove, sotto il falso nome di don Saverio Aversano, continuava tranquillamente a fare il catechista. È bastato che andasse in onda il nostro servizio perché il sacerdote facesse perdere di nuovo le sue tracce. Mentre le mamme del paese raccontavano a noi e in una lettera al Papa il loro sconcerto. Perché il catechista dei loro figli era un uomo accusato di pedofilia, che ora dovrà risponderne, trent’anni dopo, anche davanti a un Tribunale della Chiesa.

Guarda qui in basso il servizio di Pablo Trincia e gli altri articoli e servizi principali che abbiamo dedicato al caso.

Redazione

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