Scarcerato il boss che fece uccidere Don Peppe Diana

Con due ergastoli da scontare, il giudice ha deciso di mandarlo a casa, agli arresti domiciliari, perché malato terminale.

E’ la storia di Nunzio De Falco, ex boss dei Casalesi 71enne Nunzio De Falco, in carcere da 24 anni per due ergastoli, uno dei quali avuti perché riconosciuto mandante del delitto Don Diana, è stato posto ai domiciliari a Villa Literno, presso alcuni parenti.

“Probabilmente mio fratello, da prete, avrebbe perdonato, ma io non sono un prete e non perdono un assassino come Nunzio De Falco. Doveva morire da solo in cella, come accadde a mio fratello”. Lo dice all’ANSA Emilio Diana, fratello del sacerdote ucciso dal clan dei Casalesi il 19 marzo del 1994 nella parrocchia di San Nicola di Bari di Casal di Principe (Caserta) mentre si apprestava a dire messa, nel commentare di fronte alla notizia della scarcerazione del De Falco. Un fulmine a ciel sereno per la famiglia del don Peppe.

De Falco stava scontando la pena al carcere di massima sicurezza di Sassari; secondo quanto emerso dai processi, fu De Falco a ordinare al killer Peppe Quadrano di uccidere don Diana, che dava fastidio ma soprattutto aveva osato sfidare apertamente il potere dei boss in un periodo, erano gli anni ’90, in cui nessuno lo faceva. De Falco fu catturato in Spagna nel novembre 1997 e poi estradato; secondo la magistratura fu sempre lui a ordinare l’omicidio, avvenuto nel 1991 a Cascais (Portogallo), di Mario Iovine, braccio destro del fondatore e capo dei Casalesi Antonio Bardellino.

“Non ce l’aspettavamo – dice Emilio Diana – anche perchè ritengo sarebbe stato più giusto che un assassino come De Falco morisse in carcere. Ed invece potrà morire con accanto l’affetto dei suoi familiari, cosa che mio fratello non ha avuto. E’ questa la cosa che mi fa star più male” conclude Emilio Diana.

“La notizia degli arresti domiciliari concessi a Nunzio De Falco, mandante di omicidi tra cui quello di don Giuseppe Diana, sebbene rientri nelle misure di legge, resta per noi molto sconcertante. La sua scarcerazione nasce da specifiche regole ma risuona inevitabilmente come ingiustizia dinanzi alla memoria di don Diana e di tutte le vittime innocenti di camorra. Soprattutto perché non c’è stata nessuna confessione, alcun pentimento, né richiesta di perdono alla famiglia – così in una nota il Comitato don Peppe Diana -. A tutti devono essere assicurate le cure mediche e riteniamo che anche all’ assassino più efferato vada garantita una morte dignitosa, così come previsto dalla nostra Costituzione. E’ proprio per questo che riteniamo urgente e necessario che il sistema carcerario si doti di strutture e risorse in grado di gestire anche la fase terminale di detenuti con patologie gravi. Sapevamo e sappiamo che prima o poi i condannati scontano la loro pena ma temiamo che segnali come questo possano essere di incoraggiamento per coloro che vorrebbero rigettare il territorio nella paura della camorra. I familiari vivono un danno perpetuo. Continueremo ad essere al loro fianco e dalla loro parte, restando sempre vigili. Il Comitato don Peppe Diana e il coordinamento regionale di Libera sono vicini alla famiglia di don Peppe Diana e ad Augusto Di Meo, testimone oculare di quel barbaro assassinio”.

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Redazione

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