Coronavirus in Campania, UIL Pensionati: “Rischiamo crisi sociale”
Mentre il Paese vive una delle più grandi emergenze della storia e i numeri dei nuovi contagi iniziano a lasciar intravedere spiragli di luce, chi governa è chiamato, a tutti i livelli, a far fronte al rischio di una catastrofica crisi sociale, generata dalla chiusura della maggior parte delle attività produttive e la conseguente perdita di reddito per molte famiglie.
Abbiamo interpellato, a riguardo, il segretario della UIL pensionati della Campania Biagio Ciccone, per fare insieme a lui il punto della situazione sull’intera gestione dell’emergenza.
Segretario Ciccone, secondo alcune proiezioni, forse è stato superato il cosiddetto “picco dei contagi” e ci stiamo avviando all’uscita dalla crisi epidemica. Lei, che è responsabile della UIL pensionati Campania, può dirci come hanno vissuto e come stanno vivendo quest’esperienza i pensionati?
Nella fase iniziale, questa crisi è stata gestita male, soprattutto in termini di comunicazione. Infatti, il messaggio che il contagio fosse letale solo per gli anziani ha avuto conseguenze gravi: gli anziani si sono sentiti abbandonati al loro destino, i giovani, invece, liberi di poter continuare ad avere stili di vita non compatibili con il contenimento dell’epidemia. Le tragiche conseguenze di questo tipo di comunicazione sono oggi sotto gli occhi di tutti, giacché, con il passare dei giorni, è via via aumentato il numero dei giovani che non sono riusciti a superare il contagio.
Giudica adeguate le misure adottate dal Governo per aiutare gli anziani in questa drammatica situazione?
Ho molto apprezzato il fatto che il Governo si sia preoccupato di ridurre al minimo i disagi per i pensionati, modificando le modalità di pagamento delle pensioni, ovvero quelle per le prescrizioni e il ritiro di medicinali. Mi dispiace però constatare che c’è voluta questa tragedia per fare cose che, in paesi normali, sono realtà da tempo, grazie allo sviluppo tecnologico. Mi riferisco proprio alle modalità telematiche di trasmissione delle prescrizioni mediche, che, se non rientreranno una volta superata l’emergenza, eviteranno anche in futuro quelle inutili, umilianti code negli ambulatori dei medici di base per una mera formalità burocratica, ovvero per ritirare la prescrizione dei soliti farmaci.
E per quanto riguarda le misure adottate per le fasce deboli in difficoltà economiche, cosa dice?
Il Governo ha di fatto assegnato ai Comuni il compito di tutelare le fasce deboli, soprattutto quelle prive di reddito. È una decisione coerente con quello che è l’assetto istituzionale del Paese, che vede il Comune deputato, in forma singola o associata, all’erogazione dei servizi sociali, costituendo la prima porta di accesso alla rete del sistema dei servizi sociosanitari. Il problema, però, è che ci troveremo di fronte ad interventi che saranno disomogenei sul territorio nazionale, soprattutto al sud. Invero, i Servizi sociali dei Comuni non sempre hanno avuto la disponibilità delle necessarie risorse finanziarie e umane, con la conseguenza che oggi non dispongono neppure di tutti i dati per poter indirizzare al meglio i fondi disponibili e, per giunta, contenuti. Si è mai domandato quanti Comuni hanno un elenco aggiornato dei soggetti svantaggiati, dei fragili (ex detenuti, ex tossicodipendenti o alcolisti…), degli invalidi, dei senza fissa dimora, ecc…
È quindi scettico su quello che i Comuni riusciranno a fare per evitare che l’epidemia provochi anche una crisi sociale?
Purtroppo, temo una crisi sociale. Questo, perché non è che ci ritroviamo impreparati a combattere un virus, ma a fare quello che normalmente dovremmo fare. I Servizi sociosanitari dovrebbero funzionare indipendentemente dalle epidemie. Ma, il blocco alle assunzioni, come i tagli alla finanza degli Enti locali, hanno prodotto non poche conseguenze, con il risultato che le inefficienze accumulate non le possiamo superare in pochi giorni, anche ricorrendo a provvedimenti straordinari, come quello del sostegno alimentare, che va segnalato è un provvedimento di protezione civile. Avremmo dovuto, e in futuro dovremo, investire sulle competenze e sulle tecnologie per avere i migliori servizi possibili. Altrimenti, continueremo a sprecare solo risorse, come si sono sprecate nell’ultimo decennio con i tentativi di avere una pubblica amministrazione digitalizzata; tentativi miseramente falliti per la miopia o per l’ingordigia politica degli amministratori locali, tant’è che ciascun Ente locale ha il proprio inefficiente sistema informatico, che non dialoga con nessuno.
