Il ‘demitese’, Craxi e il copyright del popolarismo: parla il portavoce di De Mita

Ciriaco De Mita uomo, politico e comunicatore. In pochi, oltre alla sua famiglia, possono dire di conoscere l’ex segretario della Dc meglio di Giuseppe Sangiorgi. Suo storico portavoce, ne ha dipanato ‘pensieri e parole’ in particolare negli anni di governo.

Nel giorno della scomparsa di De Mita, Sangiorgi ricorda uno dei tratti più distintivi della sua persona, quello umano. “Guarda qui – dice all’agenzia Dire scorrendo tra le immagini del suo telefono – Proprio stamattina l’ex capo scorta mi ha mandato la foto di un articolo del Corriere del ’94. Qui De Mita ha voluto omaggiare gli agenti, ‘ringraziandoli per aver rischiato la vita per lui’ e dicendosi ‘dispiaciuto di non averli più al suo fianco’”. Un pensiero non scontato, in anni molto difficili per alcune personalità politiche – proprio pochi anni prima era stato barbaramente assassinato dalle Br Roberto Ruffilli, uno dei suoi più stretti collaboratori – e che tratteggia, appunto il suo essere ‘un figlio del popolo’. “Ricordo che tutte le volte che si sedeva in un posto per mangiare, la sua prima preoccupazione era che autista e uomini della scorta mangiassero prima di lui“.

Le parole di Sangiorgi restituiscono l’immagine di un uomo sensibile, fine conoscitore della politica e delle istituzioni ma definito da molti poco comunicativo, poco ‘televisivo’. Celebre a tal proposito l’indugiare di Ciriaco De Mita in lunghi “ragionamenti” di cui capitava di perdere il filo. Questo, tuttavia, non ha mai rappresentato un problema: sin dagli anni della gioventù, De Mita riusciva a ipnotizzare i suoi interlocutori e ad ‘arrivare’ alla gente”. E comunque dove questo non era possibile, subentrava lui: il suo portavoce. Sangiorgi sorride: “Ai colleghi giornalisti dicevo sempre: i discorsi di De Mita cominciavano quando lui iniziava a parlare, ma finivano quando io finivo di trascriverli“.

Spesso infatti, quando incontrava la stampa “si lanciava in discorsi articolati con rimandi, parentesi e divagazioni, per poi riprendere comunque il punto iniziale”. Venne coniato anche un termine per indicare il caratteristico eloquio del politico irpino: il ‘demitese’. Non tutti riuscivano a stargli dietro: “I cronisti mi guardavano terrorizzati ma io li rassicuravo: datemi un’ora e vi mando 30 righe di cui non avrete bisogno di toccare nemmeno mezza virgola”, ricorda Sangiorgi.

Oltre all’umanità, resta lo spessore politico. La sua stella polare infatti era il ‘popolarismo’. “De Mita rivendicava il copyright di questa parola – osserva l’ex portavoce – che si collega alla tradizione democristiana più importante, quella di Sturzo, De Gasperi e Moro. Non una contrapposizione tra classi sociali, ma un intreccio, uniti da una prospettiva comune, in uno Stato che deve essere al servizio del cittadino e non il contrario”.

Quindi un excursus sugli anni ’80. Quelli della sua contrapposizione più grande, con Bettino Craxi: “Non si trattava di uno scontro di carattere e temperamento – prosegue Sangiorgi – ma di uno scontro politico”. Entrambi infatti, “pensavano a un rinnovamento del Paese e delle istituzioni, ma Craxi immaginava una democrazia di tipo verticistico presidenziale, per liberarsi della zavorra della poca rappresentanza parlamentare del suo partito. In questo modo, sfruttando la sua popolarità, pensava di avere una chance di guida del Paese. De Mita l’opposto, puntava sì a un rinnovamento, ma comunque legato alla democrazia parlamentare, quindi a tutto il sistema di pesi e contrappesi delle Camere, del potere esecutivo e tutto il resto”.

De Mita è morto sognando una terza stagione del cattolicesimo politico italiano, dopo quella del partito popolare di Sturzo poi quella lunga della Democrazia cristiana: “Ha sempre lavorato per quello, fino alla fine, immaginando che prima o poi qualcosa venisse fuori e che la semina desse i suoi frutti”. Forse ad oggi non si può parlare prettamente di una nuova stagione del cattolicesimo in tal senso, ma la semina qualche frutto lo ha dato: “In tutto possiamo parlare di cinque generazioni di democristiani, l’ultima, quella a cui dato vita lui in prima persona, è quella che comprende i vari Dario Franceschini ed Enrico Letta. Una generazione, ormai fuori dal partito, ma che sicuramente ha fatto sentire la sua presenza nelle istituzioni”, conclude Sangiorgi.

(Dire)

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