(Video) Affondò nel 1942, ritrovato relitto di un incrociatore vicino all’isola di Stromboli

Le profonde acque del Tirreno lo hanno nascosto per 77 anni, a sud di Stromboli, dove era stato silurato nell’aprile del 1942 in piena II Guerra Mondiale portando alla morte – in uno degli naufragi più drammatici della storia militare italiana – buona parte dei 507 marinai a bordo, vinti dalle ferite, dallo choc, dall’acqua gelida che si era tinta di nero per le tonnellate di nafta fuoriuscita dai serbatoi. L’incrociatore leggero Giovanni Delle Bande Nere, o quanto ne resta dopo tanti decenni, è stato ritrovato dal cacciamine Vieste a una profondità compresa tra i 1460 e i 1730 metri: un’identificazione avvenuta grazie ai sofisticati veicoli subacquei che il mezzo della Marina Militare ha in dotazione. A colpire il Giovanni dalla Bande Nere e a fare scempio del suo equipaggio era stato il sommergibile britannico Urge, “serial killer” della navi italiane nel Mediterraneo: aveva già affondato la petroliera Franco Martelli, danneggiato la nave passeggeri Aquitania e il mercantile Marigola e silurato anche la corazzata Vittorio Veneto.

MARINA MILITARE: RITROVATO LINCROCIATORE LEGGERO GIOVANNI DELLE BANDE NERE AFFONDATO NEL 1942 La scoperta effettuata dal Cacciamine Vieste della Marina Militare grazie alle sofisticate apparecchiature in dotazione
Varo del regio incrociatore leggero Giovanni delle Bande Nere, classe Alberto di Giussano. Genova, 27 aprile 1930. La madrina del varo fu la principessa Maria Adelaide di Savoia. L’incrociatore fu affondato da due siluri lanciati dal sommergibile britannico Urge presso Stromboli il 1° aprile 1942. Roma, 9 marzo 2019.

“Non sono mai sceso dal Giovanni dalle Bande Nere, io mi sono salvato ma il mio destino e il mio cuore sono ancora lì, con tutti i miei compagni che sono morti quel primo aprile del 1942”, raccontava uno dei pochi superstiti, Gino Fabbri, fuochista ausiliario che all’epoca aveva 20 anni. Una storia che segnò tutta la sua vita fino alla morte avvenuta nel 1966 a soli 44 anni: a riportare la sua testimonianza i suoi tre figli Mirella, Bruno e Aurelio Fabbri. Il fuochista fu salvato e ricoverato all’ospedale di Messina dopo molte ore di permanenza in mare, ricoperto di nafta e petrolio su tutto il corpo. “Papà – spiega la figlia – raccontava dell’esplosione, della luce che si spegneva, di come aveva aiutato un altro fuochista a mettere in mare la zattera, subito occupata da numerose persone, mentre lui era rimasto in acqua con altri. E il suo più grande rimpianto era di non essere riuscito a salvare i compagni, in particolare quattro che aveva visto sparire tra le onde. Lui, poi, allo stremo delle forze, era riuscito a nuotare fino alla torpediniera Libra dove fu issato a bordo con una cima”.

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Redazione

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