Sanità, Simeu: “Da novembre altri 600 medici si sono dimessi dai pronto soccorso: fughe in accelerazione”
Da novembre ad oggi sono 600 i medici che hanno dato le dimissioni dai pronto soccorso italiani. Circa 100 ogni trenta giorni. “Sono l’equivalente della chiusura di cinque pronto soccorso al mese, di grandi o medie dimensioni”, spiega alla Dire Fabio De Iaco, presidente della Società italiana medicina di emergenza-urgenza (Simeu).
Secondo le stime Simeu “già a novembre mancavano circa 4.000 medici per coprire le reali necessità di gestione dell’emergenza urgenza negli ospedali, oggi la carenza di personale è di circa il 40% e le fughe dei medici dai pronto soccorso sono in accelerazione”.
La vicenda dell’ospedale Cardarelli di Napoli, dove 25 medici in servizio al pronto soccorso hanno denunciato in una lettera di essere pronti a dimettersi esasperati dal sovraffollamento della struttura, è dunque solo la punta dell’iceberg.
“È una crisi che riguarda tutta l’Italia – continua il presidente Simeu – le segnalazioni ci arrivano da tutte le regioni. Secondo i nostri ultimi dati, infatti, ben il 45% degli ospedali ha un problema di sovraffollamento dei pronto soccorso e di conseguente impossibilità di assorbire le richieste di ricovero”.
È uno degli “enormi problemi che i direttori di pronto soccorso si trovano ad affrontare – denuncia De Iaco – perché da una parte devono fare il proprio lavoro, ossia affrontare l’emergenza-urgenza, e dall’altra devono rimodulare tutta l’attività per assicurare ai pazienti che restano per giorni sulle barelle un’assistenza che sia vicina a quella che dovrebbero avere nei reparti di degenza”. C’è “un problema di sistema enorme – dice il presidente Simeu – da tempo, infatti, denunciamo che negli ospedali italiani il numero di posti letto per acuti è insufficiente. E dato che in questo momento non esistono alternative alle strutture ospedaliere, è evidente che l’ospedale è insufficiente a rispondere alle richieste del territorio, che sono sempre maggiori”.
Il perché è anche nel cambiamento che c’è stato nella popolazione italiana negli ultimi trenta anni. “Ci troviamo sempre più frequentemente di fronte a pazienti con delle condizioni che definiamo ‘acutamente croniche’ – spiega De Iaco – l’età media, infatti, si è incrementata e i pazienti anziani con patologie croniche importanti, che in qualche fase hanno necessità anche di un’assistenza intensiva, sono all’ordine del giorno. Questi pazienti stanno occupando tutta la parte dell’acuzie e dunque costituiscono un ‘tappo’ per l’ingresso dei pazienti acuti, in genere, al pronto soccorso”.
Ma i problemi di gestione e sovraffollamento non sono gli unici a determinare la fuga dai pronto soccorso. “Quello dell’emergenza-urgenza potrebbe essere il lavoro più bello del mondo per un medico – osserva De Iaco – ma oggi è offuscato da tante difficoltà. Non riusciremo mai ad attrarre professionisti fin quando questo non sarà un lavoro davvero nobilitato nella sua dignità sia economica che professionale. Perché chi si laurea in medicina – si chiede il presidente Simeu – dovrebbe scegliere di andare in un posto in cui non ha progressione di carriera, non ha possibilità di avvantaggiarsi economicamente, dovrà passare il 75% dei giorni festivi in turno e dovrà fare 6-7-8 notti al mese di guardia? È comprensibile che i giovani non siano attratti dal nostro lavoro, non gli augurerei mai di fare la vita che facciamo noi”, dice De Iaco.
Dal punto di vista economico “abbiamo lo stesso contratto di qualunque altro ospedaliero – continua il presidente Simeu – ma con la differenza che non abbiamo la libera professione, abbiamo un’intensità di lavoro e un livello di usura che è imparagonabile ad altri: in una giornata possiamo arrivare a vedere anche 40-50 pazienti“. Sul fronte della vita professionale poi “ci capita di lavorare fianco a fianco con medici mandati in pronto soccorso da cooperative o agenzie di servizi che magari, con competenze e preparazione inferiori, guadagnano cinque volte quello che stiamo guadagnando noi nello stesso istante”.
Come uscirne? “Innanzitutto dando la giusta dignità professionale ed economica ai medici di pronto soccorso e poi con provvedimenti straordinari, perché è evidente – osserva De Iaco – che non siamo più in grado di gestire la situazione”. Per sopperire alla carenza di medici sono due i ‘serbatoi’ da cui, secondo il presidente Simeu, si potrebbe andare a pescare. Innanzitutto l’università e le specializzazioni. “Se la gestione della specializzazione medica in Italia fosse allineata a quello che succede nella maggior parte d’Europa questi giovani non farebbero gli studenti ma i medici – dice De Iaco – con competenze crescenti sulla base della loro preparazione. Sappiamo ad esempio che tra terzo, quarto e quinto anno della scuola di specializzazione in medicina d’urgenza ci sono circa 1.100 medici che si stanno preparando. Potrebbero essere inquadrati nell’ambito del Servizio sanitario nazionale, con prerogative e diritti ma anche con la responsabilità di un medico, sono persone preparate molto più dei neolaureati che spesso vengono impiegati attraverso le cooperative“.
Poi c’è il bacino del 118. “Abbiamo un buon numero di medici con una convenzione a tempo indeterminato col 118 – spiega il presidente Simeu – molti di questi sono degli ottimi medici di emergenza-urgenza che però non hanno il titolo specialistico. Spesso sono persone sotto-impiegate perché magari si trovano a lavorare in postazioni periferiche in cui fanno pochi interventi. Ecco allora che se ci fosse un iter concordato con il ministero, con l’università, questi medici potrebbero essere riassorbiti dalle strutture ospedaliere. Per quanto ci riguarda potrebbero essere tranquillamente iscritti in sovrannumero alla scuola di specializzazione”, osserva il presidente.
Del passato, presente e futuro della medicina d’emergenza urgenza si parlerà al XII Congresso nazionale Simeu in programma a Riccione dal 13 al 15 maggio. “Guardiamo verso il futuro con grande angoscia, le fughe dei medici dai pronto soccorso sono solo l’ultimo e il più mascroscopico degli esempi dei problemi che vive il settore. Però – conclude De Iaco – abbiamo fiducia e vogliamo migliorare la situazione, non possiamo concepire un futuro in cui l’emergenza-urgenza venga declassificata”.
(Dire)