Gestazione per altri, Anita: “Il mio bambino è un miracolo di amore”
Anita (nome di fantasia) è sposata, e con suo marito ha sempre desiderato costruire una famiglia. Ma a volte la strada per i sogni non è sempre in discesa. Anzi. Infatti, seppur fertile, Anita ha sempre saputo, dall’età di 16 anni, di non poter portare avanti una gravidanza: è affetta dalla sindrome di Mayer Rokitansky Kuster Hauser, cioè è fertile (le ovaie ci sono e sono funzionanti) ma è nata senza utero e senza un tratto di vagina. I gameti sono idonei al concepimento ma manca ‘la culla’ per consentire che l’embrione si impianti e cresca. Quindi le è impossibile, senza un trapianto o il ricorso alla Gestazione Per Altri (GPA), avere un bambino.
In occasione della Festa della mamma l’agenzia di stampa Dire ha intervistato Anita per raccontare una storia di lotta, amore e solidarietà che ha consentito al piccolo Davide (nome di fantasia) di vedere la luce: sotto le bombe in Ucraina e grazie all’aiuto di un’altra donna, la gestante che lo ha partorito.
LA DIAGNOSI ‘ROKITANSKY’ E L’IDEA DELLA GPA COME SOLUZIONE TERAPEUTICA
‘A 16 anni, data l’assenza del ciclo mestruale, ho scoperto di essere nata senza utero. E non era finita lì: mancava anche una parte di vagina. A questo verdetto siamo arrivati con una laparoscopia esplorativa che ha confermato la diagnosi: ‘Sindrome di Rokitansky’. A quel punto mi è stato prospettato un secondo intervento, questa volta ‘curativo’, di ricostruzione vaginale, per poter almeno avere una vita sessuale. Ciò che non poteva essere risolto sul momento era l’impossibilità di avere figli. L’utero non c’era e non ci sarebbe mai stato: questa la ‘sentenza’ più ‘definitiva’, quindi difficilmente digeribile. Comunque in un primo momento- ha spiegato Anita alla Dire- l’aspetto sessuale è quello che più mi aveva colpita vista la mia giovane età, anche se ho sentito da sempre il desiderio di diventare madre. Il non avere le mestruazioni inoltre mi ha fatto sentire sempre diversa dalle mie amiche. Ho vissuto con dolore la mancanza del ciclo, un evento così intimo ed estremamente femminile“.
LA GPA COME ‘SOLUZIONE TERAPEUTICA’
“Mi sono sottoposta ai due interventi e, sin da subito, i ginecologi di Milano, dove vivo, mi hanno prospettato la GPA all’estero (nei paesi in cui è legale da anni se non da decenni) per poter diventare mamma. E poi, per fortuna, almeno le mie ovaie funzionano, per cui Davide (nome di fantasia), il mio bambino, è nostro figlio biologico al 100% perché è nato dai miei ovociti e dal seme di mio marito. A noi appunto mancava una ‘culla’ dove far crescere il bambino durante i nove mesi di gestazione. Quello che voglio sottolineare quindi è che, nel mio caso, come in quello di tante altre donne affette da altre patologie severe, la Gestazione Per Altri è una soluzione terapeutica. Quello che si racconta sulla GPA in Italia rimanda invece a un’idea completamente distorta e avulsa dalla realtà di molte coppie che desiderano un figlio: si racconta siano solo malvagi e vecchi committenti, molto ricchi, che vanno all’estero in cerca del primo figlio, non sapendo in quale altro modo passare il tempo, e sfruttando a questo scopo inconsapevoli donne che altrimenti farebbero la fame. Non è questo uno spaccato onesto, poiché incompleto, sul fenomeno GPA. Ci sono donne con la mia sindrome ma anche quelle sopravvissute al cancro, o donne con endometriosi e varie altre patologie, anche non direttamente legate all’apparato riproduttivo, che non possono portare avanti una gravidanza perché rischierebbero la loro stessa vita. Dall’altra parte ci sono poi le donne che, con già figli propri, decidono di aiutarle: questa meravigliosa unione tra donne andrebbe raccontata con orgoglio, invece è un’altra occasione per buttare fango su scelte prettamente femminili. Noi donne affette da determinate patologie, insieme alle gestanti, dovremmo essere ascoltate e ritratte fedelmente quando si racconta la GPA. Al momento invece si ignorano le nostre voci, come se ci fosse qualcun altro che può decidere sui nostri corpi e sostenere che le nostre scelte siano di per sé sbagliate’, ha dichiarato fermamente Anita.
