Banchi a rotelle: è davvero innovazione?

Banchi a rotelle monoposto ed inclusione scolastica, dubbi e perplessità delle dottoresse Grazia Munciguerra e Marianna Martino dell’Organizzazione di Volontariato “Diversa-Mente”

Al giorno d’oggi si sente spesso parlare di inclusione scolastica, e anche la nostra associazione su essa ha fondato uno dei propri principi. L’obiettivo dell’inclusione è creare strategie affinché tutti gli studenti possano partecipare ed essere coinvolti al pari dell’intero gruppo classe. Questo consente di essere “diversamente” partecipi della classe, consentendo a tutti, con le proprie risorse e capacità, di dare il proprio apporto alla scuola.

Di questo tema si parla spesso eppure mai abbastanza, poiché ancora più frequentemente questo diritto all’inclusione ed all’integrazione scolastica viene messo in discussione. L’ultima novità riguarda il banco mobile con le rotelle“sponsorizzato” dalla ministra Azzolina, che, ha in più riprese affermato che non crede ci saranno problemi con i banchi a rotelle monoposto, nati in principio per risolvere quasi del tutto la criticità relativa al rapporto numero alunni/spazio aula post normative Covid19.

Come dottoresse, ci permettiamo di dissentire sull’effettiva “comodità” di questi banchi a rotelle. Conoscendo le condizioni “d’arredo scolastico” in cui i nostri bambini e ragazzi studiano, scuole che non sono ancora innovative o peggio ancora, con banchi e sedie vecchie, lavagna LIM che spesso non funziona e con strumenti di base che mancano (e manca anche carta igienica o gesso per la lavagna tradizionale), riteniamo opportuno prestare un occhio ai bisogni primari di alcuni studenti piuttosto che ad un’innovazione che ci sembra forzata ed irrispettosa. Certo, è doveroso sottolineare che queste non sono condizioni “universali” e che ci sono strutture che sono il fiore all’occhiello, ma con la stessa sincerità bisogna denunciare che la maggior parte delle scuole – almeno dalle nostre parti- non è ammodernata e sopratutto non è adeguata al sistema scolastico che tutela (dovrebbe!) i diritti degli studenti con neurodiversità. Tema a cuore alla nostra causa.

Banchi a rotelle, bisogna guardare sempre da un’altra prospettiva

Se guardiamo -per esempio- al banco monoposto con rotelle, come strumento pratico e non puramente estetico o rivoluzionario, le prime difficoltà sorgono per i bambini che hanno avuto diagnosi di ADHD. Per i non addetti ai lavori, la sigla ADHD sta per disturbo da deficit di attenzione e iperattività (in inglese) che viene spesso diagnosticato in età evolutiva e ne soffre dal 5% all’8% degli alunni. Uno dei principali sintomi riscontrabili è l’iperattività ovvero un’eccessiva attività motoria ed un dimenarsi eccessivo. Spesso i bimbi iperattivi si agitano sulla sedia “normale”, si alzano e sono irrequieti: Vi immaginate la difficoltà di un bambino con tale diagnosi, seduto su una sedia con le rotelle? Noi si. E per questo dissentiamo.

Anche i bambini che hanno difficoltà motorie, o i bambini con diagnosi di spettro autisticopotrebbero incorrere in problemi non solo logistici con il banco a rotelle. E le difficoltà diventano ancora più grandi per i bambini che sono in sovrappeso o sono più alti della media.

Inclusione per inclusione, vogliamo guardare anche agli studenti neurotipici che potrebbero vedere il banco monoposto a rotelle come un gioco, aumentando il caos scolastico e la distrazione: gli insegnanti dovrrebbero assicurarsi che tutti abbiano sempre il freno a mano tirato per evitare “incidenti di percorso”?

La ministra Azzolina ci tiene a sottolineare però che la scuola di settembre sarà nuova, rinnovata, ed è anche grazie a questi banchi a rotelle che ci potranno essere forme di innovazione didattica. Ma perché allora, ci chiediamo, questa forma di innovazione didattica tanto decantata, non parti dalla base, dalle piccole cose, dal fornire le scuole degli strumenti necessari atti davvero alla “buona scuola” all’attuazione in todo della legge 170/2010 ad esempio, piuttosto che iniziare dai banchi a rotelle monoposto, che, diciamocela tutta, possono essere bellissimi in un’ottica di scuola del futuro, in una scuola dove la convivialità sia alla base del rapporto professore/alunno, in una scuola all’avanguardia che adotti già protocolli di studio moderni e digitalizzati ma per nulla funzionali in una scuola “arretrata”.

Perché non imparare a guardare le cose da un’altra prospettiva, ed attuare dei cambiamenti utili, genuini dopo aver ascoltato professionisti di diversi settori tecnici, educativi, psicologici e creare quindi un grande team che abbia a cuore davvero la vita di tutti? Sarebbe davvero questa la rivoluzione, ma ahinoi, se ci ritroviamo ancora a dover lottare per far valere un diritto sancito da una legge affinché un alunno con neurodiversità o disabilità possa avere lo stesso diritto allo studio di un normotipico, non possiamo davvero parlare di inclusione, scolastica e non.

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Redazione

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