La Storia di Aversa. Aversa Sotterranea: tra certezze, incertezze e bufale
Il 2021 sarà l’undicesimo anno da quando, a fasi alterne, ho iniziato a cimentarmi nella scoperta e descrizione delle vie sotterrane presenti ad Aversa fin dall’epoca Normanna.
Attenzione, ho parlato di vie sotterranee e non di cave o ipogei (grotte) e più avanti mi spiegherò meglio.
In verità anche le cave urbane hanno catturato spesso la mia attenzione e penso di essere arrivato ad un discreto livello di conoscenza documentata ma il mio pallino sono state sempre le “vie sotterranee” percorse dalla Regina Giovanna I d’Angiò.
Cercherò dunque di attenermi solo a fatti documentati e documentabili. Se mi chiedete se ho trovato o sono sceso in una di queste vie sotterranee non posso rispondervi con certezza ma potrei dirvi che probabilmente ho visitato parti di ciò che resta di esse.
Non so quante volte mi è stato detto tutto e il contrario di tutto. Tante volte mi è stato raccontato che questi tunnel non esistono ed ho incontrato persone che mi riferivano di averle percorse. Spesso si trattava di ciarlatani o di qualcuno che era sceso, giusto a prendere una bottiglia di vino nella cantina di casa sua.
E allora affidiamoci ai documenti e alle conoscenze dirette e/o riscontrabili. Prima l’Abate Polieni nel 1622 (Historia del Real Castello di Casaluce), poi Padre Andrea Costa nel 1709 (Rammemorazione Istorica dell’effigie di Maria di Casaluce) e poi Achille Molteno nel 1858 (Dizionario dei comuni del Regno delle due Sicilie), ci scrivono a chiare lettere che dal Castello Normanno di Casaluce si diramavano varie “vie sotterrane ampie” di cui una grande e spaziosa che portava al Castello di Aversa, una portava a San Zenobio, una a Bosco e una a Ponte a Selice.
Ora, analizzando praticamente i fatti, sappiamo che il castello era circondato da un bosco di querce, pioppi e pini (Casaluce: Castrum Luci – accampamento nel bosco). Sappiamo che all’epoca non esistevano tecniche per scavare sotto i fiumi e che il Fiume Clanio (attuale Regi Lagni) era molto più a sud vicino a Casaluce, Teverola, Frignano e Casal di Principe. Dunque Ponte a Selice (detto così per le selci che vi crescevano spontanee) si trovava sulla via Consolare Campana appena fuori l’attuale abitato di Teverola. Nessun riferimento ho trovato per Bosco e San Zenobio ma azzardo nell’indicare i due luoghi come il Castello di Popone e l’attuale Torre Aprano sempre a Casaluce.
Sull’indicazione del Castello di Aversa non avrei dubbi sull’indicare il Castello Aragonese anch’esso di origini normanne, anche se il dubbio che successivamente gli Angioini lo abbiano prolungato fino al Castello Angioino in Via Roma è più che fondato. I tunnel erano stati scavati per evidenti scopi militari, precedendo di 7/800 anni quello che avevano fatti i Borboni con il tunnel borbonico. Il tunnel doveva essere necessariamente ampio e lastricato per permettere alle truppe di potersi muovere con carri e cavalli per uscire fuori le mura della città di Aversa e prendere gli assedianti alle spalle. Secondo il Polieni e il Costa, molte dei tunnel furono murati dai preti quando il castello di Casaluce fu trasformato in convento. Ci descrivono i due antichi testi che già allora alcune di queste cavità erano crollate o si erano ammalorate. I preti le avrebbero chiuse per le lumache (probabilmente sanguisughe) che infestavano il castello.
Ma il fatto che ci interessa è che, mentre 1858 queste vie sono “notabili” (il termine viene utilizzato da Dante Alighieri per definire qualcosa o qualcuno di grande, importante, famoso e conosciuto), il nostro Gaetano Parente, qualche anno più tardi, ci dirà che trattavasi di una leggenda metropolitana. Appare chiaro che il Parente era stato “infinocchiato” oppure aveva dato l’impressione di essersi fatto infinocchiare per tenersi buona la Curia che gli permetteva il libero accesso nei suoi archivi e strutture ai fini della ricerca storica.
Dunque in questi anni mi sono posto domande e cercato di dare delle risposte. Esistevano 1000 anni fa le maestranze per fare questo lavoro? Certamente che sì! I Greci e i Romani hanno scavato mezza Napoli per creare cisterne, acquedotti e tunnel. Ma esaminando appunto gli scavi napoletani scopriamo che ogni tunnel aveva de condotti di aerazione e che allo stato non ne esiste più nessuno (da non confondersi con i lumi di grotta presenti in città). Per costruire il tunnel che collegava Aversa a Casaluce avevano sicuramente scelto la via più breve. Regione vorrebbe che il primo tratto collegasse in perpendicolare Casaluce con San Lorenzo e poi da li svoltasse per Castello Aragonese lambendo il Complesso del Carmine.
