Vaccino, Andreoni: “tutti garantiscono copertura all’85% contro covid”
‘Tutti i vaccini contro il Covid garantiscono una copertura media dell’85% contro un 65-70% del vaccino antinfluenzale. Parliamo di circa 20 punti di scarto. Su 100 persone, 20 in più rispetto all’altro vaccino. Un ottimo risultato’. Lo afferma alla Dire Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società italiana malattie infettive (Simit) e primario di Infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma, pronto a chiarire tutti i dubbi sulla durata e l’efficacia dei vaccini anti Covid-19.
Come si devono leggere questi numeri? ‘Si tratta di percentuali virtualmente mai raggiunte con le altre vaccinazioni. Sono vaccini che funzionano meglio di tutti quelli che utilizziamo abitualmente, con percentuali di successo enormi’. Il direttore scientifico della Simit aggiunge che ‘i vaccini che abbiamo a disposizione per contrastare il coronavirus sono altamente benefici ed hanno un’efficacia elevatissima: lo dimostrano le rianimazioni piene di soggetti non vaccinati’.
Anche i vaccini che garantiscono una copertura del 60%, come quello antinfluenzale, sono efficaci? ‘Siamo in presenza di un rapporto ‘costo-efficacia’ favorevole, perchè la loro protezione è sufficiente a ridurre in maniera significativa la mortalità o i casi gravi per quella malattia’. L’infettivlogo spiega infatti che ‘pur avendo un’efficacia ridotta rispetto a quella ‘mostruosa’ offerta dai vaccini anti Covid, è ritenuta comunque ‘cost effective’- puntualizza il professore- perchè, anche se con efficacia minore, sono sempre di gran lunga più efficaci rispetto a malattie come l’influenza a scarsa mortalità ma ad alta diffusione, proprio perchè il numero dei morti è sempre ragionato in termini di migliaia. La vaccinazione viene generalmente analizzata in funzione dei benefici che può portare’.
Per definire la durata dei vaccini chiamati a frenare l’avanzata del coronavirus, a quali criteri bisogna guardare? ‘Per tutti i vaccini anti Covid-19 devono essere considerate una serie di variabili- risponde l’infettivologo- la più grande è quella individuale. Non si può dire che Pfizer duri 9 mesi o Johnson&Johnson duri un anno e così via. Si tratta di un discorso fatto nella media della popolazione, non per il singolo individuo’. Andreoni sottolinea che ‘una persona che ha avuto una risposta anticorpale negativa al vaccino, perchè ha fatto, ad esempio, Johnson&Johnson o Pfizer, è una persona che ha una durata della vaccinazione molto relativa. Questa è dunque la prima cosa da sottolineare: esiste una variabilità interindividuale e volerla portare addirittura tra le caratteristiche da vaccino a vaccino mi sembra piuttosto molto complicato’. Per il direttore scientifico della Simit ‘il secondo elemento consiste nel fatto che anche la durata vaccinale è relativa alla variante virale verso la quale ci stiamo confrontando. Ci sono vaccini che hanno una buona copertura anticorpale nei confronti di una variante e altri vaccini che per quella stessa variante presentano una bassa copertura. E la durata della copertura, a quel punto, diventa fondamentale per dire quale sia l’efficacia della copertura stessa. Perchè se un vaccino protegge al 60% e un altro al 90%, che quel 60% perda progressivamente quell’efficacia ma soprattutto che ci sia un 40% che non è coperto fin dall’inizio nei confronti di quella variante da quel vaccino, è molto più interessante che non capire quanto duri nel 60%’.
I vaccini sono eterni? ‘No, hanno bisogno di richiami, che possono essere più o meno ravvicinati. Abbiamo vaccini che devono essere fatti tre o quattro volte in uno stesso anno da quando si è iniziata la vaccinazione. Quindi- rimarca lo studioso- nulla di strano che il vaccino anti Covid possa richiedere un ulteriore richiamo. Le cose, poi, si vedono con il tempo. Ad esempio, nessuno è in grado di dire che una eventuale terza dose permetta o meno di ottenere una immunità che duri cinque anni. La schedula vaccinale viene fatta osservando proprio ciò che accade’.
Questo comporta che dovremo fare un vaccino anti Covid ogni anno? ‘È possibile, ma non è nemmeno da escludere che la terza dose stabilizzi la nostra immunità e crei una immunità sufficientemente molto più lunga di quello che è stato ottenuto con le prime due. Questo si vedrà ma, ci tengo a dirlo, il fatto che si debba fare ricorso ad un richiamo non è affatto una stranezza’.
