Tolta la casa popolare alla famiglia del ragazzo a cui citofonò Salvini
Caterina Razza, la madre del ragazzo a cui Matteo Salvini citofonò nel 2020 durante un giro elettorale al Pilastro di Bologna, afferma di aver ricevuto dall’Acer la comunicazione della decadenza del contratto relativo all’alloggio popolare in cui vive la famiglia. Razza ne ha parlato ieri mattina durante una conferenza stampa organizzata in un parco del Pilastro da Potere al popolo.
Ad un anno di distanza dalla citofonata di Salvini, quindi nel gennaio del 2021, Razza e il marito Ben Ali Labini Faouzi furono arrestati con accuse riguardanti il possesso di droga e armi. Pochi giorni fa, poi, la famiglia è stata coinvolta dall’operazione antidroga che ha interessato in particolare il Pilastro: il padre è finito in carcere, la madre è indagata a piede libero, un figlio è ai domiciliari (Yassin detto Yaya, il ragazzo a cui si rivolse Salvini) e per un altro, irreperibile, è stata disposta la custodia in carcere.
Dopo la citofonata “la nostra vita è stata massacrata”, afferma ieri Razza in conferenza stampa: inizia lei a leggere una lettera, ma dopo poche righe spiega di non farcela e passa il foglio a un’amica. “Mio marito ha perso improvvisamente il lavoro e nessuno lo assume più, si è ammalato- racconta Razza- e io ho avuto un infarto pesantissimo e mi sono ammalata di una forma grave di diabete”. Mentre “mio figlio Yaya, all’epoca adolescente, è stato costretto a troncare la sua carriera calcistica e a lasciare gli studi. Le mie figlie erano distrutte dal dolore”, continua la donna. “La povertà in cui ci hanno ridotto ci ha costretto a sbagliare e questo è il motivo per cui siamo diventati bersaglio anche dell’Acer“, afferma Razza: “Per la prima volta dal 2012 hanno applicato solo per noi una normativa che prevede l’annullamento del contratto di locazione”.
Ora, continua Razza, “il massacro continua imperterrito e giovedì scorso di nuovo siamo stati sbattuti in prima pagina come mostri, addirittura citando articoli di imputazione a nostro carico non contenuti in alcun carteggio”. L’amministrazione bolognese “se n’è completamente lavata le mani, probabilmente d’accordo con la politica di Acer, i partiti e i media che cavalcano odio per i poveri e razzismo”, conclude Razza, affermando che dopo l’ultima operazione delle forze dell’ordine “mio marito ha tentato il suicidio, i miei figli sono disperati e io non ce la faccio più”.
Tornando al contratto per l’alloggio Erp, la procedura di decadenza si è “stranamente” attivata “in concomitanza dell’arresto di Caterina” nel 2021, afferma Francesca Fortuzzi di Potere al popolo, consigliera di Quartiere al San Donato-San Vitale e residente del Pilastro. Si tratta della norma “che prevede lo sfratto di chi è intestatario del contratto e compie un reato in casa. Premesso che non viene rispettato un principio di gradualità costituzionale, perché mettere al pari una persona che ammazza e una persona che ha due grammi di qualcosa è veramente aberrante”, dichiara Fortuzzi, “questa normativa è stata fatta nel 2012 ed è rimasta silente fino al giorno in cui purtroppo c’è stato l’arresto di Caterina, costretta a delinquere. Questo dovrebbe porre molte domande”. Fortuzzi aggiunge che Razza si è opposta alla procedura di decadenza ma invano, perchè proprio in questi giorni l’iter sarebbe arrivato a conclusione.
