Covid e comunità, l’appello di Padre Livio Graziano

La comunità educativa AMA, presente in Castel Volturno (Ce) e ora chiusa per difficoltà finanziarie, è stata la mia seconda casa per ben 16 anni. Ho accolto tanti ragazzi e ragazze e ho sempre cercato, non è detto che ci sia riuscito, di ascoltare ognuno di loro, di giorno e a volte anche di notte, di fargli compagnia durante i loro pranzi al rientro da scuola seppur molto scaglionati. Ho sempre cercato di farlo ricordando quei momenti quando, ero ragazzo, mia mamma interrompeva quello che stava facendo e si sedeva accanto a me. Era un modo per dire: ci sono, ti penso, ti ascolto e mi fa piacere stare con te.

Mi sono affezionato molto ai ragazzi che ho conosciuto e ho sempre pensato che loro avessero diritto ad avere qualcuno che pensasse e si interessasse a loro, non con l’idea di sostituirsi ai loro genitori con i quali ho cercato di collaborare il più possibile per far sì che fossero presenti nelle vite dei loro figli o per essere abbinati a nuove coppie per l’adozione. A volte questa cosa è stata possibile ed è stato davvero emozionante poter vedere dei ricongiungimenti, a volte non è stato possibile invece ed è stato più faticoso: quanti momenti difficili affrontati stando a fianco ai ragazzi che non ricevevano la telefonata tanto aspettata o vederli delusi perché le coppie inviate dal Tribunale non si presentavano più.

Adesso sono molto gratificato quando ricevo una telefonata di un ragazzo emozionato che ha appena preso la patente e mi chiama per condividere questa sua gioia, di un ragazzo che rientra dall’estero dove lavora e gli fa piacere rivedersi, di un minore disperato che è in un momento di difficoltà e mi chiama perché sa che ci sono. E pensare che in comunità non ero tanto amato, ero il classico direttore/educatore un po’ rompiscatole con cui molti speravano di non doversi imbattere: mi sono scontrato a lungo ma mi scontravo perché ci tenevo, perché se un minore non andava a scuola non mi arrendevo alla prima sveglia o se avevo qualcosa da dirgli piuttosto allungavo il turno ma trovavo sempre un modo per parlare con lui/lei. Ecco, questo tipo di legame penso che non paghi molto nel tempo della comunità ma mi sembra di aver capito che alla lunga ha i suoi frutti, che i ragazzi percepiscono questo legame e che poi, soprattutto nel momento del bisogno, ma anche nei momenti di gioia, sono contenti di avere qualcuno a cui potersi riferire e su cui contare.

Per i ragazzi questo è fondamentale per cui credo che la cosa migliore sia creare un legame autentico e far sì che anche quando il ragazzo termina il suo percorso in comunità sappia di poter ritornare per ritrovare quel luogo sicuro e le persone che si sono occupate di lui o sappia che quegli educatori, che sono stati presenti ogni giorno, non smettono di pensare a lui o lei solo perché è terminato un percorso e il rapporto professionale che li legava a loro. Credo di poter dire che fare il direttore e l’educatore di comunità voglia dire avere confini flessibili nello spazio e nel tempo per poter vivere le relazioni che si costruiscono anche oltre quelle mura e quel periodo.

Quando un ragazzo si avvicina al momento della sua uscita spesso vive sentimenti contrastanti, voglia di cambiare, di crescere, ma paura di farlo e di salutare un ambiente conosciuto. Sono sentimenti legittimi, il compito dell’educatore è quello di accogliere questi sentimenti e di sostenere i ragazzi nell’affrontare questo cambiamento, non di sparire proprio sul più bello. Ho sempre pensato che io a 18 anni avevo una famiglia che si occupava di me, vivevo ancora con loro ed ero ancora nel mezzo dei miei studi. Certo, sono consapevole che questi ragazzi devono crescere prima del tempo, ma perché farglielo fare in modo brusco e non cercando di alleggerire queste fatiche per rendere più graduale possibile questo passaggio? Credo che sia un loro diritto ed un nostro dovere!

Questo Natale ho ricevuto tante lettere da parte dei ragazzi e ragazzi che sono stati in comunità oggi uomini e donne ed è stato un regalo speciale che mi hanno aiutato a ricostruire i ricordi di un pezzo di vita importante mia e di loro.

Sono uscito da poco più di tre mesi dalla comunità in cui lavoravo e di cui mi sentivo molto parte e, mi sono reso conto, di aver avuto la fortuna di aver contribuito a costruire la mia vita è la vita dei minori. Usciti dalle comunità e accolti, mi ha permesso di non interrompere i legami con loro sperando di vederli inseriti in quelle coppie tanto cariche d’amore e iniziare nuove storie di vita. Sono molto contento di aver iniziato ad impegnarmi per far sì che chi lavora nel sistema di accoglienza possa avere uno sguardo che parta prima di tutto dal punto di vista dei ragazzi. Mi manca la quotidianità della comunità, ad essere sincero, e collaborare con altre Comunità non sempre è facile: c’è educazione e cordialità ma anche un essere sospettosi o l’idea che il prolungamento del rapporto possa essere di ostacolo alle “new entry” delle coppie svalutando i sentimenti puri e gettando l’intelligenza di tutti gli attori in questioni d’interesse e di nascondimenti. Un grande merito e applauso vanno a quelle comunità che, invece si aprano alla collaborazione e accolgono un dialogo per poter conoscere e aiutare il minore a crescere e a vivere più serenamente. Vivete e fate vivere le emozioni perché questa è la vita.

di Padre Livio Graziano
Sacerdote e già Direttore Comunità Educativa a dimensione familiare AMA
Attualmente è fondatore della Cooperativa Sociale Onlus Effatá Apriti in aiuto a persone con disturbi di Ansia, Depressione e del Comportamento Alimentare.
Centro Polifunzionale Sociale per persone con Disabilità
Ragazzi e Ragazze sottoposte a provvedimenti giuridici senza detenzione per Lavori di Pubblica Utilità.
Fondatore del’Ente di Formazione “S. Ecc. Lorenzo Chiarinelli” accreditato alla Regione Campania.

Redazione

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