COME SI ARRIVA A SCEGLIERE LA GPA E A INDIVIDUARE LA CLINICA ‘GIUSTA‘
‘Io avrei voluto vivere la gravidanza con il pancione, certo. Per anni- ha raccontato Anita da poco diventata mamma con GPA- vedere le mie amiche incinte è stato un aspetto faticoso da digerire, anche se prevaleva la felicità per una nuova vita, che da sempre mi affascina. L’idea di provare a fare un figlio con GPA mi è sempre girata nella testa ed è stata vissuta, perché consigliata dagli esperti, come ‘normale’. Poi da grande mi sono documentata molto e con mio marito, sin da fidanzati e poi da sposati, abbiamo fatto varie ricerche. Posso dire che mio marito è stato il motore di questa ricerca. D’altra parte io l’ho messo al corrente della mia patologia fin da subito così l’ho portato ‘a bordo’ della mia storia, con molta fatica mi sono aperta e lui mi ha sostenuto tantissimo e insieme abbiamo cercato di reperire informazioni su tutti i percorsi che ci avrebbero consentito di diventare genitori: adozione, trapianto d’utero e GPA. Ci siamo detti che se non fossero mai arrivati figli sarebbe andata bene lo stesso, ma nel frattempo non siamo rimasti immobili: i corsi per genitori adottivi li abbiamo fatti e quello è un progetto che abbiamo ancora per il futuro. Per quanto riguarda il trapianto di utero, il primo in Italia è avvenuto ‘solo’ nel 2020 e a quel punto ormai io ero già convinta di voler percorrere la strada della GPA. Abbiamo fatto call in tutti i paesi del mondo dove questa pratica medica è legale- ha raccontato- ma abbiamo escluso i paesi lontani e molto costosi come gli Stati Uniti o il Canada, anche perché per noi la condizione più importante era quella di conoscere la gestante di persona, conoscerla per poi raccontarla a nostro figlio un giorno, e capire le ragioni che l’avevano portata alla scelta di crescere per nove mesi il nostro bimbo. La scelta ricadeva perciò sulla Grecia o sull’Ucraina’, ha sottolineato.
LA SCELTA DELL’ UCRAINA, ERA PRIMA DELLA GUERRA
‘La clinica in Grecia ci era piaciuta parecchio ma la legislazione, secondo noi, presentava dei ‘buchi’, per esempio non ci era chiaro- ha spiegato Anita- come le gestanti entrassero in contatto con la clinica stessa. Era difficile fare domande via email o per telefono, c’era una parte di soldi da dare in contanti. Per questo abbiamo escluso quel Paese e abbiamo optato per l’Ucraina, dove tutto è avvenuto più alla luce del sole. Un paese, l’Ucraina, che avevamo inizialmente escluso sulla base di alcuni pregiudizi, e spaventati dalla sua instabilità politica ed economica. Poi abbiamo deciso di andare a toccare con mano prima di decidere, proprio perché ogni storia è a sé, quindi a maggio scorso, 2021, abbiamo visitato la clinica e ci siamo convinti, dopodiché a luglio 2021 mi sono sottoposta lì a stimolazione ovarica e a pick up ovocitario, presso la clinica Biotexcom di Kiev, la maggiore d’Ucraina. Unica mia condizione per la firma del contratto: conoscere il prima possibile la gestante. Detto fatto: numeri di telefono e contatti social scambiati, ed ecco che abbiamo vissuto insieme ogni momento della gravidanza, con Olena (nome di fantasia della gestante) che mi mandava le foto della pancia e mi raccontava quanto il bambino si muovesse e quanto fosse attratto dalla musica e dalle voci dei bambini. Ogni gestante, forse anche questo è sconosciuto ai