Running e spesa proletaria, la nuova frontiera dello shopping: associare attività fisica e economia domestica
Avevo uno zio, buonanima, che era un cacciatore. No, non un “dongiovanni” in cerca di conquiste, sia chiaro, ma proprio un classico cacciatore di quelli con doppietta, stivali, gilet e cartucciera.
Contava i giorni all’apertura della caccia e, immediatamente prima, andava in giro per campagne ad effettuare minuziosi sopralluoghi.
Il suo fucile, datato, mi dava l’impressione di essere nuovissimo. Ed effettivamente era un’arma che non aveva mai esploso una cartuccia. Nel periodo della stagione venatoria, con un gruppetto di coetanei, già due o tre ore prima dell’alba era in giro per la sua battuta. Il rientro era previsto prima di mezzogiorno e, nel mio ricordo di ragazzino, ogni volta era una grande festa. Lo zio tornava con un immenso bottino. Cinque o sei casse piene, ogni volta. Ma di cacciagione nemmeno l’ombra. Anzi la cosa che mi saltava prepotentemente all’occhio era la cartucciera ancora piena. Intatta. Nelle casse trovavi un po’ di tutto: dalla verdura alla frutta di stagione agli ortaggi che la zia regalava un po’ in giro perché, “si sa, il fruttivendolo le vende a caro prezzo”. Ecco, questa era la caccia di un tempo… Una caccia che sostanzialmente si tramutava in un “aiuto concreto” ai contadini che, sfortunatamente non riuscivano a completare il raccolto prima dell’arrivo di tutti i cacciatori come mio zio.
Oggi non sarebbe così facile fare il cacciatore. Prima di tutto perché non è semplice avere una licenza. E poi le armi costano troppo e sono troppo impegnative da tenere in casa… Allora ci si è evoluti, e non solo sul piano strategico. Questa tipologia di cacciatore, per par condicio, è diventa anche cacciatrice. Anzi, il numero di “cacciatrici” supera quasi quello dei colleghi di genere maschile. Anche perché, a costo quasi pari a zero, si riesce a coniugare l’attività fisica e l’economia domestica. Calzate le scarpette da ginnastica e la tutina aderente, le nostre eroine si avventurano già prima dell’alba per le strade deserte della periferia cittadina, dove, dopo il terzo, quarto chilometro, i campi coltivati offrono le primizie della stagione. Ed è lì che si effettua questa sorta di spesa proletaria, perdipiù a chilometro quasi zero, vista la distanza dal domicilio… L’unico problema è il trasporto. Ingombrante, voluminoso, pesante. E soprattutto evidente. Il che trasforma quella che un tempo era la fierezza di mio zio nell’imbarazzo odierno delle signore quando vengono incrociate da altri runner, soprattutto conoscenti. E allora vedi che non sanno dove occultare il bottino quotidiano. Così fragole, ciliegie, insalata, patate, spinaci, bieta e quant’altro, volta per volta finisce sotto i kway indossati all’occorrenza, mostrando queste improbabili protuberanze da gestanti o da mastoplastica additiva. Alcuni prodotti invece non possono essere facilmente occultati e allora vengono trasportati con assoluta disinvoltura come se fossero dei rudimentali “manubri” che rientrano nel programma di allenamento atletico. Fatto sta che, in questo ormai perenne periodo di ristrettezze, fare sport senza versare l’odiosa retta mensile e tornare a casa con i sacchetti che, anche se non riempiono la credenza sono comunque frutto di una impresa “rischiosa ed eccitante”, sembra che aumenti la produzione di serotonina mettendo così di buon umore le signore protagoniste e, a cascata, tutti i componenti del nucleo familiare. Viene naturale pensare che gli unici scontenti restano i contadini quando si ritrovano davanti ai loro campi saccheggiati… ebbene in linea di massima è così per i giovani agricoltori. I vecchi contadini, invece, forti dell’esperienza con i cacciatori di un tempo, hanno imparato a coltivare oltre le loro effettive necessità perché tanto sanno che gli animalisti, a giusta ragione potranno lottare fino allo stremo per abolire la caccia, ma certi tipi di cacciatori/cacciatrici non smetteranno mai di esistere.
di Elmo d’Elia