Green pass e datori lavoro: cosa prevede il GDPR sulla conservazione dei dati?

Il 15 ottobre è diventato obbligatorio il Green pass anche per accedere ai luoghi di lavoro. Una disposizione che potrebbe far sorgere delle problematiche per i datori di lavoro che avranno a che fare con una mole di dati sensibili dei propri lavoratori. “Il primo impatto con la gestione di questi dati per il datore di lavoro è un impatto pieno di criticità e di dubbi- ha sottolineato, vicepresidente di Anorc Professioni – Innanzitutto perché qualunque datore di lavoro si trova spaesato nel dover gestire dei dati che finora non aveva l’obbligo né il potere di gestire.
In questo caso deve verificare un dato relativo non tanto alla salute, ma alle condizioni dei suoi lavoratori e del personale che accede alla sede aziendale per porre in essere un’attività lavorativa; quindi anche lavoratori con contratti esterni. Il rischio da scongiurare è quello di raccogliere una mole di dati che invece non deve, in nessun caso, essere raccolta”.
Il regolamento europeo, il Gdpr, “in tema di protezione dei dati- ha continuato- ci impone di trattare qualsiasi dato personale secondo il principio di minimizzazione, quindi in questo caso dobbiamo andare a vedere la normativa. E la normative impone al datore di lavoro di andare a verificare il possesso del Green pass da parte del lavoratore, non anche di raccogliere, registrare trattenere o conservare questi dati. La prima indicazione da dare ai datori di lavoro è di non conservare alcun dato, nessuna registrazione relativa all’esito delle verifiche fatte in questi controlli, ma limitarsi alla verifica. Questo perchè dobbiamo rispettare il principio di minimizzazione del Gdpr, ma anche perchè la registrazione implica una conservazione del dato e non ci sono le basi giuridiche per trattare questi dati. Purtroppo abbiamo visto tantissime procedure fatte frettolosamente in cui si inviavano registri alle varie società per appuntare l’esito della verifica di ogni lavoratore e del personale che accede in sede”.
Bisogna quindi “dotarsi di un device in cui scaricare l’app ‘Verifica19’, quella messa a disposizione dal Governo, e limitarsi a verificare il possesso del Green pass leggendo il Qrcode. Se un lavoratore non è in possesso di un Green pass valido semplicemente non si fa accedere alla sede lavorativa. L’unica ipotesi in cui il datore deve comunque documentare di aver rilevato un Green pass non valido è quando il lavoratore ha già avuto accesso al luogo di lavoro oppure si sono svolte delle verifiche non generalizzate, magari a campione, per cui una volta che si sono fatti entrare i lavoratori in un turno si sono verificati dei Green pass, e lì si è trovato un lavoratore con un Green pass non valido, in quel caso scattano le sanzioni che il prefetto può erogare. E quindi- ha concluso Ungaro- il datore di lavoro deve documentare quella verifica, con esito negativo, per poter assolvere ai suoi obblighi di comunicazione”.

Redazione

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