Non ritiene che il gap sui servizi sociosanitari possa essere recuperato con il ricorso alle associazioni di volontariato locali, secondo il principio di sussidiarietà?
Sono fortemente convinto che l’associazionismo sociale, come avvenuto in passato, possa fare la sua parte per assicurare servizi indispensabili ai cittadini. Tuttavia, senza una guida forte e autorevole, il volontariato finisce solo per assorbire risorse e per costituire centri di potere. A mio avviso, solo se le diverse Istituzioni del Paese recupereranno competenze, sapranno fare strategie, senza far prevalere gli interessi di cortile, e sapranno controllarne e guidarne la realizzazione, l’associazionismo potrà dare un apporto risolutivo e coerente con le risorse che comunque assorbe e con la mission propria. Diversamente, continueremo ad assistere a un associazionismo autoreferenziale, che spreca risorse, si rifugia nelle pieghe delle interpretazioni legislative per non dar conto della propria gestione e si ritrova sempre con le stesse persone ai vertici; circostanza, quest’ultima, che naturalmente fa dubitare della sussistenza del “volontariato”, presupposto anche dalla disciplina sul Terzo Settore, e induce a pensare quello che ho già detto in passato, ovvero che l’attività nel volontariato sia diventato per alcuni un mestiere.
Attribuisce al fallimento dei cosiddetti servizi sociali il fatto che molti anziani sono deceduti soli nelle proprie abitazioni o nelle Case di riposo?
Ritengo che una delle pagine più drammatiche, ma anche più vergognosa, di questa amara esperienza sia rappresentata dalle c.d. morti silenziose, ossia dai tanti e tanti anziani che o sono morti tra le mura domestiche, senza che nessuno se ne accorgesse, o nelle strutture di assistenza dove erano ospitati, qualche volta persino lasciati infettati e soli da chi invece avrebbe dovuto accudirli. Leggevo in questi giorni che 80 anziani non autosufficienti de “La Fontanella”, nel Comune di Soleto, in provincia di Lecce, sono rimasti per almeno due giorni di seguito senza mangiare né ricevere le cure mediche prescritte, perché tutto il personale della struttura si è messo in quarantena. Quanti Soleto ci sono in Italia? Leggevo pure che anche in Lombardia sono stati più di cento gli anziani deceduti per il virus in strutture di assistenza gestite con operatori privi di mascherine e non soggetti ad alcun test. Anche nella nostra Regione, abbiamo registrato decessi in strutture di assistenza per anziani; inoltre, in Campania, anche in questi mesi sono risultate ancora in attività strutture già diffidate e non autorizzate all’esercizio delle attività, definite dai media dei veri e propri lager. Personalmente, ritengo che nulla possa giustificare questa vergogna, neppure un’epidemia. È la prova concreta del fallimento delle politiche sociosanitarie e di tutto il relativo sistema.
Cosa dobbiamo fare in futuro per evitare che ciò si ripeta?
Anche a costo di sembrare ingenuo, ripeto che gli Enti Locali dovrebbero fare bene quello che compete loro, senza interessi di cortile e, soprattutto, con le necessarie competenze e strategie, avvalendosi pure in modo trasparente dell’associazionismo sociale, opportunamente guidato e controllato; associazionismo che va disciplinato proprio per evitare che continui a rappresentare, in un momento di grave crisi economica quale quella che stiamo già vivendo, solo uno dei tanti rivoli di dispersione di risorse pubbliche per la sopravvivenza di fortini personali. Non comprendo perché a nessuno sia venuto in mente di studiare quante “sovrastrutture” esistono nell’ambito del Terzo Settore e quanto costano queste sovrastrutture, ovvero quante risorse finanziare assorbono, che, se recuperate ed incanalate in un procedimento di distribuzione/assegnazione più razionale, consentirebbero di avere maggiori disponibilità per l’Associazionismo locale.
Una nota positiva?
I complimenti di Sky News World all’ospedale Cotugno di Napoli, come modello di eccellenza mondiale. Nessun infettato tra il personale sanitario, frutto di esperienza, protocolli e organizzazione perfetta, a cui si poteva guardare per evitare tanti disastri. Tanti elogi dalla stampa straniera per il lavoro del personale sanitario che, a partire dal Pascale, ha sollecitato la sperimentazione Aifa della cura e prevenzione delle polmoniti. Un esempio da cui partire per un servizio sanitario efficiente ed efficace nel nostro Paese. E, nonostante i tagli alla sanità e alla ricerca, al Sud, a Napoli, abbiamo seguito le raccomandazioni del grande Professore Cotugno che, in una lettera scritta prima della sua morte, raccomandava di studiare sempre da autodidatti: “da sé si fa meglio, non con l’altrui scorta. Il nostro animo si invigora e si fa forte quando capisce che, da solo, vale”.