14 anni dalla morte di Luigi Ciaramella: l’appello di papà Biagio

Racconta la disperazione, il dolore, la ricerca della verità, la battaglia ancora aperta per la giustizia e l’impegno per tutte le vittime della strada.

Per Biagio Ciaramella, il 31 luglio ricorre l’anniversario della morte di suo figlio Luigi, un evento doloroso, straziante, che ha cambiato la vita per sempre ed ha condannati all’ergastolo del dolore, lui e sua moglie.

“Noi genitori siamo morti insieme a lui quel 31 luglio, il nostro cuore si è spezzato e in tutto questo tempo ci siamo trascinati a vivere una vita non-vita. Non c’è consolazione per una mamma e per un papà che perdono la propria creatura, i ricordi e il dolore per la sua tragica scomparsa sono sempre presenti e ci attanagliano l’anima. Nostro figlio, Luigi Ciaramella, aveva 19 anni quando ha perso la vita a causa di un omicidio stradale, all’epoca definito omicidio colposo. Il 31 luglio del 2008 Luigi, intorno alle 7,30-7,40 di mattina, si trovava sulla strada Trentola-Ischitella, in località Madonna del Pantano, quando è rimasto vittima di un incidente. In tutti questi anni abbiamo dovuto combattere contro l’indifferenza della gente, perché molti hanno visto, molti sanno che cosa è successo a Luigi, ma non hanno mai voluto dirci nulla”.

“Sappiamo che in quel triste mattino si sono fermate sul posto alcune persone che hanno assistito all’incidente, hanno visto chi ha spostato Luigi e anche un trattore uscire da un viottolo di campagna. Nessuno, però, ha mai voluto parlare con noi. Quando, poi, lo abbiamo portato a casa nostra, tutti hanno notato che le mani di mio figlio erano rimaste nella posizione esatta di chi guida. Siamo molto amareggiati, poiché tutti sapevano ma nessuno parlava, non c’erano testimoni, nulla. Noi non abbiamo mai chiesto a nessuno di testimoniare al processo di mio figlio, ma almeno avremmo voluto che ci dicessero se quella mattina Luigi aveva chiesto della mamma, dei genitori, se avesse chiesto l’aiuto di qualcuno. Sospettiamo che dopo l’incidente Luigi sia sia svegliato e che abbia chiesto aiuto. E che due persone, di cui una di circa sessant’anni, si siano avvicinate a lui e, per soccorrerlo, lo abbiano spostato. Nel farlo, forse, hanno causato, involontariamente, la morte. Purtroppo abbiamo trovato solo indifferenza da parte di tutti. Ma tutte quelle persone che hanno deciso di farsi i fatti loro, alla fine hanno un morto sulla coscienza. Non tanto per l’incidente, ma per quello che non hanno fatto: cioè tranquillizzare la famiglia e raccontare quello che era accaduto quella mattina. La conseguenza per noi è stata che abbiamo dovuto combattere per la verità, scontrandoci anche con l’indifferenza delle istituzioni. I poliziotti della squadra volante di Aversa, che sono giunti sul posto per primi, hanno aspettato che arrivasse la Stradale di Caserta, che ha condotto le indagini e ha concluso che Luigi viaggiava da solo e hafatto tutto da solo: è sbandato ed è andato a finire contro un palo dell’Enel dopo aver percorso circa 40 metri lungo il ciglio della strada. Ma questo non è vero: il sospetto, invece, è che da un viottolo abusivo posto a circa 25 metri dall’incrocio sia uscito all’improvviso un trattore che ha tamponato mio figlio sul lato destro dell’auto, prendendo tutta la fiancata destra e la ruota. Mio figlio non ha più potuto controllare la macchina. Ecco perché aveva le mani come se stesse guidando tenendo lo sterzo”.

“Hanno anche scritto che l’impronta di una ruota sul posto dell’incidente era quella dell’auto che guidava mio figlio. Ma questo non può essere vero, poiché la traiettoria era diversa. Immaginiamo che l’impronta appartenga in realtà alla ruota del trattore. Tra l’altro, dai documenti risulta che all’inizio di luglio un trattore aveva fatto un intervento per tagliare l’erba. I poliziotti hanno scritto sul verbale che mio figlio aveva avuto un infarto e si era accasciato, andando a finire contro il palo a velocità sostenuta. Questa è una grande bugia, perché mio figlio quella strada la percorreva tutti i giorni col motorino, la conosceva bene e sapeva perfettamente come percorrerla e a quale velocità. Poi c’è un’altra cosa: mio figlio ogni mattina si incontrava con quelli che lui riteneva i suoi amici fidati. Nessuno di loro è venuto a dirci se quella mattina Luigi era con loro oppure no. Per poter arrivare a delle risposte siamo stati costretti a indagare, il che ha sommato dolore al dolore, specie ogni volta che ci siamo trovati di fronte a un muro di indifferenza. Così, a distanza di tanti anni, ci ritroviamo ancora qui a rivolgere un appello a chi ha visto, a chi sa qualcosa, di farsi avanti”.

