Tridico difende il reddito di cittadinanza: “Non è un finanziamento a ‘non lavoro'”
Il salario non è più in grado di assicurare una vita dignitosa al 30% dei lavoratori italiani. I dati Inps sono chiari e impietosi. Cosa fare quindi? Ecco la domanda a cui cerca di rispondere il libro ‘Ripensare lo stato sociale‘, presentato oggi nella sede dell’Inps a palazzo Wedekind. “Perché non finanziare il lavoro invece che assistere sterilmente la disoccupazione?”, domanda l’autore Giulio Prosperetti, giudice della Corte costituzionale. Meglio estendere le tutele per chi lavora piuttosto che ampliare il reddito o la pensione di cittadinanza.
“Se dovessi ridurre il libro a uno slogan- dice Prosperetti- sarebbe ‘finanziare il lavoro, non il non lavoro“. Ridurre la disuguaglianza invece di compensarla. “Lo slogan non aiuta- ribatte il presidente dell’Inps Pasquale Tridico– non lo condivido. Il problema è molto più complesso“. Per Tridico la sfida è quindi riuscire a integrare i redditi da lavoro, magari “rafforzando i servizi invece che i trasferimenti monetari”, ma “senza contrapporre lavoro e non lavoro”.
Per Elena Granaglia, professoressa ordinaria di Giurisprudenza all’università di Roma3, “siamo di fronte a un mondo del lavoro lontano da quello auspicato dalla Costituzione”. È lei a sottolineare l’importanza di “forme di integrazione dei redditi da lavoro”. Poi, citando il libro di Prosperetti, fa l’esempio degli assegni famigliari come modello di sostegno all’occupazione. Patrizia Tullini professoressa di Scienze giuridiche all’università di Bologna, rilancia “l‘introduzione del salario minimo legale” che “non va considerato solo nella logica di una misura anti dumping ma anche come una misura di equità sociale”.
(Dire)