Aversa. Gay Pride, Orabona: “Il mio outing…”

“Era quasi ufficiale: Aversa, su iniziativa di un consigliere comunale di maggioranza, si stava preparando ad ospitare il Gay pride. Per coloro che sono rimasti legati a vecchie terminologie o che hanno poca familiarità con l’inglese, va chiarito che la nostra Aversa aspirava a diventare per un giorno il luogo in cui si sarebbe celebrata la festa dell’orgoglio omosessuale, o, più precisamente, dell’orgoglio LGBTI, acronimo che indica le diversità di genere rispetto a quella, per così dire, “tradizionale”, nota, sin da Adamo ed Eva, come “maschio-femmina”. Bisogna riconoscere che questa decisione poi abbandonata, a quanto si dice, per sollecitazioni “non laiche” sarebbe stata una scelta assolutamente coerente, visto che Aversa è guidata da un’amministrazione arcobaleno, arco “politico” pluricolore che rimanda, appunto, anche ad una caleidoscopica molteplicità di generi e di diversità e/o di orientamenti sessuali. Voglio chiarire subito che gli omosessuali, i bisessuali, le lesbiche, eccetera, eccetera, mi sono del tutto indifferenti, che non ho pregiudizi di alcun genere verso di loro perché sono fermamente convinto della libertà di ognuno di avere orientamenti, condotte e pratiche sessuali che ritiene più consoni alla sua natura, alla sua tendenza ed alle sue scelte. Il diritto alla libertà sessuale è infatti un diritto soggettivo assoluto, tutelato all’art. 3 dalla nostra Carta costituzionale. So anche, però, che il diritto di critica è, del pari, un diritto soggettivo assoluto che riceve uguale tutela costituzionale dall’articolo 21. La precisazione è opportuna perché, per la verità, non ho mai giustificato una festa, quella dei gay, delle lesbiche, dei trans, dei bisessuali, dei gender, per celebrare e propagandare il proprio status sessuale. Seguendo questa proclamata e praticata “necessità”, anche i cosiddetti “normali” dovrebbero celebrare la loro “diversità” rispetto ai cosiddetti ‘diversi’?”. Così, in una nota, Isidoro Orabona, Responsabile Regionale Forza Italia Seniores.

“Insomma, tutti coloro che si riconoscono in ogni forma di “diversità” rispetto a quella che la tradizione, la natura, la cultura, la società considerano “normale” dovrebbero celebrarla con una parata? C’è anche da dire, sulle esperienze del passato (basta consultare un qualsiasi filmato delle manifestazioni; da ultimo, quella blasfema del Cristo Lgbt nella recente parata di Roma), che il gay pride, purtroppo, spesso è degenerato in una grangugnolesca “carnevalata”; la quale, tra l’altro, ha istigato e istiga i poveri di spirito e di intelletto a riprovevoli reazioni e ad irrigidirsi nel ricorso alle tradizionali e comuni definizioni delle diversità di genere .A proposito delle quali, non ho nemmeno mai condiviso inglesismi o neodefinizioni, visto che noi italiani abbiamo un vocabolario “nazionale e “regionale” talmente ricco che da sempre ha registrato dalla lingua parlata – a quella, cioè, del famigerato e spesso invocato ma bistrattato “popolo” – le definizioni e gli appellativi delle diversità sessuali e di genere. I quali, va lealmente riconosciuto, ormai da tempo, per una martellante campagna tesa ad una consacrazione sociale e religiosa dei cosiddetti “diversi”, hanno perso quella temuta carica dispregiativa o derisoria che li accompagnava. E qui mi vengono in mente fior di artisti, di poeti, scrittori, registi ed intellettuali gay – da ultimo, il compianto e noto musicologo Paolo Isotta – che si sono sempre ribellati, rifiutando l’uso di quelle terminologie straniere che generano solo confusione, nel malcelato intento di mirare a sacrificare la laicità dello Stato in nome di uno “Stato etico” che vuole imporre una società “diversa” costruita su innovative e stravolgenti gerarchie di diritti, tutele e valori. Le quali gerarchie, però, dissimulano un conformismo illiberale, finalizzato, in nome di un invadente ed invasivo e apparentemente dominante monopensiero, a prescrivere, addirittura, l’obbligo nelle scuole di celebrare la giornata omolesbotransfobica, quella del “genitore uno” e del “genitore due” – al posto di papà e mammà- e, anche, quella tesa a legittimare la inaccettabile, spregevole e mercantile pratica dell’utero in affitto. Seguendo questa tendenza di “politica antropologica”, non mi meraviglierebbe nemmeno l’imposizione – che, ahimè, richiama alla mente un triste passato legato ad una tragica ideologia – dell’obbligo agli scolari di indossare il grembiulino unisex monogender d’ordinanza con il “dovere” di partecipare alla sfilata gay-pride, magari intonando una canzoncina di “genere”. Ed allora, per il momento, prendo spunto dalla recente delibera della giunta comunale arcobaleno, che ha deciso, invece di occuparsi della invivibilità in cui sprofonda la citta, di incidere su una panchina arcobaleno della nostra ex villa comunale il numero di un cellulare per chiedere “soccorso” contro omofobia, transfobia, bifobia, lesbofobia, e propongo, quindi, che, sulla stessa panchina, in un piccolo angolo di colore bianco o azzurro (non ho preferenze), venga inciso anche il numero di un cellulare per sollecitare interventi a difesa della eterofobia ( gli amici gay apprezzeranno che non uso la dizione “normofobia”). Confesso che questa mia richiesta è però minata da un personale conflitto di interessi, perché, lo ammetto pubblicamente, senza remora alcuna e senza pretendere una parata per proclamarlo, sono stato e sono tuttora e ancora (questi avverbi di tempo, sono, naturalmente, giustificati solo da ragioni squisitamente anagrafiche e non da aspirazioni a impossibili “ripensamenti”) un eterosessuale. Sono, però, nel mio piccolo (su tale espressione si eviti qualsiasi commento malizioso), soddisfatto e soprattutto sereno di appartenere (ancora) a questa “categoria” (o gender?) Ora, però, spero tanto che questo mio senescente “outing”, così come si usa oggi dire, non mi cagioni reazioni avverse o facili e scontate ironie”.

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