Pec avvocati hackerata, AIGA chiede piattaforma telematica ‘upload’

Sono passati pochi giorni da quello che è stato il primo vero massivo attacco al sistema del processo telematico, che ha violato le caselle PEC di oltre 50.000 avvocati italiani. La gravità di quanto accaduto si commenta da sola e le responsabilità, a tutti i livelli, andranno accertate nelle sedi competenti. Esula da questo commento qualsiasi finalità strumentale e polemica, ma AIGA ritiene opportuno riflettere, in maniera concreta e propositiva, sui rischi derivanti dall’attuale conformazione del processo telematico e su come sia possibile superarli. È di solare evidenza che l’attacco alle caselle PEC ed il loro conseguente blocco cautelativo, ha determinato un grave problema di gestione dei depositi in scadenza con una generalizzata situazione di incertezza per il rispetto dei termini processuali ponendo a serio rischio, in primis, i diritti dei cittadini“. E’ quanto denuncia l’AIGAAssociazione Italiana Giovani Avvocati.

“Come a tutti noto infatti il legislatore, qualche anno fa ha scelto proprio lo strumento della PEC come unica modalità di deposito degli atti nel processo civile, prevedendo specifiche autorizzazioni al deposito cartaceo solo per i casi di malfunzionamento dei sistemi informatici del dominio giustizia. Come altrettanto noto, le PEC attualmente utilizzate anche per il deposito degli sono gestite da soggetti esterni al Ministero della Giustizia e la responsabilità circa il loro funzionamento è esclusivamente in capo agli avvocati che se ne servono. È altresì vero che le PEC sono fornite da gestori qualificati che dovrebbero garantire il massimo livello di sicurezza ed affidabilità dello strumento, ma i fatti accaduti sembrano confermare il contrario o quantomeno che, a prescindere dal livello di sicurezza adottato, non è possibile escludere completamente il rischio di una falla nel sistema informatico del fornitore, abilmente sfruttata dall’hacker di turno. A questo punto la prima domanda che verrebbe spontaneo porsi è come mai il legislatore non abbia previsto l’utilizzo, da parte degli avvocati, di PEC direttamente gestite dal Ministero della Giustizia. Questa scelta avrebbe almeno reso più chiara l’applicazione di quella norma che prevede l’autorizzazione al deposito cartaceo in caso di malfunzionamento dei sistemi informatici del dominio giustizia, e quindi anche della casella PEC, poiché appunto afferente al dominio giustizia, così come avrebbe permesso alla Direzione sistemi informativi automatizzati del Ministero un’effettiva verifica del malfunzionamento stesso. Fatto sta che ad oggi l’unico sistema per depositare un atto in corso di causa nel processo civile è la casella PEC esterna al dominio giustizia fornita da aziende private e, se questa per qualche ragione non funziona, ne siamo in primo luogo responsabili noi avvocati, salva la discussa possibilità di proporre istanza per l’autorizzazione al deposito cartaceo. La ragione ci dovrebbe quindi portare a sollecitare l’adozione di una norma che preveda uno strumento alternativo per il deposito degli atti, anche in caso di malfunzionamento della nostra casella PEC. Le soluzioni sono ben note alla tecnica, già implementate in altri sistemi informatici e richiederebbero per la loro attuazione un minimo sforzo sotto il profilo legislativo e regolamentare. Oltre un anno fa AIGA, con la propria delibera di Giunta Nazionale n. 5 del 16 marzo 2018, aveva fornito una soluzione per ovviare a questo problema, individuando nel sistema di deposito mediante upload diretto sul portale PSTGIUSTIZIA, una valida alternativa alle PEC, proponendolo altresì come unico sistema di deposito in ambito civile, amministrativo e tributario, al fine di superare l’attuale frammentazione dei riti telematici”.

“L’upload diretto degli atti e delle memorie si andrebbe infatti ad inserire in una architettura informatica che già prevede l’autenticazione dell’avvocato da parte del server ministeriale, al fine della consultazione dei fascicoli; sarebbe quindi sufficiente implementare la stessa prevedendo la facoltà per l’avvocato non solo di consultare ma altresì di depositare direttamente nel fascicolo gli atti ed i documenti. Questo sistema risolverebbe contestualmente diversi altri problemi organizzativi legati al deposito a mezzo PEC ed in particolare: si potrebbe prevedere un limite maggiore degli attuali 30 MB per il singolo deposito, superando quindi l’uso delle cosiddette buste concatenate, che risulta di improbabile utilizzo nel deposito degli atti introduttivi, in difetto del numero di R.G.; si potrebbe prevedere la possibilità di più upload successivi, gestiti direttamente dall’utente, in caso di documentazione estremamente voluminosa che superi anche il limite tecnico previsto per l’upload, superando il problema organizzativo per le cancellerie derivante dall’arrivo di più buste da ricondurre al medesimo fascicolo; si potrebbe avere immediata conferma del buon esito del deposito poiché il server emette una immediata ricevuta di protocollazione, che potrebbe contestualmente essere inviata a mezzo PEC al depositante ed alle controparti, risolvendo quindi i problemi legati alle valutazioni delle cancellerie in sede di conferma del deposito con l’invio della 4° PEC. Il tutto potrebbe essere ragionevolmente attuato grazie ad una maschera (form) XML open source che raccolga tutti i dati necessari al corretto instradamento dell’atto, come nel ben noto file DatiAtto.xml, esattamente come viene ora effettuato dai software di compilazione delle buste telematiche, superando altresì l’attuale limite, esistente nel PAT, dell’utilizzo di una tecnologia, quale il Portfolio PDF, di proprietà di ADOBE Inc. Il server ministeriale fornirebbe altresì adeguati livelli di sicurezza grazie all’uso di protocolli che prevedono la crittografia dell’operazione di upload. La PEC quindi potrebbe, in un tale sistema, divenire il sistema alternativo e residuale di deposito nei casi in cui il server ministeriale avesse dei malfunzionamenti, superando in tal modo anche le remore di chi afferma che l’upload diretto, in assenza di un’adeguata infrastruttura di connessione, potrebbe determinare il blocco del server stesso per i troppi accessi contemporanei. Da ultimo il passaggio ad un sistema di deposito tramite upload potrebbe essere una grande opportunità di risparmio per la PA che potrebbe, con l’occasione della necessaria riforma legislativa e regolamentare, adottare un’unica piattaforma software per il processo civile, amministrativo e tributario, pervenendo, allo stesso tempo alla tanto auspicata unificazione e semplificazione dei riti telematici. Serve tuttavia il coraggio di scegliere, prendendo atto che l’esperienza fin qui fatta è sicuramente pregevole ma è sicuramente migliorabile in ragione dell’esperienza maturata e dell’evoluzione della tecnologia, e che un minimo investimento sull’infrastruttura è uno sforzo necessario ma ampiamente giustificato se si vuole perseguire un obiettivo qualitativo di riforma e semplificazione. Avrà questo coraggio l’attuale governo del cambiamento?”.

Redazione

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