“Non interpretate le parole delle vittime di violenza”: se il magistrato ‘striglia’ gli agenti
Quando un operatore di polizia raccoglie la denuncia di violenze o di maltrattamenti, “quella cosa dev’essere scritta così come viene raccontata”: dunque niente “perifrasi o sintesi”, resistendo alla tentazione di “mettere in bella forma una deposizione frammentaria, però genuina”.
Altrimenti, “poi noi ci troveremo di fronte un testimone a cui leggeremo dichiarazioni che non sono le sue, ma quelle dell’operatore e così, anche in buona fede, ci sono testimoni che dicono: ‘È impossibile che io abbia detto una cosa del genere’“.
Il richiamo arriva da Michele Martorelli, sostituto procuratore di Bologna, assegnato al gruppo specializzato Tutela fasce deboli di via Garibaldi. Martorelli parla proprio davanti ad una platea di agenti, visto che l’intervento rientra nel convegno su violenza di genere e Codice rosso che oggi, nella sede della Camera del lavoro di Bologna, si è svolto nell’ambito del congresso provinciale del Silp-Cgil. Capita di leggere informative in cui si intuisce che l’operatore avrà pensato “ci penso io, aggiusto la deposizione in modo che diventi più comprensibile”, spiega Martorelli, tanto che in molti casi si riscontrano formule “non dico prestampate, ma routinarie”. Allo stesso modo, riferisce Martorelli, i magistrati si imbattono in frasi che contengono espressioni italiane che una cittadina o un cittadino di origine straniera difficilmente potrebbero padroneggiare. Insomma, “si faccia attenzione a cosa si scrive“, è l’appello del pm, perchè se queste indagini “partono con il piede sbagliato”, questo rappresenta “un handicap enorme”. A maggior ragione perchè quelli in questione “spesso sono reati senza testimoni” e quindi “l’attenzione con cui viene ascoltata una vittima è essenziale“.
Servono dichiarazioni “coerenti, puntuali e intrinsecamente credibili”, continua Martorelli, per evitare ad esempio che più testimonianze successive nel tempo entrino in contraddizione.
Anche perchè ci si sono anche vittime “volubili” e le ritrattazioni “non sono infrequenti”, aggiunge il magistrato, con il risultato che poi “la vittima diventa indagata di calunnia e l’imputato viene assolto”. Allo stesso modo, precisa Martorelli, prestare attenzione a queste procedure serve anche a tutelare chi viene accusato e magari è innocente.
La raccolta di dichiarazioni “va vista come momento centrale nella costruzione della prova”, continua il pm: “Al poliziotto, carabiniere o finanziere non è chiesto di fare il mediatore, di farci avere una sua idea di come sono andate le cose o giudicare l’attendibilità di una persona. Con tutto il rispetto, non gli spetta”. È bene che gli operatori “facciano bene il proprio lavoro”, ribadisce Martorelli, che per “spiegare la frustrazione del pm” richiama il caso di un uomo accusato di aver maltrattato la compagna. Avendo chiesto di sentire la coinquilina della donna, il pm racconta di aver ricevuto un rapporto con questo scambio tra operatore e testimone: “Ha mai assistito a litigi di coppia? Sì. Vuole aggiungere altro? No”. Commenta il pm: “Non so cosa avesse da fare l’operatore, ma mandarmi una sommaria informazione così, è come non averla fatta”. In conclusione, “spero di avervi dato un punto di vista che possa aiutarvi a svolgere meglio il vostro lavoro e quindi anche il nostro”, dice Martorelli agli iscritti Silp. Caterina De Luca, ispettore capo della Questura, parlando dopo il pm suggerisce “un incontro periodico con la Procura sui problemi che riscontrate”. Mentre la segretaria nazionale del Silp, Michela Pascali, dice: “È vero, ci sono errori, ma dovuti anche a carenze strutturali”.
(Dire)