Casal di Principe. La seconda giornata della Summer School con Governale, Grasso, Melillo e Rapetto
Si è appena conclusa a Casal di Principe (Caserta) la seconda giornata della Summer School Ucsi – la scuola di giornalismo investigativo promossa dall’Unione cattolica stampa italiana di Caserta e dall’Agenzia pubblica per la legalità Agrorinasce, in collaborazione con l’Ordine dei giornalisti Campania – in programma fino a domani a Villa Liberazione (in via Angiolieri), già nota come “Villa Scarface”, bene confiscato al fratello del capoclan dei Casalesi, Walter Schiavone.
Sabato 14 settembre | Seconda Sessione
Presiede e coordina Ottavio Lucarelli, presidente Ordine dei giornalisti Campania
Comandante della Dia, generale Giuseppe Governale (in foto da sx): “Se la mafia prospera nel nostro Paese è perché lo Stato non è riuscito ad imporre la sua autorità sul territorio con decisione. Dovremmo prendere esempio dalla Germania che, dall’unificazione ad oggi, è cresciuta di oltre 30 punti percentuali. La questione meridionale dobbiamo ancora cominciare ad affrontarla. Bisogna partire dalla scuola, dai testi su cui studiano i ragazzi: solo un paio di pagine sono dedicate alla lotta alla mafia e al terrorismo. Gli americani nel ’43 sono sbarcati con l’aiuto dei mafiosi e li hanno fatti diventare sindaci. L’immigrazione ha molti lati positivi ma anche diversi lati negativi, poiché molti criminali sfruttano i flussi migratori per spostarsi. Anche il fenomeno del soggiorno obbligato ha creato diversi problemi e ha dato modo alle mafie di svilupparsi in maniera capillare. A Milano nel 2018 c’è stato un aumento del 38% dei ristoranti perché le organizzazioni criminali, in particolare la ‘ndrangheta, hanno l’esigenza di ‘lavare’ i proventi del narcotraffico. Le mafie, pur di ripulire il denaro, sono disposte a perderne una buona parte perché altrimenti il denaro sporco non sarebbe spendibile. Abbiamo difficoltà a battere le mafie perché, guadagno a parte, c’è sete di potere e la volontà di contare sul territorio. Si va dagli imprenditori sprovveduti agli affaristi complici. Ciò che manca per combattere concretamente le mafie è la motivazione, che non coincide con la professionalità. Si tratta di una malattia sistemica”.
Procuratore della Repubblica di Napoli, Giovanni Melillo (in foto da sx): “Il giornalismo è un pilastro del tessuto democratico del nostro Paese che va difeso. Le varie mafie hanno in comune un tratto spesso dimenticato: la capacità di trasformare la violenza in ricchezza. Ciò esige il ricorso alla corruzione. Le mafie hanno un servizio di intelligence per carpire informazioni sulle indagini in corso. Le organizzazioni criminali, attraverso gli imprenditori, cercano approvazione sociale e soprattutto una via di ingresso nel sistema legale. Nel 1980 i procuratori della Repubblica neanche pronunciavano la parola ‘mafia’, combattuta esclusivamente dalla società civile, dai sindacati e da alcuni partiti politici. La lotta alla mafia è un fenomeno relativamente recente. Oggi lo Stato è molto più forte ed autorevole di alcuni anni fa, la nostra legislazione antimafia è considerata un modello a livello mondiale. Quando si diffonde tra i cittadini il convincimento che l’intervento dello Stato porta ad un impoverimento, o comunque a qualcosa di negativo, la mafia trova terreno fertile. Le organizzazioni mafiose sono un fenomeno estremamente complesso, intrecciato con la società, con la politica, con l’imprenditoria. La mafia minaccia pesantemente il patto di coesione sociale su cui si fonda la nostra nazione. Per questo la mentalità camorristica va combattuta ad ogni costo. Cogliere il nesso che esiste tra mafia, corruzione e pubblica amministrazione sarebbe un buon punto di partenza. La mafia è fatta di valori sostitutivi rispetto a quelli dello Stato, e tali valori non sono solo quelli dei mafiosi ma rappresentano una spaventosa normalità che riguarda molti cittadini. Per combattere la mafia bisogna migliorare il filtro amministrativo, spesso composto da funzionari impreparati e quindi non in grado di opporsi allo strapotere mafioso”.