Quando si dovrà fare la terza dose? ‘Prima o poi si arriverà a dire, ad esempio, che chi ha ricevuto Pfizer deve ripetere la vaccinazione dopo 9 mesi, chi ha fatto Johnson&Johnson la può ripetere magari dopo 11 mesi e chi è stato vaccinato con AstraZeneca la può rifare dopo 12 mesi, ma i dati che si stanno raccogliendo in questo momento in letteratura, soprattutto rispetto ai Paesi che hanno vaccinato precocemente, come ad esempio Israele, iniziano a dire che il richiamo della vaccinazione debba essere fatto intorno ai 9 mesi dalla precedente vaccinazione’. Il primario di Infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma dichiara, inoltre, che ‘il richiamo vaccinale dovrebbe essere fatto in funzione della risposta anticorpale che il soggetto ha avuto. È chiaro che probabilmente già ad oggi abbiamo persone che abbiano fatto la vaccinazione ma o non hanno risposto o hanno risposto poco alla vaccinazione stessa o, avendo risposto poco alla vaccinazione, probabilmente sono già scoperti da adesso. Quindi, la scelta di quando effettuare un’altra vaccinazione, in termini ipotetici ma scientfici, andrebbe fatta in funzione della risposta anticorpale che ognuno di noi ha avuto’. Ma questo è irrealizzabile secondo Andreoni, ‘perchè- afferma- non possiamo iniziare a fare una campagna di richiami per conoscere le risposte anticorpali di tutti gli italiani vaccinati e valutare di volta in volta chi vaccinare o chi non vaccinare e poi quando ripetere nuovamente il test a quelli che non abbiamo vaccinato per capire quando e se sottoporli a somministrazione’.
Secondo Andreoni ‘bisognerebbe iniziare a ripensare ad una terza dose a partire dal nono mese dall’effettuazione del vaccino dando la precedenza alle persone più fragili in assoluto. Mi riferisco a tutti i pazienti immunodepressi o particolarmente anziani, persone che hanno avuto una risposta anticorpale modesta al vaccino. E, sottolineo, senza alcuna distinzione tra i vaccini anti-Covid, pur sapendo che nei confronti delle singole varianti la durata dell’immunità può essere diversa in funzione del vaccino fatto’. Il direttore scientifico della Simit tiene però a precisare che ‘se mettiamo troppi parametri all’interno della rivaccinazione diventa poi impossibile fare una campagna vaccinale e rischiamo di finire in un ginepraio davvero difficile da gestire’.
Si discute molto dell’eventuale differenza di efficacia tra i vaccini anti-Covid, cosa ne pensa? ‘L’efficacia è uguale per tutti ma noi stiamo facendo una campagna di vaccinazione di massa, dove non c’è spazio per gli individualismi, nè legati al vaccino nè legati alla persona’. Andreoni aggiunge che ‘sui grandi numeri può esserci una differenza di efficacia in termini di risposta alla variante Delta ma esistono tanti altri dati a favore o sfavore di un vaccino rispetto all’altro, come ad esempio la sua tollerabilità. Sinceramente non farei una distinzione e non direi che uno protegge un po’ di meno o un po’ di più rispetto ad un altro’.
L’esperto ritiene che in questa fase sia più importante ‘puntare su quanti vaccini abbiamo e su quante persone riusciamo a vaccinare. Tutti i vaccini proteggono comunque, perchè non stiamo assistendo a pochi casi di morti di soggetti vaccinati, tutti perchè hanno utilizzato, ad esempio, AstraZeneca. Non è così. Muoiono pochi casi di soggetti vaccinati perchè molto fragili e perchè hanno risposto davvero molto poco alla vaccinazione, qualunque essa fosse. Meno si fanno questi discorsi che hanno a che fare con le differenze e le caratteristiche tra un vaccino e l’altro- ripete Andreoni alla Dire- più favoriamo la vaccinazione. Fare distinzioni crea soltanto difficoltà su una campagna vaccinale che, invece, deve essere globale’.
Lei è favorevole all’obbligo vaccinale? ‘Tutte le grandi epidemie vengono sconfitte con interventi obbligatori e globali. Quindi- replica il primario di Infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma- di fronte ad un’epidemia l’obbligatorietà è l’unico sistema che abbiamo a disposizione per tenerla sotto controllo. Non si può lasciare la scelta alla volontà delle persone. Ciò significa che per sostenere tutto questo è necessaria una forza politica. Sotto l’aspetto scientifico, però, è così. Se l’arma viene giudicata valida, e i dati dicono questo perchè i numeri legati alle morti e ai ricoveri sono diminuiti, a quel punto deve essere globale. In caso contrario il virus continuerà a circolare, gli ospedali, soprattutto le terapie intensive, verranno nuovamente occupati e le persone continueranno a morire’. Sul vaccino, dunque, c’è una sola strada: ‘Dobbiamo arrivare alla sua obbligatorietà come è stato fatto in occasione del lockdown e per l’uso della mascherina. Poi se da un punto di vista politico, sociale o antropologico non si potrà arrivare all’obbligo- conclude- questo è un altro discorso, ma da un punto di vista scientifico rendere obbligatoria la vaccinazione è l’unico modo per ridurre la circolazione del virus’.
(Fde/ Dire)