Napoli. Ristoratori in piazza con tovaglie e stoviglie
Tavoli e sedie apparecchiati in piazza Sette Settembre a Napoli per protestare contro le misure previste dal decreto Riaperture del governo. A manifestare sono I ristoratori del centro storico che si sentono penalizzati in quanto, non avendo tavoli all’aperto, non possono riaprire al pubblico con il servizio al tavolo.
“Questo provvedimento penalizza ancora il comparto della ristorazione – dice Rosario Ferrara, presidente del consorzio Toledo-Spaccanapoli che ha organizzato il sit-in -, da 14 mesi chi ha solo tavoli interni non può lavorare. Le famiglie sono allo stremo”.
Il consorzio, che rappresenta circa 15 attività di ristorazione del centro senza tavoli all’aperto, chiede “riaperture al chiuso, anche a capienza ridotta. I ristoranti – continua Ferrara – hanno adottato tutte le misure richieste per garantire i distanziamenti e si deve dare anche a loro la possibilità di sostenere le spese quotidiane. Su questi tavoli che abbiamo disposto in piazza ci sono solo piatti vuoi, perché loro non riescono più a mettere il piatto a tavola. Vengono aperti teatri e palestre e non capiamo perché non viene mai tutelato o semplicemente preso in considerazione il comparto della ristorazione”.
“Ci sono attività come la nostra – spiega alla Dire Vincenzo De Pompeis, socio della trattoria Nannì di via Toledo – a cui non conviene fare asporto. Uno spaghetto alle vongole se lo consegno a domicilio non ha lo stesso sapore di quello servito al tavolo. Otterrei soltanto cattiva pubblicità per la mia attività, con il rischio che quando riapriremo potrei perdere clienti. Da marzo 2020 ad oggi siamo stati aperti solo per tre mesi, ma in balia del distanziamento, del plexiglass, delle spese varie che abbiamo dovuto sostenere per metterci in regola. Poco dopo siamo stati costretti a chiudere, abbiamo speso soldi in maniera vana. Noi non vogliamo aiuti, vogliamo lavorare”.
Giuseppina Aiese, titolare della Taverna del Buongustaio di Spaccanapoli, impresa che la sua famiglia gestisce da 40 anni, racconta che “la dignità mia e della mia famiglia è stata completamente calpestata, anche i nostri camerieri sono in cassa integrazione, eppure non la percepiscono da mesi. Se l’idea per il futuro è che le nostre attività al chiuso potranno restare aperte fino alle 18, questa sarebbe soltanto l’ultima, ennesima presa in giro. A governarci – dice – ci sono dei pagliacci. Noi non neghiamo il virus, ma tante persone non sanno più come vivere. Ci hanno tolto tutto. Oggi vogliamo solo riaprire e speriamo che quando ci riaprano non ci chiudano più”.