Questo tunnel probabilmente non è stato mai scoperto. Probabilmente in parte è rovinato per l’incuria dei secoli e per l’edificazione che ne è stata fatta sopra.
Descritto il tunnel “notabile” che da Casaluce portava ad Aversa, cerchiamo di ricostruire la rete di cunicoli e cavità che collegava le strutture dentro le mura delle città. Qui è importante citare le testimonianze personali dirette o di persone affidabili di cui non c’è bisogno di dubitare. Una è mia personale e riguarda l’antico convento dei Cappuccini. Da ragazzini andavamo lì per le nostre scorribande. Tutto d’un tratto non vedemmo più un nostro amico. Lo sentivamo chiedere aiuto ma non lo trovavamo. Man mano la sua voce si allontanava. Si era inoltrato in una grotta e non trovava più la via del ritorno. Dopo più di una mezz’ora infernale, sentimmo la sua voce provenire da una rientranza nel terreno a qualche centinaia di metri di distanza e nel luogo preciso dove attualmente c’è l’ex cantiere Senesi di via Cappuccini. Segno questo che Cappuccini era collegato con l’interno della città. Nell’occasione però ebbi a vedere nitidamente il tunnel che era abbastanza superficiale. Non più di cinque metri. Scavato nella terra e non nel tufo e rivestito con pietre e archi. Il tunnel era largo circa 2 metri per una altezza almeno di 2,5 metri. La sua direzione sembrava portare verso l’Annunziata.
Altra accurata e precisa testimonianza viene dal vico degli “stagnari” , ossia via Vittorio Emanuele. Il fu don Antonio Schiavone in più occasioni fu molto preciso nel raccontare accessi e percorsi. Una di queste indicazioni me la rilasciò in un video che allego. Dopodiché scesi personalmente per trovare conferma ad una mia precedente visita sotterranea fatta almeno 25 anni prima.
Don Antonio Schiavone raccontò dell’utilizzo delle grotte come rifugio antiaereo durante la seconda guerra mondiale. In effetti anche ad Aversa successe la stessa cosa che accadde a Napoli. Ossia la Prefettura diete ordine al genio militare di creare ricoveri antiaerei sicuri collegando tra di loro le grotte per facilitare la fuga in caso di crollo. Un esempio del lavoro del genio militare l’ho potuto ammirare presso l’ipogeo di Babbook (vedi video) a via Foria proprio di fronte il Giudice di Pace di Napoli.
Una cavità letteralmente enorme con un intrigato cunicolo. Ad un certo punto si vede benissimo che il genio militare stava praticando uno scavo rettangolare perfettamente squadrato di 4 metri per tre per collegare un’altra cavità limitrofa. Qui in modo eccezionale si vede la tecnica costruttiva di origine antica:sii infilavano dei pali di legno nel tufo. Lì si bagnavano e il legno espandendosi spaccava grosse porzioni di tufo.
Ma torniamo ad Aversa. Dalla bottega di don Antonio Schiavone si accedeva ad una grotta collegata con molte di quelle circostanti. 25 anni fa ebbi a constatare con mano che da questo accesso si arrivava ad una voluminosa grotta posta nel palazzo di fronte. Io ricordo di averla vista da un lume di grotta nel quale era abbassata una scala a pioli da dove sono sceso per verificare l’esistenza della cavità. All’epoca mi feci luce con l’accendino e potei constatare la grandezza della grotta e i collegamenti con quella del palazzo di fronte. Molti anni dopo sono tornato della bottega di don Antonio Schiavone… e prendendo il coraggio a due mani ci buttammo giù per la scala piena di detriti e cianfrusaglie. Sceso giù, ebbi modo di costatare una grotta con tetto a volta lunga circa 50 metri e larga almeno dieci. Tetto a volta alta almeno 5/6 metri. L’avevano riempita di monnezza e detriti lanciata dai lumi di grotta dei palazzi circostanti. L’accesso alle grotte circostanti citato da don Antonio nel video e che io avevo notato scendendo nella grotta attigua era stato murato. Ho poi avuto conferma che in quella zona ogni proprietario aveva murato la sua porzione, mentre altri avevano praticamente obliterato le cavità con materiali di risulta o addirittura, come avvenuto nella vicina via Roma con betoniere di cemento.
Altra conoscenza diretta di ampie grotte collegate tra loro viene da una mia visita in via Roma, zona arco. Dove accedendo da un portone si trova una grotta che portava in vari punti del quartiere lemitone e dove, fortunatamente, invece del muto di tufo, la delimitazione è stata fatta con un cancello.
