Afghanistan, Kortunov: “Nel grande gioco la Russia sta col G20”

“Sì, è vero: a Mosca c’è qualcuno, anche in posizione di vertice, che per il fiasco americano ha provato un senso di rivalsa e forse anche soddisfazione. Ma il punto non è questo. Perché sull’Afghanistan, nei fatti, la Russia ha dimostrato di voler cooperare: sta all’Occidente ora decidere se accettare o tirarsi indietro”. Andrej Kortunov è il direttore del Consiglio russo per gli affari internazionali, un centro studi di riferimento a Mosca. Settantaquattro anni, ha insegnato in molte università all’estero, anche negli Stati Uniti, a Berkeley, in California. È cittadino del mondo ma, da diplomatico, sa come la pensano al Cremlino.

Nell’intervista con l’agenzia Dire, risponde sulle dichiarazioni dell’ambasciatore russo Dmitrij Zhirnov, secondo il quale “con i talebani la situazione a Kabul è pacifica e comunque migliore di quanto non fosse con Ashraf Ghani”. Accuse indirette, queste, non solo al presidente in fuga ma anche agli americani e ai loro alleati della Nato. Secondo Kortunov, in realtà, Mosca è in “attesa” di capire quale saranno le mosse degli islamisti. “Non correrà a togliere i talebani dalla lista delle organizzazioni terroristiche ma allo stesso tempo non farà nulla per evitare contatti o negoziati sulle questioni di proprio interesse, anzitutto su un temuto effetto domino sulle repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale, a partire dall’Uzbekistan e dal Tagikistan” dice il direttore. “I nuovi governanti di Kabul saranno giudicati sulla base delle loro azioni nei prossimi due mesi”.

A Mosca, in realtà, i talebani li conoscono. Il mese scorso loro rappresentanti sono stati ricevuti dal ministro degli Esteri Sergej Lavrov. Ultimo atto di un rapporto difficile ma comunque continuativo e a suo modo fruttuoso, a credere a Zamir Kabulov, inviato speciale del presidente Vladimir Putin per l’Afghanistan. “Non a caso abbiamo tenuto contatti con i talebani per sette anni” ha detto il diplomatico all’emittente ‘Ekho Moskvy’. “Ci rendevamo conto che avrebbero assunto il potere o rivestito comunque un ruolo chiave nel futuro del loro Paese”.

Le vie della storia, e della politica, non sono lineari. Kortunov lo sottolinea ricordando il sostegno americano ai combattenti islamisti che, insieme con Osama bin Laden, fronteggiarono i militari dell’Armata rossa inviata in Afghanistan nel 1979. Secondo il direttore, oggi in Russia c’è chi dice: “Avete supportato i mujaheddin contro l’Unione Sovietica e adesso pagate pure il conto”. Un conto sarebbero però le emozioni, un altro la politica. A Mosca ragionerebbero così: “E’ un fatto che la Russia ha condiviso la sua esperienza con la coalizione internazionale a guida americana in Afghanistan, mettendo a disposizione vie di transito e non ostacolando l’uso delle basi militari dell’Asia centrale ex sovietica”.

Una partecipazione quantomeno indiretta, quella di Mosca, che comporterebbe ora sfide nuove. “Finora i responsabili per l’Afghanistan erano gli Stati Uniti, mentre adesso il ruolo dell’Occidente sarà ridimensionato” avverte Kortunov: “Attori regionali, come la Russia, dovranno avere più rilevanza”. I partecipanti a questa nuova versione del “Grande gioco”, come nel 1827 l’ufficiale Arthur Conolly definì lo scontro tra gli imperi britannico e zarista per l’Afghanistan, saranno diversi. “Innanzitutto il Pakistan”, sottolinea Kortunov, “per i rapporti tra le sue forze armate e i suoi servizi di intelligence con i talebani, nonostante i problemi con i locali estremisti della comunità pashtun che hanno un’agenda separatista”.

Tra gli “attori regionali” chiamati ora in causa figurano la Turchia e poi l’Iran, un Paese al confine occidentale dell’Afghanistan, che ospita già un milione di profughi. Per capire bisogna allargare però lo sguardo a Oriente, ripercorrendo a ritroso la Nuova via della seta, fino a Pechino. Secondo Kortunov, “la Cina penserà soprattutto all’economia, investendo nell’industria mineraria ma cercando di evitare un impegno militare e di sicurezza diretto”. Pechino ha con Kabul un confine comune, prossimo ai distretti a maggioranza uigura e musulmana che la preoccupano, ma lungo appena 76 chilometri. Molto più difficile da controllare la frontiera tra l’Afghanistan e la Russia, almeno nelle sue memorie imperiali, zariste e sovietiche, che abbracciano l’Asia centrale dall’Uzbekistan al Tagikistan. “Con questi due Paesi c’è stata di recente un’esercitazione militare” ricorda il direttore: “Un segnale della volontà russa di rafforzare la sicurezza dei suoi alleati, per scongiurare infiltrazioni, magari da parte di combattenti di ritorno dalle campagne al fianco dei talebani”.

Per far fronte ai nuovi rischi Mosca sarebbe disposta a rivolgersi anche agli avversari di un tempo. Oggi l’attenzione sarà sull’ipotesi di un G20 straordinario, a presidenza italiana, con focus su profughi, terrorismo e diritti umani. All’incontro, da tenersi nelle prossime settimane, non parteciperebbero solo i Paesi membri della Nato ma anche la Cina e la Russia. Secondo Kortunov, “Mosca è pronta a utilizzare strutture multilaterali già esistenti come l’Organizzazione di Shanghai per la cooperazione o l’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva ma non esclude coalizioni piu’ ampie”. A prospettarle potrebbe essere già oggi un colloquio tra Putin e il presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi? “La palla è nel campo dell’Occidente” sospira Kortunov: “Bisognerà vedere se vorrà lavorare con la Russia”.

(VG/Dire)

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