(VIDEO) Carceri, Simspe: “istituti penitenziari no fotocopie, violenza varia”
“Ogni istituto penitenziario, ogni area geografica, ogni regione è un mondo a sé. La comunità immagina che le carceri siano tutte fotocopie, ma non è così. I circuiti penitenziari italiani sono fortemente diversificati e caratterizzati secondo le tipologie detentive: ci sono sezioni di alta sicurezza, media sicurezza, sezioni più specializzate, sezioni femminili. Questo crea un circuito in cui anche le problematiche della violenza assumono delle connotazioni proprie”. A dirlo è Luciano Lucania, medico e presidente della Società italiana di medicina e sanità penitenziaria (Simspe), riflettendo sugli ultimi eventi di cronaca che dal carcere di Santa Maria Capua Vetere hanno risuonato anche in altri istituti penitenziari della Penisola.
Di certo “l’ambiente carcerario è violento- dice Lucania- la prima violenza è nel reato che viene commesso contro la persona, il patrimonio o la società; la seconda violenza è la conseguenza del reato, ossia la perdita della libertà e la reclusione in un luogo che sotto i profili generali, anche abitativi, è molto lontano dai nostri attuali standard di vita. Questo- sottolinea il presidente Simspe- di certo non contribuisce a rendere l’esperienza mai gradevole, difficilmente tollerabile e raramente affrontabile con una certa serenità. Certo, la violenza non si giustifica mai”. Tuttavia, Lucania sottolinea che “nessuno esprimerebbe violenza se non vi fossero motivazioni scatenanti, ovvero delle pulsioni collettive che poi diventano irrefrenabili. Non possiamo dimenticarci che tutto quello che si sta sentendo oggi è un effetto la cui causa va ricercata anche negli stress emotivi dovuti alla pandemia e anche negli episodi di rivolta all’interno delle carceri che si sono succeduti in quel periodo. Abbiamo vissuto una situazione di grave criticità nella quale spesso noi medici abbiamo giocato un ruolo quasi da mediatori”. Dunque nell’isolamento degli istituti penitenziari, nella paura di non far entrare il virus, nella necessità di dover continuare a lavorare, nonostante tutto, la scintilla di molte tensioni.
“Tutto è partito dalla situazione pandemica e dal rischio che nelle carceri potessero scoppiare focolai e la vita di ognuno potesse essere a rischio, ognuno di noi ha avuto paura. Chi ha dovuto continuare ad andare a lavorare era preoccupato”, sottolinea Lucania. “Sugli episodi di cui si sta parlando in questi giorni sarà la magistratura a scrivere la storia giudiziaria”, precisa Lucania che ci tiene a sottolineare come nella sua lunga attività professionale all’interno delle carceri abbia conosciuto “persone molto rigide nei comportamenti ma mediamente persone appartenenti al corpo di polizia penitenziaria capaci di dialogare, di discutere, di affrontare situazioni critiche con lo spirito giusto”, conclude.
(Mab / Dire)