Vaccino, Studio IRCCS: “Alcuni farmaci per sclerosi diminuiscono anticorpi”

Nei pazienti con sclerosi multipla (SM) sottoposti alla doppia dose di vaccino anti-Covid, alcuni farmaci riducono gli anticorpi specifici. Lo dimostra per la prima volta una ricerca italiana che ha coinvolto 35 centri nazionali per la SM, coordinati dall’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino e dall’Università degli Studi di Genova, appena pubblicata sulla prestigiosa rivista EBioMedicine. Lo studio è stato cofinanziato da AISM con la sua Fondazione (FISM).

Dopo un mese dalla seconda dose, la maggior parte dei pazienti vaccinati con Moderna o con Pfizer ha una copertura anticorpale elevata contro Covid-19. La percentuale si riduce in chi è trattato con fingolimod (93%), rituximab (64%) e ocrelizumab (44%). In tutti i pazienti, senza distinzione di età, sesso e tipo di terapia, è stato osservato che Moderna determina livelli anticorpali 3.2 volte più alti rispetto a Pfizer.

Questo è il primo grande studio che analizza la vaccinazione anti-Covid nell’ambito della SM e i suoi risultati gettano le basi per la gestione dei pazienti neurologici fragili in trattamento con farmaci che inibiscono il sistema immunitario. “La sclerosi multipla è una malattia autoimmune, in cui il sistema immunitario aggredisce la mielina che riveste i nervi provocandone un progressivo malfunzionamento cui segue nel tempo la comparsa di disabilità- spiega Maria Pia Sormani, docente del dipartimento di Scienze della Salute dell’Università di Genova, coordinatrice principale dello studio- In Italia ne soffrono circa 130.000 persone, con una incidenza di circa 3.600 nuovi casi all’anno e in tre casi su quattro si tratta di donne. Al momento non esistono cure definitive, ma terapie che consentono di rallentare il decorso della malattia e quindi la comparsa di disabilità, motorie e non solo, soprattutto modulando l’attività delle cellule del sistema immunitario”.

I pazienti con SM sono stati inseriti nella categoria dei ‘pazienti fragili’ con vaccinazione anti-covid prioritaria; tuttavia finora, a eccezione di risultati preliminari arrivati da Israele, primo paese al mondo ad aver avviato la campagna vaccinale, non era noto l’effetto dei vaccini sui pazienti con SM. La ricerca italiana ha coinvolto 780 pazienti con SM, suddivisi in 12 gruppi in base al tipo di terapia ricevuta, che si sono sottoposti volontariamente alla vaccinazione anti-covid, 594 con Pfizer e 186 con Moderna.

“Il dosaggio degli anticorpi anti-covid è avvenuto dopo 4 settimane dalla seconda dose del vaccino, quando cioè si dovrebbe avere la più alta produzione di anticorpi- precisa Sormani- I risultati dimostrano che fingolimod, rituximab e ocrelizumab, inibiscono la produzione di anticorpi in seguito alla vaccinazione contro il covid-19. Nei pazienti trattati con tutti gli altri farmaci i livelli sono normali. Inoltre, i pazienti vaccinati con Moderna hanno livelli di anticorpi di oltre 3 volte maggiori rispetto a quelli ottenuti con il vaccino Pfizer”. “Lo studio prosegue con il completamento della raccolta dei campioni sui 2.000 pazienti arruolati e la valutazione del follow up clinico- aggiunge Sormani- Il nostro obiettivo infatti è prima di tutto verificare che le persone con SM non sviluppino il covid in forma severa, in particolare quelli che hanno prodotto bassi livelli anticorpali”. “Non sappiamo ancora- prosegue Antonio Uccelli, neuroimmunologo e direttore scientifico del San Martino- se la riduzione di anticorpi contro il covid si traduca in una minore efficacia del vaccino. A questo proposito è fondamentale monitorare clinicamente i pazienti e studiare la risposta al vaccino mediata da altri tipi di cellule immunitarie, per esempio i linfociti T, che potrebbe garantire comunque una protezione sufficiente”.

La Fondazione Italiana Sclerosi Multipla ha finanziato questo studio nell’ambito della Alleanza italiana di ricerca promossa con il ‘Registro Italiano Sclerosi Multipla’, la Società italiana di neurologia (Sin) con il Gruppo di Studio Sclerosi Multipla (il network di tutti i Centri Sclerosi Multipla italiani) e l’Associazione italiana di neuroimmunologia (Aini): insieme hanno sottoscritto un’Alleanza per promuovere un’agenda di ricerca sull’impatto dell’infezione da covid-19 nelle persone con SM e, in particolare, la relazione tra COVID-19 e farmaci modificanti la malattia e vaccinazione. “Questa alleanza è fondamentale perché sta dando impulso a studi più approfonditi per chiarire questi ulteriori quesiti scientifici che ci daranno a breve il quadro completo utile a prendere tempestive decisioni cliniche”, spiega Paola Zaratin, direttore scientifico della Fism. “Questo prestigioso studio condotto dal San Martino e dall’Università di Genova con la rete italiana dei Centri SM si colloca in questo piano di ricerca utile a capire come le terapie influenzino l’infezione da SARS-CoV-2 in persone con sclerosi multipla e come SARS-CoV-2 stesso influenzerà la sclerosi multipla. Un’emergenza che vede il mondo della ricerca fare i suoi importanti passi per debellare questo virus e per questo noi della FISM, grazie al contributo di tutti i cittadini, diamo tutto il nostro sostegno finanziando in maniera prioritaria questo filone di studi su cui l’alleanza ha già individuato le priorità strategiche di ricerca”, dichiara Mario Alberto Battaglia, presidente della Fism.

Lo studio è stato un grande successo della rete italiana dei centri SM, che in modo compatto e rapido si è unita per raccogliere dati importanti da rendere pubblici velocemente per l’intera comunità mondiale. “Tutti hanno fatto uno sforzo che va al di là dei propri “doveri istituzionali”, dal personale infermieristico che si è prestato a fare prelievi extra, al personale amministrativo che ha accelerato le pratiche per avere le approvazioni necessarie allo studio, alla Fism che ha rapidamente finanziato lo studio, aiutando capillarmente i centri coinvolti, a tutti i neurologi che spesso hanno fatto personalmente i prelievi e inserito i dati durante i week end, fino ai pazienti che volontariamente sono tornati, un mese dopo la vaccinazione, per sottoporsi al prelievo”, precisa Irene Schiavetti, ricercatrice dell’Università di Genova e co-responsabile del coordinamento dello studio e della raccolta dati.

(Com/Pic/Dire)
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