“Purtroppo, il Pm che all’inizio si occupò del caso, ha condotto le sue indagini solo sulla base di quello che avevano riferito la polizia stradale e quella di Aversa. Non ha tenuto conto di quello che riferivamo noi genitori. Per ben quattro volte ha chiesto l’archiviazione del caso. Ma noi non ci siamo mai arresi, ci siamo opposti. In seguito, questo Pm si è trasferito a Napoli. Un altro giudice ha riaperto il caso e ha lavorato per ristabilire la verità. Ancora non si è stabilito se quel trattore abbia avuto delle responsabilità nella morte di mio figlio, ma finalmente si è cominciato a tenere conto di una cosa sulla quale si sarebbe dovuto indagare fin dal primo momento: le concause. Nel 2016 il pm ha accolto la nostra richiesta di indagare sulle concause, ha tenuto conto dei nostri dubbi sulla strada, sul viottolo di campagna, sul palo dell’Enel. Ancora oggi, dopo tanti anni, stiamo affrontando un processo, non abbiamo ancora avuto giustizia, ma non ci arrendiamo. Non abbiamo voluto una causa civile e un eventuale risarcimento, ma chiediamo giustizia per il nostro unico figlio che non c’è più. Non vogliamo i soldi sporchi di sangue, ci disprezzeremmo da soli. Vogliamo giustizia, e lotteremo contro l’indifferenza di tutti. Vogliamo capire cosa è successo quella mattina a Luigi, visto che non si sa ancora. Nostro figlio non tornerà più, è vero, ma la giustizia deve fare il suo corso. Chiedo a tutti di avere rispetto dei morti sulle strade: l’omicidio stradale non può essere una vincita al Superenalotto, non si può proporre alle famiglie un risarcimento e tentare così di chiudere velocemente i processi senza, però, dare giustizia alle famiglie e alle vittime. La giustizia deve essere al primo posto. Noi lottiamo per questo da quattordici anni, ben consapevoli che, se un giudice un giorno dovesse fare giustizia, la nostra battaglia non sarà finita, perché Luigi non tornerà più e nessuno potrà mai colmare il nostro dolore. Ora, io, Biagio Ciaramella, papà di Luigi, vorrei chiedere al primo Pm se si è mai fermato a riflettere sul fatto che, mentre lui ha archiviato per ben quattro volte il caso della famiglia Ciaramella e non è mai voluto andare oltre quello che gli hanno scritto i poliziotti della Stradale e di Aversa, un altro magistrato ha trovato le prove per tentare di dare giustizia a quel povero ragazzo morto. Quello stesso pm, quando gli ho chiesto di farmi arrestare perché tanto, dopo aver perso Luigi, non avevo più niente da perdere, mi ha risposto che già ci stava facendo un favore ascoltandoci. Oggi vorrei chiedergli se è questa la considerazione che i magistrati hanno per i cittadini italiani, per i genitori che affrontano un lutto e un dolore come il nostro. Ma lo ringrazio lo stesso per averci ascoltato. Adesso speriamo che le Istituzioni ci aiutino nelle battaglie che facciamo sui territori. Dopo la panchina dedicata alle vittime della strada donata ad Aversa, insieme alle Associazioni abbiamo presentato una richiesta a un comune vicino per donare una panchina da intitolare a Luigi. Non abbiamo ricevuto alcuna risposta, non sappiamo il perché. Come famiglia di Luigi Ciaramella vorremmo una risposta scritta per sapere se possiamo dedicare una panchina a mio figlio, se possiamo avere l’autorizzazione da parte del comune che dovrebbe, da parte sua, anche attivarsi per ottenere i fondi della sicurezza stradale”.

“Abbiamo pure sottoscritto un protocollo sulla sicurezza stradale, che purtroppo non procede come dovrebbe, ma ciò che ci preme maggiormente è conoscere i motivi per cui non abbiamo ricevuto risposta sulla panchina da dedicare a mio figlio, nonostante siano passati dieci anni dalla sua morte, ovvero quel lasso di tempo necessario per intitolare qualcosa a chi non c’è più. L’incarico del sindaco dura 5 anni, ma la nostra tragedia non finirà mai. Vorrei infine porre a tutti i sindaci campani una domanda: se le nostre sono strade colabrodo e senza alcuna sorveglianza, non vi sentite un po’ complici degli omicidi stradali che accadono?”.

Redazione

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