(VIDEO) Covid, Omicron causa un terzo dei ricoveri di Delta
“Nello studio inglese sono stati registrati, nel Regno Unito, 528 mila casi di Omicron e 573 mila di Delta nel periodo compreso tra il 22 novembre e il 26 dicembre, quindi più o meno lo stesso numero dei casi. Se guardiamo alle ospedalizzazioni dovute ad Omicron ce ne state 3000 mentre di Delta 13500; da qui possiamo concludere che la gravità di Omicron sia circa un terzo di quella del’altra variante. Sui 650mila casi, che abbiamo avuto in Italia negli ultimi giorni, possiamo aspettarci 4000 ospedalizzazioni nelle prossime ore e giorni se fossero tutti Omicron, ma avremmo però 15 mila ricoveri se fossero tutti Delta”. A spiegare all’agenzia Dire la minore gravità della variante più contagiosa è Antonello Maruotti, ordinario di statistica all’università Lumsa.
In virtù dello studio dell’agenzia britannica per la sicurezza della salute, citato da Maruotti, come di altri dati provenienti dal Sudafrica, gli esperti sono ormai concordi nel ritenere che la nuova mutazione del virus non è più pericolosa ma lo stesso professore della Lumsa mette in guardia dall’impatto sui numeri delle ospedalizzazioni che la variante può comunque creare: “Omicron in proporzione è meno grave di Delta ma genera un numero di casi in termini assoluti che il sistema sanitario può fare fatica a reggere”. E, in ogni caso, per avere una stima anche approssimativa di quello che può succedere, servirebbe conoscere la prevalenza della Omicron in Italia che però- evidenzia ancora Maruotti- “non abbiamo e questo non ci consente di comprendere come cresceranno i casi e i ricoveri nei prossimi giorni”.
Un dato determinante anche per le nuove decisioni che assumerà nelle prossime ore il governo, con una cabina di regia convocata per il 5 dicembre, e che ha in agenda l’obbligo vaccinale per tutti i lavoratori, ipotesi che riguarderebbe anche chi lavora da remoto. “Sappiamo invece che dall’8 di dicembre c’è stato un cambiamento di pendenza della curva dei contagi- chiarisce Maruotti- quindi c’è stato sicuramente un effetto esterno che ha modificato l’andamento della crescita dei contagi. Due fattori esterni che probabilmente possiamo ricondurre all’arrivo di Omicron e alla minore copertura data dal vaccino. Avere dati più solidi su Omicron- sottolinea il professore- dal punto di vista della prevalenza, ci aiuterebbe a capire quale scenario ci attende e quali decisioni assumere”.
“Non è possibile stimare il picco dei contagi, perchè sono molte le variabili gioco in questo momento e tutte le ipotesi in campo sono ancora plausibili, nel mentre i contagi continueranno a crescere e anche di molto. Se la variante delta fosse ancora prevalente, come sembra dirci l’istituto superiore di sanità con lo studio sulle acque reflue che stima omicron sotto il 30%, saremmo in una situazione ancora critica sia per l’immediato futuro, sia per il problema in prospettiva- avverte Maruotti- siamo già a 150mila casi giornalieri, stando ai numeri di due giorni fa, più attendibili perché durante i giorni feriali. Se così fosse, dunque, le domande che ci attendono sono: quanti casi avremo quando omicron sarà sarà prevalente sulle altre varianti e quale sarà il peso di questi casi sugli ospedali?”.
Maruotti lo dice in modo molto diretto, i casi che crescono esponenzialmente non si spiegano solo con la variante delta, come invece sostiene l’Istituto superiore di sanità, sia con lo studio sulle acque reflue condotto tra il 5 e il 25 dicembre, sia con la flash survey i cui risultati sono stati forniti prima delle festività. Entrambe le indagini hanno attestato la variante omicron al 25-28%, un dato che Maruotti, interpellato dalla Dire, sembra contestare. “É difficile in questo momento conoscere con certezza i dati su cui basare le proiezioni, anche perchè la flash survey dell’Istituto superiore di sanità qualche difetto metodologico ce l’ha e le relative stime, quindi, vanno prese con molta cautela. Avere informazioni più dettagliate su questo sarebbe fondamentale per prendere decisioni solide, anche perchè tra le poche cose certe c’è che la copertura vaccinale cala significativamente dopo alcuni mesi dall’ultima somministrazione, e già altri Paesi ne hanno anticipato il richiamo, per questo i casi che hanno cominciato a crescere già nel tardo autunno sono il chiaro segnale di una popolazione suscettibile al virus senza adeguata copertura dal vaccino. Se mettiamo insieme tutte queste variabili- ribadisce Maruotti- ci rendiamo conto che le previsioni sul picco non sono quindi possibili”.
“Dove stiamo andando? Le limitazioni sono molto inferiori rispetto allo scorso anno, le restrizioni minime sui vaccinati, mentre la riduzione della quarantena, sempre per i vaccinati, va nella direzione opposta all’indicazione di vaccinare i bambini 5-11 anni, con la quale si vorrebbe mitigare l’effetto dei contagio e fermare la circolazione del virus. Allo stesso modo non abbiamo indicatori validi per contenere l’epidemia, eccetto il valore dell’incidenza di 50 casi per 100mila abitanti ormai abbondantemente superata. Ci restano solo gli indicatori sulle ospedalizzazioni e i ricoveri in intensiva usati anche per il cambio dei colori delle Regioni ma sono un dato che fa riferimento a due settimane fa, un po’ lontano nel tempo per prendere decisioni tempestive. Avere dati più solidi significa sapere cosa ci aspetta nelle prossime due settimane”. Continuiamo a rincorrere il virus, è questo il commento di Maruotti, che spiega l’ambivalenza e il ritardo degli indicatori nelle scelte del governo, decisioni contrastanti peraltro, a metà tra rassicurazione e allarme.
E se il governo introducesse l’obbligo vaccinale su tutti i lavoratori, ne vedremmo l’effetto sull’epidemia? “Certamente sì, risponde Maruotti, ma sarebbe comunque tardi a fronte dei quasi 700mila casi positivi delle ultime ore. Omicron è già tra noi”. É un ritardo a cui si può far fronte? “Non aver avuto informazioni accurate sulla copertura vaccinale, così come aver occupato il 25esimo posto in Europa sul tema del sequenziamento delle varianti, nonostante l’Istituto superiore di sanità sostenga di aver fatto il massimo, e aver comunque fatto meno sequenziamenti rispetto alla fase iniziale dell’epidemia, è una zavorra difficile da alleggerire”, conclude Maruotti.
(Org/ Dire)