Esempi di grotte una volta collegate tra di loro ce ne sono a bizzeffe. Da qualche anno ci è cercato di recuperare il patrimonio sotterraneo ma con risultati scarsi. Buon esempio di recupero è quello delle cavità del chiostro di Sant’Audeno, del palazzo Di Mauro. Qui i vecchi collegamenti tra le grotte sono esistenti ed evidenti.
Ma un fulgido esempio di recuperò totale delle cavità me lo mostrò il compianto Ing. Angelo Iorio il quale per ritrovare la sua grotta perduta effettuò delle vere e proprie ricerche fino a ritrovarne l’ingresso che era stato nascosto dietro un muro. La grotta fu perfettamente recuperata e anche lì si notava chiaramente il collegamento con l’altra grotta circostante e probabilmente proprio con quella di palazzo di Mauro.
In buono stato anche le più recenti grotte del Macello di Aversa da me ampiamente filmate e documentate. Riguardo a teli ultime grotte riporto un passaggio molto significativo della relazione dei lavori di restauro:
Cavità: Gli ambienti interrati sono una formidabile estensione delle aree in superficie. Tali cavità, disposte a ferro di cavallo lungo il perimetro del lotto, sono il risultato della estrazione del tufo con il quale sono stati realizzati gli ambienti sovrastanti. Sono dunque locali interamente scavati nel banco di tufo, a parete dritta e copertura a volta. Durante il corso dei lavori, utilizzando le economie risultanti dai lavori di superficie, si è proceduti a recuperare una porzione delle stesse. Le cavità sotterranee risultavano all’epoca della progettazione inaccessibili se non per le aree molto prossime al loro ingresso e la loro consistenza non era nota. In corso di esecuzione dei lavori è stato eliminato parte del materiale di risulta che le riempiva rivelando così la loro configurazione: 14 ambienti di circa mq. 21,00 cadauno collegati da un corridoio largo circa m. 2.80, per una estensione totale di circa mq. 650,00, ad una profondità di ca. m.10,00 rispetto al piano di campagna in superficie.
Oltre al loro parziale svuotamento, si è proceduto ad incrementare fortemente l’aerazione, l’illuminazione mediante la predisposizione di naturali camini di luce ed è stata realizzata una botola con argano per facilitare il carico e scarico di materiale. Molteplici utilizzazioni sono possibili per tale cavità: gli ambienti potranno essere luogo di visita e di studio, significativi esempi del sistema costruttivo tipico della Città di Aversa, o ancora depositi e locali espositivi della produzione alimentare tipica dell’Aversano, etc… Per ora si è beneficiato della forte differenza di temperatura con l’esterno per ridurre i consumi energetici dislocando nelle cavità le pompe di calore, che sono favorite nel loro ciclo trattando aria fresca in estate, e più calda in inverno. Nelle cavità è stata anche inserita la vasca di accumulo per l’acqua di riserva antincendio con i relativi motori, utile per l’innaffiamento e per i servizi igienici. Tale risorsa proviene da un pozzo preesistente, mentre l’acqua potabile circola in una autonoma rete che è collegata all’acquedotto cittadino”.
Pochi mesi fa con un amico ci siamo imbattuti in un pozzo rivestito profondo 18 metri. Il pozzo era celato sotto un antico gabinetto. Non stavamo nella pelle e mandammo giù una telecamera. Purtroppo qualcuno, in tempi non recenti, lo aveva completamente murato impedendoci di vedere dove conduceva.
Ma la cosa più assurda e strana me la mostrò il fu Giovanni Motti. All’interno di un libro custodiva una foto vecchia e in bianco e nero di qualcosa che era a metà tra una carrozza e un calesse. La cosa strana è che era stata ritrovata sotto terra in un punto dove era impossibile scendere. E’ passato circa un trentennio da quell’episodio ma ricordo bene che mi parlò di un ritrovamento in via Presidio ma di anche di un’altro analogo in un palazzo del Seggio.
Sotto tutti i luoghi religiosi vi sono invece vari tipi di cripte adibite a sepoltura. Per i religiosi si utilizzavano gli scolatoi, mentre per i civili le tombe erano spesso scavate nel pavimento delle chiese in cripte meno voluminose. L’esempio di scolatoio più imponente è quello del complesso del Carmine.
Infine, anche l’Università si mosse per mappare tutte le cavità. Vi allego la mappa, anche se ritengo che sia incompleta e lacunosa. Anche se esaminandola è possibile vedere ingressi di cavità che ignoravo.
Logicamente potremmo scrivere e discutere di altre cavità aversane per almeno altre cento pagine…
di Stefano Montone