Un museo che diventa palcoscenico, un testo che si trasforma in sceneggiatura, una compagnia che diventa cast, una rappresentazione che diventa film. Sono questi gli addendi de ‘Il lucernario’ un progetto artistico dove la loro somma e’ piu’ alta del totale. Ed e’ qui che trova spazio un sistema di intrecci e di rapporti che lega la Napoli di ieri a quella di oggi, una vita finita tragicamente troppo presto ad una intellettualmente immortale, carriere ormai consolidate a quelle nascenti che si reggono sui sogni. A connettere il tutto Francesco Saponaro, regista, drammaturgo, scenografo e film-maker. È lui che alla Dire svela la “miscela” creativa che regge ‘Il lucernario’.
“Il progetto mi e’ stato proposto qualche mese fa – ricorda Saponaro – da Massimiliano Virgilio e dalla cooperativa sociale Me ti che nel 2018, quindi ante pandemia, ha vinto l’importante bando Siae ‘Per chi crea’. Un bando di formazione e di progettazione di una creazione teatrale o drammaturgica originale. Quando ho letto una prima stesura del testo, una bozza, coordinata da Virgilio con Fabio Pisano e Alberto Bile mi sono reso conto che gli elementi su cui insisteva questa storia erano pertinenti a uno spazio particolare. Ho chiesto cosi’ di fare un sopralluogo al museo Filangieri, in via Duomo. Un luogo straordinario, voluto, creato e donato alla citta’ di Napoli da Gaetano Filangieri. Un luogo che ha accolto la residenza artistica, l’ultimo segmento di questo progetto che ho costruito insieme a cinque attori, una giovane assistente alla regia, Giulia Eleonora Zeno, e con il contributo di un mio aiuto regista che e’ anche il producer della declinazione di questo lavoro che da residenza artistica di natura piu’ teatrale e formativa ha adottato, invece, il linguaggio audiovisivo diventando un piccolo film che stiamo ultimando in questi giorni”. Ed e’ cosi’ che Luigi Bignone, Riccardo Marotta, Francesca Borriero, Nicola Conforto, Ivan Iuliucci, Ianua Coeli Linhart dal calcare le tavole del palcoscenico si sono ritrovati dietro la telecamera. Gli autori, prosegue Saponaro, “sono partiti da un’ispirazione biografia purtroppo tragica, la morte di Salvatore, un ragazzo di 21 anni che nel 2018 cadde da un lucernario. Faceva il garzone di un bar in via Duomo e per arrotondare il suo magro stipendio accetto’ di pulire un lucernario e cadde lasciandoci la vita”.
Un episodio che simbolicamente, rimarca il regista, “parla ancora ai nostri giorni perche’ viviamo, nonostante la nostra emancipazione, in un Paese che permette che ci siano ancora dei lavori non buoni, non dignitosi e assolutamente non sicuri. Le morti bianche sono un tema ancora scottante e centrale ed e’ il tema scottante e centrale che affronta ‘Il lucernario’ in un confronto dialettico con la figura di Filangieri”.
Nella trasposizione, ammette il regista, “nulla c’e’ di biografico, non e’ una storia di cronaca, e’ una storia trasfigurata attraverso l’alterazione artistica, creativa”. Nel suo portare i caffe’ in giro “l’anima candida” di Salvatore incontra quella di Filangieri che “simboleggia la figura dell’intellettuale napoletano che non e’ mai riuscito a restituire ai giovani di questa citta’ una spinta all’emancipazione e all’evoluzione, nonostante gli sforzi della donazione culturale che lo stesso Filangieri aveva restituito alla citta’ alla fine dell’800”.
‘Il lucernario’ diventa cosi’ una storia fuori dal tempo e dallo spazio, guarda e racconta di un filo rosso che lega Salvatore Caliano a Luana D’Orazio e alle 1.270 “anime candide” cadute nel 2020 e alle 185 registrate nei primi tre mesi di quest’anno. Il film di Saponaro restituisce, cosi’, “una storia amara ma che potrebbe lasciare una speranza se il desiderio simbolico di Gaetano Filangieri di parlare alla citta’, al mondo e alle giovani generazioni venisse interpretato in maniera corretta dai cittadini e dalle amministrazioni. Cioe’ se fosse declinato cercando di ottenere da tutto questo quell’orizzonte di normalita’ che, a una citta’ cosi’ eccentrica come Napoli, probabilmente, continua a mancare”.
‘Il lucernario’ non e’ solo il racconto di una storia su cui riflettere ma e’ anche lo spunto per incominciare a pensare a un nuovo modo di concepire e fruire l’enorme patrimonio artistico e culturale presente a Napoli e nella quasi totalita’ delle citta’ italiane. Il sogno di Saponaro, almeno nell’immediato futuro, non e’ solo quello di mettere in scena, non appena la pandemia lo permettera’, lo spettacolo all’interno del museo Filangieri ma che in Italia luoghi come questo diventino spazi “aperti” dove poter creare e sperimentare vecchie e nuove forme artistiche da condividere con il pubblico. Luoghi “strategici sul piano culturale” che possano diventare “luoghi di residenza creativa”.