Senatore Pietro Grasso, già procuratore nazionale Antimafia:
“Ci tenevo ad essere qui perché questo luogo ha un forte valore simbolico per quanto riguarda la lotta alla mafia. La storia della mafia è sempre stata caratterizzata dal business: l’azione della mafia spazia dalle attività tradizionali a quelle più dinamiche, proprie dell’economia contemporanea. Il boss Graviano, mentre era rinchiuso all’Ucciardone, mi fece una panoramica delle uscite e delle entrate di Cosa Nostra: tutto organizzato e rendicontato nei minimi particolari. Attività che davano guadagno da investire nel traffico degli stupefacenti, come i sequestri di persona ed il contrabbando di tabacchi, spesso svolta congiuntamente ad alcuni clan della camorra napoletana che assicuravano contatti e canali preferenziali con l’estero. Cosa Nostra acquista molto potere grazie al traffico di eroina, posto in essere grazie alla collaborazione di mafiosi americani come i Gambino. Ciò che a un certo punto limitò l’espansione della mafia, fu la guerra tra i corleonesi e le famiglie di Palermo. In quel periodo avvenne un episodio che colpì profondamente Giovanni Falcone: sull’isola di Aruba, Cosa Nostra incontrò Pablo Escobar per organizzare il traffico di cocaina su scala mondiale. E dopo la caduta del muro di Berlino cominciarono i contatti anche con la mafia russa. Mentre Riina si occupava del traffico di stupefacenti e del sacco di Palermo, Provenzano già nel 1984 aveva capito come inserirsi nel settore delle forniture sanitarie. Inoltre, instaurò un sistema di relazioni esterne alla mafia ma che contribuivano alla crescita del potere mafioso. Un sistema di controllo diretto degli appalti pubblici, che consentiva a Cosa Nostra di gestire le opere pubbliche. Il ‘sistema Provenzano’ garantiva alla mafia un controllo diretto di ogni settore della vita economica, grazie ai contatti con il mondo di politica, pubblica amministrazione e professionisti. I capitali acquisiti dovevano essere occultati mediante il riciclaggio attraverso paesi come la Svizzera e lo strumento della compensazione delle valute nei paradisi fiscali. Oggi i mafiosi finiscono per utilizzare gli stessi canali dell’economia legale, sia per fare affari che per riciclare. L’Eurispes ha calcolato che l’economia di Cosa Nostra ammonta a circa 33 miliardi di euro. Ma si tratta di capitali che, se investiti, non producono né crescita né sviluppo. La mafia produce solo l’arricchimento di pochi”.
Giacomo Di Gennaro, Università Federico II di Napoli, curatore del “Rapporto criminalità grandi aree urbane italiane”: “C’è il rischio di sopravvalutare solo la dimensione economica delle organizzazioni criminali. Bisogna cogliere gli aspetti di supporto all’attività economica, come la politica deviata e la situazione socio-culturale. L’omertà e l’uso strumentale della violenza vanno tenute in conto. Altro elemento da tenere presente è quello che considero il reato-madre, ovvero l’estorsione. Non è affatto vero che le mafie hanno rinunciato all’uso della violenza e quindi delle attività estorsive, fondamentali per il controllo del territorio. Le aree più colpite sono quelle meridionali, ma anche al Nord il fenomeno è presente. Bisogna rivedere le politiche di lotta alla mafia, altrimenti avremo nei prossimi 20 anni il proliferare di nuovi gruppi criminali. Altro reato da attenzionare è l’usura, che non segue sempre e per forza network criminali. Nella strategia delle mafie l’usura è diventata un mezzo per infiltrarsi ed impossessarsi delle attività imprenditoriali e commerciali. La responsabilità delle banche è forte rispetto all’usura poiché, come le mafie, giocano sulle aste immobiliari. Il sovraindebitamento causato dalla crisi e da tassi di interesse altissimi, ha finito per favorire gli usurai e, di riflesso, l’economia criminale. Se l’imprenditore in difficoltà trova porzioni piccolissime di mercato del credito legale, è quasi costretto a rivolgersi alle organizzazioni criminali”.
