Tutti contro DAZN ma senza sapere il perchè
Come ormai è noto praticamente a tutti, nella prossima stagione e nelle due successive, tutte le partite del campionato di calcio italiano di Serie A saranno trasmesse su DAZN in partnership con TIM esclusivamente utilizzando la rete internet.
Se da un lato questa è una novità epocale per l’evoluzione delle modalità di fruizione dei contenuti, dall’altro questa rivoluzione fa scattare un campanello di allarme sullo stato delle nostre reti nazionali, essendo la prima volta in assoluto che eventi di grande portata mediatica, come le partite di calcio, possano essere veicolate esclusivamente sulla rete internet. Non è un caso, infatti, che l’AGCOM abbia deciso di intervenire con un “atto di indirizzo” (delibera n. 206/21/CONS) finalizzato a regolare e garantire il corretto funzionamento delle infrastrutture di rete nazionali tramite soluzioni che evitino fenomeni di congestione, molto comuni durante i picchi di traffico che puntualmente si verificano in corrispondenza della trasmissione di uno o più eventi calcistici di grande respiro. Un evento del genere si è verificato, infatti, proprio qualche giorno fa in concomitanza con le prime partite del campionato 2021-2022 lasciando nell’amarezza molti abbonati a DAZN e generando tutto lo strascico di malumore conseguente.
Vediamo quindi di capire insieme le ragioni per le quali eventi del genere si verificano, ma non prima di aver fatto notare come la maggior parte della stampa generalista, poco preparata sull’argomento tecnico, abbia scelto di titolare in maniera sensazionalistica addossando la colpa ad un fenomeno, quello del digital divide, che c’entra ben poco con le problematiche riscontrate ad un’analisi più dettagliata.
Il comunicato della AGCOM, benché formalmente sia solo un “consiglio”, invita in buona sostanza gli operatori di rete a dotarsi di strumenti detti C.D.N. (acronimo di Content Delivery Network) al fine di garantire la continua fruizione del servizio in ogni condizione di traffico di rete.
Ma cosa sono queste content delivery network e perché potrebbero essere una soluzione per i problemi di trasmissione in rete di tutte le partite del campionato di calcio?
Come suggerisce il nome una cdn è una rete di consegna di contenuti, ossia un sistema di server geograficamente distribuiti utilizzati per trasmettere e trasportare file multimediali. Il suo fine è di decongestionare un sistema primario di trasmissione, ovvero quello che viene chiamato “hub primario” (nell’immagine “SERVER”) e che sta a monte del canale televisivo. Con l’adozione di questi “server satellite” (nell’immagine CDN node) si può rimuovere una buona parte del carico di lavoro sul nodo iniziale che spesso risulta essere il vero collo di bottiglia che viene a crearsi nel momento in cui tutti gli utenti che vogliono fruire di quel contenuto mandano simultaneamente una richiesta a questo unico sistema di trasmissione che, nel caso specifico, non riesce a soddisfare tutte le richieste e finisce per avere solo 2 opzioni:
- ridurre la qualità di trasmissione, rendendo di fatto invana la mission aziendale di distribuire lo streaming in alta definizione
oppure
- bloccarsi nel tentativo di distribuire a tutti uno streaming ad alta definizione e, per questo, congestionando la sua stessa rete
Per capire meglio il principio di funzionamento di una CDN ci può venire incontro l’esempio di Amazon che se da un lato fornisce a sua volta servizi di CDN, dall’altro ha adottato lo stesso schema di funzionamento delle CDN anche per ciò che viaggia al di fuori della rete internet, ovvero le merci.
