Vacino, Bucci: “Nello studio su Sputnik, si paragonano mele con pere”

“Si paragonano ‘mele Sputnik’ con ‘pere Pfizer’, per di più scegliendo pere sistematicamente più vecchie delle mele; da un simile confronto non si può certo dedurre che le ‘mele Sputnik’ siano migliori”. Risponde cosi all’agenzia Dire, Enrico Bucci, professore in biologia dei sistemi alla Temple University, a proposito dello studio in pre-print apparso su Medxriv sulla maggiore efficacia del vaccino Sputnik V contro Omicron rispetto a Pfizer.

Lo studio è stato condotto in modo congiunto dai ricercatori dell’istituto Gamaleya di Mosca e lo Spallanzani di Roma ma ha diverse peculiarità, tra queste l’eterogeneità tra i due campioni di studio: uno caratterizzato da soggetti vaccinati da tre-sei mesi dalla vaccinazione (Sputnik), l’altro a sei mesi (Pfizer), ovvero da quando sappiamo che si produce l’effetto ‘waning immunity’, la riduzione dell’efficacia del vaccino. Questo aspetto mina la validità dello studio, professor Bucci? “In realtà sono eterogenee le popolazioni confrontate: una è costituita da 31 vaccinati Sputnik, a distanza di tempo variabile e di massimo sei mesi dalla seconda dose, mentre l’altra da 17 vaccinati Pfizer/BionTech, campionati ciascuno tre volte, nella prima settimana dopo la seconda dose, a tre mesi e quindi a sei. Il confronto fra questi due gruppi non è possibile, sia per l’eterogeneità dei tempi di campionamento, sia perché su gruppi così piccoli gli effetti casuali sono forti, sia infine perché nello studio non vi è correzione per malattie pregresse, età, eccetera. Si paragonano ‘mele Sputnik’ con ‘pere Pfizer’, per di più scegliendo pere sistematicamente più vecchie delle mele; da un simile confronto non si può certo dedurre che le ‘mele Sputnik’ siano migliori”.

Bucci dichiara anche di non essere a conoscenza di studi sottoposti a revisione e pubblicati su riviste scientifiche sulla presunta maggiore efficacia del vaccino russo: “Se si guarda ai preprint, i risultati sono contrastanti: esistono studi, per esempio, che sostengono una minore efficacia di Sputnik. Le discrepanze dipendono principalmente dal fatto che tutti gli studi su preprint, incluso questo ultimo dello Spallanzani, sono condotti su campioni così piccoli, che l’effetto di fluttuazioni casuali è alto a sufficienza da produrre dati diversi su campioni diversi. Abbiamo bisogno di meno studi frettolosi e di più ricerca seria”, chiarisce il biologo.

Ma allora, cosa sappiamo su Sputnik V e la terza dose? “Bisognerebbe innanzitutto intendersi su cosa intendiamo per terza dose di Sputnik. Si tratta infatti di un vaccino eterologo, per il quale cioè si somministrano due dosi basate su due vettori diversi (adenovirus 5 e adenovirus 26). Se si intende per terza dose un richiamo fatto con adenovirus 26, ovvero una terza dose corrispondente al cosiddetto ‘Sputnik Light’, allora abbiamo qualche dato, sempre su preprint, che pare dimostrare una discreta capacità per questo tipo di vettore. Del resto, ‘Sputnik light’ è sostanzialmente identico al vaccino di Johnson & Johnson, il quale mostra buone capacità se somministrato come terza dose (anche in questo caso, i dati sono da preprint)”.

Qual è quindi la valutazione che la comunità scientifica ha dato al vaccino Sputnik e perché Ema non ha mai rilasciato alcuna valutazione sui dati di efficacia del vaccino russo? “Il giudizio complessivo della comunità scientifica su Sputnik è discreto per quel che riguarda i dati real world- afferma Bucci- discorso diverso è il giudizio sulle pubblicazioni scientifiche, che sono risultate spesso incomplete, approssimative e che non sono state seguite dalla messa a disposizione dei dati originali richiesti per valutarle. Il vaccino è stato lanciato sostanzialmente in assenza di dati solidi; trattandosi però di una tecnologia abbastanza consolidata e di un antigene caratterizzato bene da altri studi, fortunatamente non ci sono state sorprese negative. Ema non ha rilasciato valutazioni perché non sono stati forniti in maniera completa ed estensiva i dati richiesti, proprio come è avvenuto a seguito delle richieste provenienti dalla comunità scientifica in occasione della pubblicazione su riviste internazionali”.

Perché, allora, due istituti così autorevoli, come lo Spallanzani e il Gamaleya, hanno condotto uno studio con queste criticità? “Onestamente- risponde Bucci- questa è la domanda che andrebbe rivolta a quegli istituti; insieme ad altre domande, che vertano sul processo autorizzativo dello studio in Italia, sulla fonte del finanziamento dello stesso e sulla contropartita economica di eventuali accordi vigenti fra lo Spallanzani ed altri soggetti interessati”. Lo studio condotto dall’istituto russo e italiano, come si legge su Medxriv, dove è stato pubblicato in pre-print, risulta infatti finanziato da Rdfi, il Fondo diretto russo per gli investimenti, anche se il professor Francesco Vaia, direttore scientifico e direttore generale dello Spallanzani, nonchè autore dello stesso studio, ha tenuto a ribadire, all’agenzia Dire, che la ricerca non ha ricevuto alcun finanziamento esterno. “È tuttavia un’informazione trasparente, questa dicitura comparsa su Medxriv, che aumenta la fiducia a fronte della pacifica dichiarazione di un potenziale conflitto di interessi- spiega Bucci- Ciò che lascia perplesso è il contrasto fra questa dichiarazione e quanto dichiarato dal direttore sanitario e direttore generale dello Spallanzani, nonché coautore dello studio, Francesco Vaia”, chiosa il biologo della Temple University.

(Org/ Dire)

 
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