Giacomo Di Gennaro, Università Federico II di Napoli, curatore del “Rapporto criminalità grandi aree urbane italiane”: “C’è il rischio di sopravvalutare solo la dimensione economica delle organizzazioni criminali. Bisogna cogliere gli aspetti di supporto all’attività economica, come la politica deviata e la situazione socio-culturale. L’omertà e l’uso strumentale della violenza vanno tenute in conto. Altro elemento da tenere presente è quello che considero il reato-madre, ovvero l’estorsione. Non è affatto vero che le mafie hanno rinunciato all’uso della violenza e quindi delle attività estorsive, fondamentali per il controllo del territorio. Le aree più colpite sono quelle meridionali, ma anche al Nord il fenomeno è presente. Bisogna rivedere le politiche di lotta alla mafia, altrimenti avremo nei prossimi 20 anni il proliferare di nuovi gruppi criminali. Altro reato da attenzionare è l’usura, che non segue sempre e per forza network criminali. Nella strategia delle mafie l’usura è diventata un mezzo per infiltrarsi ed impossessarsi delle attività imprenditoriali e commerciali. La responsabilità delle banche è forte rispetto all’usura poiché, come le mafie, giocano sulle aste immobiliari. Il sovraindebitamento causato dalla crisi e da tassi di interesse altissimi, ha finito per favorire gli usurai e, di riflesso, l’economia criminale. Se l’imprenditore in difficoltà trova porzioni piccolissime di mercato del credito legale, è quasi costretto a rivolgersi alle organizzazioni criminali”.
Sostituto procuratore Dda Napoli, Alessandro D’Alessio:
“Le organizzazioni criminali hanno la capacità di farsi interpreti dei sogni delle persone, andando a sostituire lo Stato. Secondo quanto riportato dai collaboratori di giustizia, il clan dei Casalesi non si è mai occupato di tre attività criminali: le esecuzioni immobiliari, spesso rivolte alla povera gente, gli stupefacenti e l’usura. Avevano capito che dovevano farsi amare dalla gente per acquisire potere e controllare il territorio. Quello che mi fa arrabbiare è l’eccessiva disponibilità delle banche ad aiutare i cosiddetti ‘investitori sponsorizzati’, senza ricevere particolari garanzie. L’estorsione è essenziale per il controllo del territorio, ma oggi si assiste ad un mutamento: gli imprenditori si fanno forti della complicità con mafia e politica e, grazie alla corruzione, arrivano praticamente ovunque.
“Le organizzazioni criminali hanno la capacità di farsi interpreti dei sogni delle persone, andando a sostituire lo Stato. Secondo quanto riportato dai collaboratori di giustizia, il clan dei Casalesi non si è mai occupato di tre attività criminali: le esecuzioni immobiliari, spesso rivolte alla povera gente, gli stupefacenti e l’usura. Avevano capito che dovevano farsi amare dalla gente per acquisire potere e controllare il territorio. Quello che mi fa arrabbiare è l’eccessiva disponibilità delle banche ad aiutare i cosiddetti ‘investitori sponsorizzati’, senza ricevere particolari garanzie. L’estorsione è essenziale per il controllo del territorio, ma oggi si assiste ad un mutamento: gli imprenditori si fanno forti della complicità con mafia e politica e, grazie alla corruzione, arrivano praticamente ovunque.
Spesso mi è capitato di ascoltare imprenditori che, con i loro parenti, dichiarano di non sentirsi complici ma vittime della camorra. Non si rendono conto che la camorra ha bisogno degli imprenditori. La mafia casalese ha capito subito che per guadagnare bisognava controllare certi settori dell’economia attraverso i consorzi. La grande intuizione di Zagaria è stata quella di non bloccare i cantieri, ma di diventare soci dei grandi imprenditori”.
Generale Umberto Rapetto (in foto al centro), già comandante Nucleo Frodi Telematiche Guardia di Finanza: “Le mafie ormai si sono evolute, i mafiosi mandano i loro figli a studiare ad Harvard. Solo gli amanti del vintage si dedicano ancora alla prostituzione e alle estorsioni. I Bitcoin sono utilizzati per fare affari illeciti online, ma non tutte le organizzazioni criminali sono pronte, ad esempio, a pagare una partita di droga con le criptovalute. Reperire Bitcoin non è affatto difficile: il crimine organizzato sta già investendo in grandi computer che sono capaci di autogenerare il denaro attraverso operazioni matematiche. In tempi recenti, è stato scoperto che le organizzazioni criminali e terroristiche utilizzano mezzi, anche molto semplici come il ransomware, per fare cassa. I mafiosi hanno capito che operare online comporta meno rischi e assicura guadagni maggiori. Un clan napoletano ha organizzato un’operazione che gli ha garantito enormi guadagni attraverso la clonazione di dati sensibili e SIM telefoniche. Inoltre, attraverso la rete è molto più semplice spostare ingenti capitali all’estero”.