YAYA: CHIAMATEMI BOSS, SE QUESTO VI DIVERTE…
“Dicono che spaccio e mi chiamano boss, ma l’unica emozione è che non ce la faccio”. Yassin Labidi, ai domiciliari dopo l’operazione antidroga che pochi giorni fa ha coinvolto il Pilastro di Bologna, affida i propri pensieri ad una lettera che ieri un suo amico ha letto pubblicamente durante la conferenza stampa. “Mi ammazzano un amico, mi ammazzano un fratello. Flagellato col citofono da un pagliaccio rinomato”, continua la lettera in rima di Yaya: “Mio fratello è stato preso, mio padre è stato preso, il mio amico è stato preso, tutti i soldi del mondo non pagheranno il dolore, bestie. Il calcio mi manca, andare a scuola mi manca, niente ancora realizzato, solo sofferenza avete dato e il mio futuro è inc…”. E poi: “Lui è piccolino e mi chiama babbo, cosa gli insegnerò? Che la vita è una merda, che forse era meglio non essere mai nato? Chiamatemi boss se questo vi diverte, mani sporche di offerte, sconfitti a braccia conserte. Propaganda, propaganda. Scostala, coraggio, dietro ci siamo noi, essere umani. Voi che vi fate il mazzo per reggere il pupazzo, la mia prigione è che non capite un ca…”. Benchè la recente operazione delle forze dell’ordine “abbia interessato tre zone diverse del territorio, sui giornali sono stati sbattuti solo i mostri del Pilastro”, sottolinea Francesca Fortuzzi di Potere al popolo, consigliera di Quartiere al San Donato-San Vitale e residente della zona.
“Nonostante sia tutto ancora incerto, nella ridente e gentrificata Bologna- continua Fortuzzi- sembra diventata consuetudine inaugurare le passerelle elettorali gettando fango su persone povere ed immigrati”. Ancora una volta “i membri della famiglia Labidi, vittima della famosa citofonata dello sciacallo Salvini durante la campagna elettorale regionale del 2020- afferma la rappresentante di Potere al popolo- subiscono l’abuso securitario e l’ennesimo tiro al piattello sulla pelle di chi è più fragile. Enorme è la confusione tra giustizia e circo della propaganda mediatica”. Al Pilastro e negli altri quartieri della città “abbiamo bisogno di progetti di benessere sociale realmente risolutivi e non di inutili politiche securitarie già dimostratesi inefficaci“, afferma Fortuzzi. “Lavoro, salari dignitosi, servizi pubblici efficienti, case a prezzi calmierati di affitti ed utenze: questo è il minimo sindacale che un’amministrazione veramente capace dovrebbe garantire alla popolazione”, continua Fortuzzi. Palazzo D’Accursio “dovrebbe affrontare i problemi sociali del Pilastro- conclude Fortuzzi- invece di chiudersi a riccio ogni volta che vengono nominati, nascondendosi dietro l’elenco dei progetti destinati alla filiera delle associazioni amiche in quartiere”. Sempre per Potere al popolo, aggiunge Riccardo Rinaldi: “Soprattutto di questo quartiere ci si ricorda solo nel momento in cui si può fare scena e si può criminalizzare, mentre c’è bisogno di un percorso che parli di socialità, opportunità e possibilità per tutti”.
ACER: NESSUN ACCANIMENTO SU FAMIGLIA YAYA, MA ATTO DOVUTO
Il provvedimento di decadenza dall’alloggio “è un atto dovuto da parte dell’Azienda casa, preso a seguito dei fatti del 2021 che hanno visto coinvolta la signora”, Caterina Razza, intestataria dell’alloggio e alcuni dei suoi famigliari sulla base della legge regionale che prevede questa misura qualora il nucleo familiare “abbia adibito l’alloggio a scopi illeciti o immorali ovvero abbia gravemente contravvenuto al regolamento d’uso degli alloggi”. Ma Acer dice che non si poteva né doveva fare diversamente: “Nel caso specifico la flagranza del reato è comprovata dai verbali di Polizia e da una successiva condanna penale. La locataria aveva fatto opposizione contro il provvedimento di Acer ma il giudice del Tribunale civile ha ritenuto di dare ragione ad Acer. Non c’è quindi nessun accanimento da parte di Acer, ma soltanto l’applicazione della legge”.
(Dire)