più, deve possedere una fonte di reddito da altro lavoro e almeno un figlio proprio. Questo mette al riparo la donna da qualsiasi tipo di sfruttamento. Olena infatti lavora, ha già due figli suoi e aveva già partorito per altri un’altra volta prima di Davide. Sapere che avesse già partorito per altri ci rendeva felici perché ci dava la misura di quanto l’esperienza fosse stata per lei positiva. Non è facile partire con quel bagaglio culturale tutto italiano per cui la maternità è intoccabile e apparentemente uguale per tutte: io invece stavo per fortuna per scoprire un mondo diverso, fatto di donne che ne aiutano altre, e che per questo non sono meno encomiabili di quelle che partoriscono solo per sé. Olena mi ha detto ultimamente: ‘Ho messo al mondo tuo figlio e anche per questo la mia vita non è vana’. Comunque, anche la mia stimolazione è andata molto bene: dalla fecondazione sono stati ottenuti diversi embrioni e, dopo 5 giorni, una blastocisti è stata impiantata nell’utero della gestante. Abbiamo avuto molta fortuna perché ha attecchito subito ed è partita la gravidanza: il bimbo è nato a fine marzo di quest’anno‘, ha detto Anita.
LA GRAVIDANZA SOTTO LE BOMBE: IL VIAGGIO IN UCRAINA PER PRENDERE DAVIDE
‘Naturalmente lo scoppio della guerra in Ucraina il 24 febbraio scorso ci ha fatto precipitare nel terrore di sapere nostro figlio lì e di non poterlo magari vedere per mesi. Io e mio marito- ha continuato Anita nel suo racconto- eravamo preoccupatissimi. Ma per fortuna avevo iniziato la corrispondenza con Olena sin dai primi giorni della gravidanza, prima della guerra, perciò lei ci rassicurava sulla sua condizione e quella del bambino. Mio figlio non è uno di quei bimbi nati nel bunker che in foto hanno fatto il giro del mondo. Olena infatti ha avuto un forte autocontrollo e lungimiranza: è rimasta a Kiev (dove la clinica offre alle gestanti un appartamento vicino al luogo del parto) finché la situazione è stata tranquilla. Quando anche Kiev è diventata bersaglio dei bombardamenti, lei e un’altra gestante hanno deciso di trasferirsi in un’altra regione dove la clinica ha una succursale, e cioè Kirovograd. Lì la guerra non è mai arrivata e il parto è avvenuto con tranquillità. Intanto noi cercavamo di capire quale strada percorrere per portare Davide in Italia con noi, grazie agli avvocati e alla clinica che ci hanno messo in contatto con altre 8 coppie italiane. Tutti insieme dall’Italia siamo arrivati in Polonia, poi con il treno notturno a Leopoli (meglio viaggiare di notte – ci dicevano – per schivare i bombardamenti), e la clinica ci ha portato con delle ambulanze i bambini qualche giorno dopo. Il riconoscimento dei bimbi non è stato semplice, lo staff della clinica si era dimezzato. Molti erano scappati giustamente dalle bombe. Non avevamo più la referente italiana ma un’altra che parlava inglese e spagnolo, lingue che per fortuna io e mio marito parliamo: lei ci ha portato in comune per la registrazione del bambino, e poi in ambasciata italiana in Ucraina dove ci hanno rilasciato un passaporto temporaneo con validità di 7 giorni per rientrare in Italia. Siamo usciti con il bambino dall’Ucraina, abbiamo raggiunto la Polonia e, via Varsavia, siamo tornati a Milano, finalmente a casa. Ora l’ambasciata italiana in Ucraina trasferirà i documenti al comune di Milano’, ha spiegato.
