Scommesse, la dipendente di un negozio di Cardito: “Pugnalata la nostra dignità di lavoratori”

Per lo Stato «siamo gli invisibili, i fantasmi, gli untori. Ci considerano attività “non essenziali”, ma rappresentiamo un settore che dà lavoro a tantissime famiglie», allo stremo delle forze, dopo mesi senza lavoro. Una di queste famiglie è quella di Lucia, 45 anni, dal 2000 dipendente part-time di una sala scommesse di Cardito, in provincia di Napoli, e mamma di due bambini piccoli, di 8 e di 2 anni. «Siamo sopravvivendo con estrema difficoltà. Anche mio marito lavora da 15 anni in questo settore: entrambi siamo a casa dal 23 ottobre, senza considerare ovviamente il lockdown» della primavera dello scorso anno, «che ci ha coinvolto dal 9 marzo al 15 giugno».

Prima poteva contare su due stipendi, ora la famiglia di Lucia deve sopravvivere con la cassa integrazione. «Quella del periodo ottobre-dicembre ci è arrivata a gennaio» e comunque «stiamo parlando di cifre molto esigue. Fortunatamente non abbiamo affitto o mutuo da pagare, ma ci sono comunque i costi fissi da affrontare: tasse, bollette, spese per i bambini. Sono difficoltà che possono avere tutti, ma per una famiglia con due bambini è veramente difficile andare avanti. Mi sento umiliata come lavoratrice», racconta ad Agipronews. Eppure, spiega Lucia, i presupposti per poter riaprire in sicurezza ci sono. «Alla riapertura, a giugno, ci avevano dato una serie di protocolli e linee guida da rispettare e noi ci eravamo adeguati», ricorda. Nella sala scommesse in cui lavora, insieme ad altri 4 collaboratori, «non c’era nessun assembramento, i clienti dovevano indossare la mascherina per entrare, c’era a disposizione il gel disinfettante e all’ingresso veniva misurata la temperatura. Avevamo spento tutti i monitor,  installato le barriere di plexiglass. Abbiamo fatto tutto quello che c’era da fare». Eppure, commenta amaramente, «si tratta di una questione politica: noi siamo gli untori. Ci sarebbero volute regole ancora più stringenti? Le avremmo rispettate». Anche se il virus non è ancora sconfitto – «stiamo parlando di una pandemia, ci sono ancora 400-500 morti al giorno e non la prendiamo alla leggera», spiega Lucia – è necessario andare avanti. «Aumentate i controlli, dateci la responsabilità di rispettare le regole, ma fateci riaprire. Senza lavoro, viene pugnalata la nostra dignità».

MSC/Agipro

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Redazione

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