Covid, IDO: “poca socialità ha inciso su sviluppo bimbi”
Il confinamento e le restrizioni imposte dalla pandemia hanno provocato una “carenza di socializzazione” che, a propria volta, ha prodotto dei ritardi nello sviluppo dei bambini. “Nei bimbi nati nel primo lockdown abbiamo notato un ritardo negli schemi posturo-motori, mentre quelli che durante il primo confinamento avevano due anni sono più indietro nelle competenze sociali che avrebbero dovuto sviluppare. Allo stesso modo, i bambini che ora hanno tre anni mostrano un ritardo nello sviluppo delle competenze linguistiche”. A spiegare le conseguenze della ridotta socialità, imposta dalla pandemia, sullo sviluppo dei bambini è Magda Di Renzo, responsabile del servizio Terapie dell’Istituto di Ortofonologia (IdO) e direttrice del Corso quadriennale di specializzazione in Psicoterapia psicodinamica dell’età evolutiva della Fondazione MITE, che inaugurerà il nuovo anno a gennaio 2022 e per il quale si sono aperte le iscrizioni.
“Anche i bambini della scuola primaria, dell’età di latenza- prosegue l’analista junghiana- hanno risentito di questa carenza e in loro più che notare ritardi, abbiamo notato delle notevoli difficoltà di concentrazione e in ambito comportamentale. Ad esempio si sono attivati comportamenti di tipo ritualistico-ossessivo che sono quelle forme che consentono di gestire l’ansia”. Gli psicologi dell’età evolutiva restano figure “importanti non solo oggi- chiarisce Di Renzo- Se vogliamo contestualizzare, ci troviamo in un momento in cui, senza previsioni catastrofiche, sarà necessario un aiuto per tutti i bambini e i ragazzi che si sono trovati ad affrontare in questo anno e mezzo un’esperienza davvero insolita. È molto importante che ci sia qualcuno che possa comprendere questo disagio senza stigmatizzarlo subito come patologia”.
La formazione di tipo psicodinamico, secondo la direttrice, “è imprescindibile perché il bambino è l’insieme di tutte le componenti tra cui, primaria, quella psico-affettiva e affettivo-corporea attraverso la quale passano tutti i messaggi fondamentali dall’esterno. Quindi, se non riusciamo ad avere una visione a grandangolo, che ci consenta di capire qual è la condizione psico-affettiva del bambino, non riusciamo a capire se le sue carenze appartengono solo a un disturbo o sono anche conseguenza di carenze ambientali. Ogni bambino va considerato nella sua unicità, ma anche all’interno della rete familiare e sociale che ne favorisce o ne condiziona l’evoluzione”.
Nel corso dei 4 anni di formazione, gli allievi seguiranno un percorso di analisi personale della durata di 100 ore distribuite nel primo biennio, 200 ore di laboratori esperienziali e 600 di tirocinio; 1.000 ore di insegnamenti teorici. C’è poi la formazione clinica che parte già nel primo biennio con i ‘i Seminari di consultazione clinica’, nel corso dei quali un esperto psicoterapeuta inizierà a discutere i temi principali della gestione dei casi clinici che si svilupperanno, poi, nel lavoro di supervisione di gruppo del secondo biennio (50 ore al terzo anno e 50 ore nel quarto anno). Ogni anno sono inoltre previsti seminari e conferenze con ospiti italiani e internazionali. Le tappe di sviluppo del bambino, le teorie psicodinamiche, la dimensione simbolica e quindi la comprensione di un linguaggio che non sia solo concettuale ma anche immaginale, sono solo alcuni dei molti temi che saranno approfonditi del corso dei quattro anni.
Sul fronte della ricerca e delle collaborazioni la psicoterapeuta sottolinea: “Abbiamo attivato, da oltre un anno un corso teorico-clinico, in collaborazione con la scuola di Ecobiopsicologia (Aneb) di Milano, in cui stiamo studiando il fenomeno della psicoterapia online. L’altra collaborazione importante è quella con la Società di psicologia e arte, con la quale stiamo tentando di integrare e mettere in rete quelle esperienze cliniche in cui gli atelier artistici hanno avuto un peso fondamentale nell’iter terapeutico del bambino”.
Gli allievi del corso partecipano, inoltre, al gruppo teorico-clinico dedicato al fenomeno del ritiro sociale giovanile, i cosiddetti ‘hikikomori’. “Il gruppo- spiega Di Renzo- ha approfondito la tematica dal punto di vista teorico, ma si è posto anche come una possibilità concreta di aiuto alle famiglie. Poiché è abbastanza difficile agganciare questi ragazzi, l’idea è stata di offrire ai genitori la partecipazione a questi gruppi per aiutarli a elaborare questo che vivevano con un grande fallimento. Metterle in relazione all’interno dei gruppi ha permesso in alcuni casi di ottenere già alcuni significativi cambiamenti in alcune situazioni”.
Al termine del quadriennio gli allievi, oltre a diventare psicoterapeuti, avranno anche conseguito tre patentini per l’uso professionale del Test psicodiagnostico di Wartegg, del Test sul Contagio Emotivo (TCE) e del Training Autogeno per gli adolescenti. Quest’ultimo considerato “uno strumento fondamentale”.