SU FEMMINISTE CONTRARIE ALLA GPA ‘NON POSSO DEFINIRLE TALI’
‘Non posso definire quelle donne delle femministe, come spesso fanno loro stesse: in realtà sono tutto il contrario. Il femminismo che io definisco tale e che faccio mio, prima di tutto ascolta le voci altrui. Coloro che invece si schierano da una parte o dall’altra- ha puntualizzato Anita- su questioni così complesse, stanno sbagliando qualcosa: spesso non c’è da schierarsi, non c’è sempre un tifo da fare. Ci sarebbe solo da lasciare ai protagonisti di queste storie la libertà di parola e di scelta. Se io voglio provare ad avere un figlio (così come fanno miliardi di altre donne senza che qualcuno abbia dato loro il diploma di genitore prima che lo diventino) e se una donna vuole partorire per un’altra, chi sono quelle terze persone per poter dire che la scelta della GPA è sbagliata? Su quali basi lo dicono, se nemmeno sono stati dimostrati danni ai bambini nati da questa pratica medica? E attenzione, quello che manca in Italia è un dibattito serio sul tema: questo vuol dire che si possono esprimere opinioni sulla GPA, di varia natura. Quello che non si dovrebbe poter fare, è esprimere giudizi sulle scelte altrui, che è ben diverso. Una cosa che io non farei, non deve diventare ‘tu non devi farla’.
‘IN ITALIA MANCA UN DIBATTITO SERIO SU QUESTO TEMA’
Quello che accade nel nostro Paese è che chi giudica negativamente tutto il mondo della GPA appiattendolo completamente, si dimentica di fare una cosa molto semplice (che poi è alla base del femminismo): chiedere il parere delle donne che partoriscono per altri. Sapere cosa pensano, perché fanno quella scelta. Al contrario, i sedicenti ‘femministi’, nel dire che vogliono tutelarle, in realtà parlano al posto loro, le mettono a tacere non interpellandole, dando per scontato che la loro vita sia fatta di scelte in un certo senso inferiori alle scelte che farebbero loro per sé stessi. Ma chi sono io per dire che il modo in cui vivi tu non mi piace, se quel modo non comporta danni a nessuno (né alla coppia, né alla gestante, né al bambino)? Viene appiattito tutto nel nome dello sfruttamento: pura ipocrisia. Lo sfruttamento esiste in qualunque questione umana, solo che spesso facciamo finta di non vederlo. Questo di sicuro non lo giustifica. Ma perché, di tutto l’universo GPA, deve essere raccontato solo lo sfruttamento? Certo che in qualche parte del mondo ci sarà anche, ma non definisce la GPA tutta! Le gestanti che dobbiamo raccontare sono donne libere che fanno consapevolmente questa scelta.
‘RACCONTERO’ TUTTA QUESTA STORIA BELLISSIMA A MIO FIGLIO’
Dobbiamo definire bene i confini di questa figura per poter davvero tutelare quella che invece viene sfruttata. Olena è una di quelle donne libere e consapevoli: suo marito- ha aggiunto Anita- le ripeteva ogni giorno quanto fosse orgoglioso del fatto che stesse dando alla luce prima uno e poi due bambini per altre persone. Credo che per analizzare la GPA non si debba partire dal racconto delle condizioni sfavorevoli. Come detto, le gestanti che vengono rispettate devono avere un lavoro proprio e dei figli, ed è in quel caso che la gestante non presta il suo corpo per GPA causa stretta necessità economica, ma magari per migliorare la sua condizione, questo sì. Più che pensare al pagamento e allo sfruttamento delle gestanti direi che sono le cliniche che ‘lucrano’ sulle spalle di chi vuole un figlio. Io, come detto, ho avuto e ho un rapporto bellissimo con Olena, e racconterò tutta la storia a mio figlio, una storia pazzesca e bellissima. Credo sarebbe un crimine non farlo perché credo sia importante sapere da dove si arriva, perché la storia fa l’identità di una persona (lo sanno bene i bambini adottati che subiscono il trauma dell’abbandono e passano la vita a cercare di ricostruire da dove arrivano). Prima di partire per l’Ucraina ho creato una chat brodcast con 100 persone tra amici e parenti, e tutti hanno fatto il tifo per noi. La GPA, come quasi tutte le questioni umane, non è di per sé qualcosa di negativo, anzi, quando la racconti con il cuore in mano, ti si apre un mondo di empatia e amore pazzeschi. Su questo vale la pena riflettere’, ha detto con emozione Anita.
