(VIDEO) Congresso SIPPS a Caserta, la pediatra Caroli su allergie alimentari e svezzamento materno

“Le allergie alimentari dipendono anche dal luogo in cui si vive: ad esempio, quella alle proteine del latte vaccino è più frequente in Europa, mentre quella alla soia è più frequente in Oriente e quella alle arachidi negli Stati Uniti. È importante sapere che le allergie riguardano solo le proteine e mai i grassi e gli zuccheri contenuti negli alimenti. Quindi, per esempio, non esiste l’allergia al lattosio (lo zucchero del latte), ma solo l’intolleranza”. Punta a fare chiarezza sul delicato tema delle allergie e delle intolleranze alimentari Margherita Caroli, pediatra ed esperta di nutrizione della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale, riunita in questi giorni e fino al 26 settembre per il XXXIII Congresso nazionale a Caserta.

Un’allergia non si eredita, spiega ancora l’esperta, “si eredita una predisposizione alle allergie e si può ereditare una predisposizione alla celiachia. Quest’ultima è un’intolleranza al glutine, è una malattia autoimmune ed è un’entità ancora molto vaga che ha necessità di essere definita per bene e non deve essere la mamma a fare questa diagnosi. Togliere, senza una diagnosi del pediatra, gli alimenti col glutine ai bambini significa togliere alimenti utili e necessari alla loro crescita e non significa farli mangiare in modo più sano perché i cibi senza glutine sono più lavorati e hanno problemi di qualità nutrizionale perché per motivi di lavorazione sono più ricchi di grassi e zuccheri semplici”. “Esistono diversi tipi di allergia alimentare- prosegue Caroli- e la diagnosi deve farla il pediatra perché si tratta di una patologia- tiene a specificare- In base a questa diagnosi, viene consigliato il latte giusto a base di soia, di riso o con le proteine del latte ma già digerite. Si tratta però sempre di latte in formula. I latti vegetali che si trovano nei supermercati, infatti- ammonisce l’esperta- sono bevande a base di soia o di riso o altro e non veri e propri latti e non possono essere definite latte perché non ne hanno le caratteristiche nutrizionali. I genitori che pensano di dare qualcosa di sano ai propri bambini facendo bere loro queste bevande, dovrebbero invece sapere che non sono naturali come pensano e contengono anche molti zuccheri”. Un altro mito da sfatare, in tema di latte, è quello legato al latte d’asina che, chiarisce senza mezzi termini la pediatra, “va benissimo per l’asinello, non certo per il bambino. Il latte d’asina ha infatti un problema: è povero di grassi. Cento grammi contengono un solo grammo di grassi e hanno 40 calorie contro le 70 del latte materno o anche in formula. Determinati grassi sono indispensabili per una ottimale crescita cerebrale”.

Oltre all’allergia alle proteine del latte, esiste poi l’intolleranza al lattosio (lo zucchero del latte), “è la più frequente nei bambini ed è dovuta alla carenza di un enzima (la lattasi) che è presente in tutti i bambini e che in alcuni gruppo etnici sparisce dopo i due anni di vita. Sono rari i casi di intolleranza vera, cioè di agenesia. Tuttavia- chiarisce Caroli- questo enzima può essere anche indotto nella sua produzione con la somministrazione di piccole quantità di lattosio, da aumentare nel tempo, così da accrescere la produzione della lattasi”. I bambini con allergie conclamate o potenziali, infine, “possono essere svezzati come tutti gli altri e devono introdurre gli alimenti come i non allergici. La presunta finestra di cui tanto si parla, per introdurre o meno determinati alimenti, non è rigida e ha dei modelli diversi in base al cibo e al bambino, va modulata”.

SVEZZAMENTO SPAVENTA MAMME, È PERDITA CONTROLLO SU FIGLI. “Lo svezzamento spaventa tanto le mamme perché rappresenta una perdita di controllo sul figlio. La mamma che allatta ha un attaccamento particolare al bambino, che sia al seno o con formula l’allattamento consente di avere un contatto che va oltre la semplice soddisfazione di un bisogno fisiologico. Iniziare lo svezzamento significa iniziare a tagliare quel cordone ombelicale d’amore. Le mamme- tiene a precisare l’esperta- devono abituare i bambini a staccarsi da loro e il cibo non va utilizzato come strumento d’amore, farlo- ammonisce- è un errore perché il bambino imparerà che nella vita può risolvere i suoi problemi mangiando”.

Lo svezzamento, o alimentazione complementare come andrebbe più correttamente chiamata, porta con sé molte false credenze, comportamenti sbagliati e mode del momento. Proprio riguardo a queste ultime, in particolare a quella dell’autosvezzamento, Caroli spiega che “molto di quello che si dice dell’autosvezzamento non è vero e in questo metodo c’è poca sicurezza perché si basa su studi realizzati in maniera molto parziale. Ad esempio, non è vero che il bambino impara a mangiare meglio o che cresca meglio”. Su questo la Sipps prende una posizione molto chiara nel Documento intersocietario sull’Alimentazione complementare promosso in collaborazione con la Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP), la Società italiana di nutrizione pediatrica (SINUPE), la Società Italiana Developmental Origins of Health and Disease (SIDOHaD) e presentato proprio durante le giornate congressuali. Un documento “frutto di tre anni di lavoro in cui abbiamo raccolto e analizzato un ampio numero di articoli scientifici su questo e molti altri argomenti relativi all’alimentazione complementare” precisa Caroli.

Una delle principali conclusioni a cui giunge il documento è una forte raccomandazione per pediatri e genitori: “Non c’è alcun motivo per iniziare a proporre cibi solidi ai bambini prima dei 6 mesi. A parte i motivi nutrizionali, ce ne sono altri, molto seri come la maturazione neurologica e cognitiva. Il bambino- approfondisce la pediatra- può iniziare con l’alimentazione complementare quando tiene bene dritta la testa, quando è capace di portare il cibo alla bocca e di dire se è sazio. Se si comincia prima, si inizia male. Si comincia ai sei mesi compiuti”. Un altro punto molto importante dello svezzamento è la qualità dei cibi che vengono offerti ai bambini. “Noi siamo geneticamente predisposti a gradire cibi ricchi di zuccheri, di grassi e di proteine, tutti elementi che erano necessari alla sopravvivenza degli uomini primitivi ma che oggi, con l’abbondanza di cibo che abbiamo, non vanno più bene. Quindi- chiarisce la specialista- i cibi solidi vanno offerti in base a una sana educazione alimentare che insegni al bambino a gradire alimenti sani e necessari nel nostro mondo: frutta, verdura, cereali complessi e legumi, sui quali ci sono molte incertezze e andrebbero invece rivalutati. Bisogna essere poi molto prudenti con carne, pesce e formaggi per non caricare reni e fegato”.

Attenzione anche alla consistenza dei cibi, inutile trasformare tutto in creme o pappe morbide. “Non bisogna passare tutti gli alimenti, perché così facendo si impedisce ai bambini di sviluppare una corretta capacità masticatoria. Se al bambino non si insegna a masticare per paura che possa soffocarsi, questo potrebbe invece succedere con maggiore facilità proprio perché il piccolo non ha imparato a masticare. Ci vuole il giusto mix tra cibi morbidi e cibi duri- conclude Caroli- per consentire un corretto sviluppo della mandibola e della capacità masticatoria”.

(Arc/ Dire)

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