Il modo in cui Amazon riesce a consegnarci maniera rapida e puntuale i nostri pacchi, infatti, prende proprio spunto da un sistema distribuito di merci non dissimile da una CDN. Pensate, ad esempio, al quartier generale di Amazon come il server centrale ed ai centri di distribuzione di Amazon come i server della CDN. Quando facciamo un ordine con Amazon, esso viene recapitato direttamente al quartier generale, dove verrà lavorato. Successivamente il quartier generale ordinerà al centro di distribuzione geograficamente più vicino a noi di consegnarci una copia di ciò che abbiamo ordinato. Quest’ultimo, avendo uno stock di merce già nel suo magazzino, cercherà di soddisfare la nostra richiesta nel più breve tempo possibile. Laddove, invece, ciò che abbiamo richiesto non sia presente all’interno del centro distribuzione, esso comunicherà con un altro centro di distribuzione (solitamente il secondo per distanza geografica dal cliente) il quale prenderà a sua volta in carico la consegna, liberando di fatto il precedente per soddisfare altri clienti. Se anche il secondo non dovesse avere la merce da noi richiesta si passerà al terzo, poi quarto e così via, fin quando il flusso non raggiungerà un centro ove la merce è disponibile. Solo qualora il bene non sia presente in nessun centro di distribuzione l’hub centrale di Amazon provvederà a spedire nuovi stock di merce ai vari centri di smistamento così da poter soddisfare le future richieste.
Più concretamente nel caso di DAZN l’infrastruttura CDN, qualora presente, si è mostrata insufficiente a sopperire alle esigenze di un pubblico così vasto. Un po come quando attendiamo molti giorni o settimane la consegna di un pacco urgente vanificandone l’utilità col passare del tempo. Nel caso di DAZN, talvolta quel pacco non è nemmeno più arrivato per alcuni spettatori.
A peggiorare la già disastrosa situazione la proposta l’AGCOM aggiunge ancora un dettaglio in più alla soluzione proposta. L’autorità garante, infatti, chiede a tutti quegli operatori con una quota di mercato di rete fissa broadband uguale o superiore al 15% (Fastweb, Vodafone e Wind 3) un parco apparati di CDN da integrare nelle loro reti di trasporto dati in un numero sufficiente da garantire e supportare il traffico internet generato dalla visione delle partite di calcio di Serie A. Nel caso le quote di mercato broadband siano inferiori (Tiscali, Eolo, Poste, ecc…) il numero di impianti CDN dovrà essere proporzionalmente ridotto ma comunque dovranno essere predisposti degli apparati anche per questi operatori.
Ancora una volta si punta il dito verso gli operatori telefonici senza dare peso alle mancanze infrastrutturali del fornitore di servizi in streaming.
Se proprio vogliamo puntare il dito verso gli internet service providers, l’unica cosa che è davvero criticabile ed un passo indietro rispetto al resto d’Europa è sicuramente la copertura FTTH (ovvero Fiber To The Home) cioè la banda ultralarga che arriva fino alle abitazioni, la quale oggi copre un modesto 41,3% della popolazione per lo più servita nelle principali città (fonte FTTH Council Europe). Di sicuro non un risultato da record se rapportato a nazioni come la ormai progredita Spagna, o come le bistrattate Romania e Bulgaria.
Ma considerando che uno stream di DAZN come di Netflix, Amazon Prime Video, Youtube e tanti altri fornitori di contenuti, qualora usufruito in risoluzione 4K (ovvero al massimo della definizione) occupa mediamente un flusso dati intorno ai 25 megabits/secondo a fronte del minimo di 50 megabits/secondo che sono solite fornire le connessioni FTTC (Fiber To The Cabinet) anche alla minima prestazione nelle zone meno raggiunte, viene logico dedurre che se il problema fossero gli ISP, gli utenti dovrebbero riscontrare gli stessi problemi anche con altri servizi come Netflix, Amazon ecc… Cosa che, nel caso di questi ultimi, non si è verificata così spesso o in maniera così grave, segno del fatto che questi fornitori di contenuti hanno provveduto a fornirsi di strutture adeguate al loro traffico di utenze.
Ne viene di conseguenza che dovrebbe essere DAZN a dotarsi di infrastrutture adeguate allo streaming, a differenza di quello che l’AGCOM ha chiesto agli ISP e in contrapposizione alle accuse giornalistiche alla rete internet nazionale di alcuni sedicenti esperti che continuano a parlare di velocità connessione broadband “da un gigabytes al secondo” (cit.).
Quindi, anziché prendersela con gli operatori telefonici che il loro lavoro lo fanno discretamente, la stampa dovrebbe andare un po più a fondo nelle tematiche tecniche, documentandosi prima, così da capire che sparare a zero sugli ISP è inutile se non deleterio, dato che ormai siamo nel 2021 e non conoscere la differenza tra Gigabit e Gigabyte è un po come non conoscere la differenza tra “è” verbo ed “e” congiunzione.
di Severino Pannella