Industria calzaturiera, Badon: “Nel primo semestre crolla l’export”
Primo semestre difficile per il comparto calzaturiero italiano, fortemente provato dalla crisi pandemica: -34,9% il calo dell’indice Istat della produzione industriale e -36,3% il fatturato delle aziende secondo l’indagine condotta tra gli Associati. Lo stato del settore emerge dalla nota congiunturale elaborata dal Centro Studi Confindustria Moda per Assocalzaturifici, presentata nei giorni scorsi a Micam, il Salone Internazionale della Calzatura a Fiera Milano Rho.
Sul quadro nazionale è intervenuto Siro Badon, Presidente di Assocalzaturifici: “L’emergenza sanitaria ha avuto pesanti ripercussioni sull’andamento del nostro comparto produttivo. Alla contrazione nei valori produttivi e del fatturato, dobbiamo registrare una decisa flessione sul fronte dei consumi interni e dell’export. La spesa delle famiglie è scesa del -30%, nonostante l’impennata degli acquisti online (+42%) dovuta alla chiusura dei negozi durante il lockdown. Anche l’export non sorride: -22% in quantità i mercati dell’Unione Europea, dove sono dirette 2 calzature su 3 vendute all’estero, e -33,4% quelli extra-UE, con un saldo commerciale, seppur in attivo per 1,6 miliardi di euro, fortemente ridimensionato (-34%). La ripartenza, dopo l’allentamento delle misure restrittive, procede a fatica: gli acquisti degli Italiani restano in frenata (-29% in quantità a maggio e -7% a giugno) e l’export, dopo il crollo del bimestre marzo-aprile (-50%), ha fatto segnare un -27% in volume nei due mesi successivi. Una congiuntura negativa anche sotto il punto di vista dell’impatto lavorativo con un decremento sia delle aziende (-77 da gennaio) che del numero di addetti (-520). Dati che suonano come un serio campanello d’allarme riguardo la tenuta occupazionale dei prossimi mesi. Il nostro sistema produttivo, composto perlopiù da realtà imprenditoriali di dimensione media e medio-piccola, è stato sottoposto ad una dura prova, avendo dovuto fare i conti con la carenza di liquidità indotta dalla cancellazione di ordinativi, dalle richieste di reso e dagli insoluti”.
Sul versante estero, i dati Istat indicano per i primi 6 mesi dell’anno un arretramento complessivo dell’export del -26,4% in quantità e del -25,4% in valore. Sono stati esportati complessivamente 78,7 milioni di paia – operazioni di pura commercializzazione incluse – oltre 28 milioni in meno rispetto a gennaio-giugno 2019, per 3,8 miliardi di euro. Una situazione davvero emergenziale: basti pensare che tali volumi risultano inferiori del 24% a confronto con quelli raggiunti nei primi 6 mesi del 2009, cioè in piena crisi economica mondiale (quando furono esportati 104 milioni di paia). Cali generalizzati tra i mercati, con pochissime eccezioni: tra le principali destinazioni crescono in volume solo Polonia e Portogallo (che cede però l’11,4% in valore); la Corea del Sud segna un +0,6% in valore, con un -4,6% in quantità. Il segno meno prevale ovunque. La Germania, prima per volumi, che già presentava trend negativo nel 2019, perde il 17%, sia nelle paia che in valore. Pesanti le flessioni dei flussi verso Cina e Hong Kong (-31,4% e -44,1% in valore rispettivamente); il Far East perde nell’insieme circa il 30%, sia in quantità che valore. Sensibile arretramento sui mercati della CSI (-37% in volume e -30% in valore); male gli USA (cali prossimi al -40%) e il Medio Oriente (-26% in quantità). Si riducono di circa un quarto i volumi diretti verso la Svizzera (tradizionale hub logistico-distributivo delle grandi griffe internazionali del lusso) e di un terzo quelli verso la Francia (altra destinazione privilegiata del terzismo), ai primi due posti nella graduatoria per valore.
L’esame per tipologia merceologica evidenzia arretramenti superiori al 20% in volume per tutti i comparti, tranne quello residuale delle calzature con tomaio in gomma (-1%): flessione di poco superiore al -30% per le scarpe in pelle (con riduzioni di uguale intensità, -34%, per i segmenti uomo e donna e un -30% per il bambino); -23%, sempre in quantità, per le calzature in tessuto; -21% per quelle in sintetico; -38% infine per le pantofole.
A livello territoriale (dati riferiti a calzature+parti e disponibili solo in valore) si registrano nel primo semestre decrementi significativi per tutte le principali regioni esportatrici, con la sola eccezione dell’Emilia Romagna (+20%), trainata da Piacenza, polo logistico distributivo in costante crescita negli anni recenti e di fondamentale rilevanza anche nelle spedizioni di acquisti online. Le flessioni più marcate hanno interessato la Toscana (-44%), le Marche (scese del -32,5%, con Fermo e Macerata -31% e Ascoli Piceno -39%) e la Campania (-34%). Arretramento in linea con la media nazionale per la Lombardia (-25,1%) e di qualche punto più sotto per Veneto (-20,2%, prima in graduatoria con una quota del 27,4% sul totale export Italia valore), Puglia (-22,2%) e Piemonte (-20,9%). Firenze guida sempre la classifica delle province esportatrici malgrado un calo del -43,7% sulla prima metà 2019.
Per quanto riguarda la natalità delle imprese e l’occupazione, il report evidenzia come a luglio il 10% delle imprese avesse ancora personale in smart working. A fine giugno 2020, con riferimento ai calzaturifici, si contavano in Italia 4.249 aziende e 74.370 addetti, tra industria e artigianato (con saldi pari a -77 aziende e -520 addetti su dicembre 2019). Considerando anche la componentistica, i saldi negativi su fine 2019, secondo Infocamere-Movimprese, salirebbero a -161 aziende e -1.295 addetti.
In netto rialzo il ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni nella Filiera Pelle: complessivamente, nel primo semestre, un totale di poco inferiore a 39 milioni di ore, +878%, rispetto ai 4 milioni di gennaio-giugno 2019. Quasi 5 volte il numero di ore concesse nell’intero 2019 (lo scorso anno erano state infatti autorizzate 8,3 milioni di ore, da gennaio a dicembre).