LA PROPOSTA DELLA ‘GPA COME REATO UNIVERSALE’
In Italia la gestazione per altri è già illegale ma a seguito della proposta di legge di Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia e Mara Carfagna ministra per il Sud potrebbe diventare reato universale. Significa che se alla fine dell’iter, ancora in corso e sicuramente lungo, verrà approvata, saranno perseguibili anche le coppie che decideranno di andare all’estero per diventare genitori grazie alla Gpa con sanzioni e reclusione.
SUI DIRITTI DELLE DONNE INFERTILI IN ITALIA ‘SOLO IPOCRISIA’
‘Mi sono resa conto della ‘banalità del male’,- prosegue Anita- del fatto che la risposta è sempre molto più semplice di quella che ci aspettiamo: coloro che ci governano e ci dovrebbero rappresentare semplicemente non conoscono l’argomento ‘GPA’, pur dovendo prendere decisioni in merito. Sono contrari e basta, come se dovessero essere loro a partorire; ma ormai è palese che la loro non è un’opinione informata. Queste persone non si addentrano in storie come quella che ho appena raccontato io; invece bisogna valutare situazione per situazione. Certo, è più faticoso, ma loro sono pagati per farlo. Io parlo per esempio in nome delle donne con problemi di salute che ricorrono a GPA: va considerato tutto questo prima di parlare di ‘reato universale’- ha ribadito mamma Anita- come se poi fosse davvero possibile paragonare un bambino che viene alla luce con il reato, che so, di tortura. Scherziamo? In ogni caso rispetterei un’opinione contraria alla mia se fosse espressa per alimentare un dibattito onesto che porti a una regolamentazione del fenomeno GPA, invece coloro che impongono un divieto (che non tutela mai, ricordiamocelo – perché la GPA avverrebbe comunque, solo di nascosto, esattamente come succede con l’aborto non argomentando il loro ‘no’ alla GPA e portando avanti un tifo da stadio, sortiranno un duplice disastroso effetto: il primo: annullare il lavoro culturale che noi (associazioni, singoli, organizzazioni…) stiamo cercando di portare avanti per colmare la lacuna che esiste sui temi della riproduzione, genitorialità e sessualità, e il secondo: lasciare sole quelle donne che avrebbero invece bisogno di sostegno nel loro percorso verso l’elaborazione della loro condizione di infertilità. Da una parte, quindi, accarezzano le pance di un certo elettorato, gridando allo scandalo, allo sfruttamento, dall’altra isolano sempre più quelle donne che dicono di voler difendere. Ma difendere da cosa? Insomma, nessun contributo utile, ed è questo che mi fa arrabbiare. L’ipocrisia, poi, mi manda su tutte le furie: ci sono famiglie da record, intervistate qua e là perché hanno una decina di figli…magari non sanno cosa dar loro da mangiare o come garantirgli la corretta istruzione, ma sono genitori esemplari perché hanno sfidato il destino, e lì sta il miracolo della vita? Io sono nata senza utero ma con uguale desiderio di genitorialità; ho incrociato Olena sul mio cammino e insieme abbiamo deciso di provare a far nascere Davide: anche il mio bambino è un miracolo’, ha concluso Anita.
(La foto è stata gentilmente concessa all’agenzia Dire da mamma Anita)
(Dire)