Dissesto idrogeologico, Federcepicostruzioni: “piani e commissariati straordinari hanno fallito”

L’approssimarsi dell’inverno e le sempre più gravi conseguenze legate al cambiamento climatico, impongono una nuova strategia contro il dissesto idrogeologico che porti finalmente al superamento di ritardi, inefficienze, mala burocrazia.

È l’appello lanciato da Federcepicostruzioni, alla luce anche di una recente deliberazione della Corte dei conti (la n. 17/2021/G del 18 ottobre scorso) che ha messo in luce le diffuse e gravi inefficienze che ancora permangono nella pianificazione, progettazione e realizzazione degli interventi di messa in sicurezza del territorio. Con conseguenze pesantissime sia in termini di vite umane, sia di risorse economiche da reperire e investire per risarcimenti e ricostruzioni.

Esondazioni e frane sono costate al nostro paese 51 miliardi di danni negli ultimi quarant’anni, con un trend in costante crescita: eppure, questo ancora non induce ad una maggiore efficienza ed efficacia dell’azione politica negli interventi di messa in sicurezza.

Nessuno, in Europa, fa peggio del nostro paese. Secondo i dati EEA (European Environment Agency) nessun paese ha pagato di più per danni legati al dissesto idrogeologico. Dopo i nostri 51 miliardi, notevolmente distanziati, ci sono la Germania che ne ha pagati 36 e la Francia, 35.

Le colpe – commenta il presidente di FedercepicostruzioniAntonio Lombardi – sono legate all’inerzia politica e alla mala burocrazia. Quanto avvenuto nelle Marche rappresenta purtroppo la prova più eclatante ed evidente: le casse di espansione del fiume Misa, che avrebbero potuto evitare quanto avvenuto, progettate nel 1985, non sono state mai completate”.

Le Marche non rappresentano purtroppo un caso unico e isolato.

Eppure, l’Italia è un Paese ad alto rischio. Il Rapporto Ispra sul “Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio – edizione 2021” evidenzia che il 93,9% dei comuni italiani è a rischio per frane, alluvioni o erosione costiera. Ben 7423 comuni, in cui vivono 2,9 milioni di abitanti con i valori più elevati di popolazione a rischio frane e alluvioni in Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Veneto, Lombardia e Liguria.

Problema di risorse? Non sembrerebbe affatto, analizzando la citata Deliberazione della Corte dei conti (cui è seguito un ulteriore approfondimento effettuato dal Servizio Studi della Camera dei deputati il 31 agosto scorso).

Il Rapporto ReNDiS 2020 evidenzia che in 20 anni la cifra stanziata dal Ministero dell’ambiente (oggi Ministero per la transizione ecologica) per far fronte al dissesto idrogeologico in Italia ammonta a quasi 7 miliardi di euro per un totale di 6000 progetti. “Poca cosa, certo – commenta il presidente Antonio Lombardi – rispetto ai 26 miliardi stimati come costo teorico per la messa in sicurezza dell’intero territorio nazionale: ma sconcerta ed allarma il dato che, di queste risorse, proprio come nelle Marche, poche siano state impegnate, pochissime cantierate ed ancor meno completate”.

I dati della Corte dei conti parlano chiaro: con il DPCM 20 febbraio 2019 è stato approvato il Piano nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico, il cosiddetto ProteggItalia con risorse disponibili per il triennio 2019-2021 pari a circa 10,9 miliardi di euro.

Avrebbe dovuto “rispondere all’esigenza di coordinare in un piano pluriennale i diversi programmi di contrasto al dissesto idrogeologico”. Secondo quanto indicato nel comma 3 dell’art. 1 del DPCM 20 Febbraio 2019, il Piano “persegue l’obiettivo della formazione di un quadro unitario, ordinato e tassonomico degli interventi, concernenti l’assunzione dei fabbisogni, la ripartizione relativa ad ambiti e misure di intervento; la sintesi delle risorse finanziarie disponibili; la ripartizione dei carichi operativi e il piano delle azioni; il sistema di governance e delle collaborazioni istituzionali; il cronoprogramma delle attività; i risultati attesi, anche in termini di impatti e benefici sociali ed economici, criteri più trasparenti di selezione degli interventi; un sistema di reporting, monitoraggio e controllo di gestione, opportunamente potenziato, anche mediante alimentazione e integrazione delle banche dati esistenti”.

A oltre tre anni di distanza da quel decreto, non possono che ritenersi apertamente falliti quasi tutti gli obiettivi indicati” commenta amaramente il presidente Antonio Lombardi. Il Piano stanziava 14,3 miliardi di euro in 12 anni, fino al 2030, ed era strutturato in ambiti, misure di intervento e azioni. “Di queste – aggiunge ancora il presidente Lombardi – molte rimangono ancora sulla carta, a partire da quei 10,383 miliardi che il Piano ProteggItalia presumeva di impiegare nel primo triennio, fino al 2021”.

Il primo caso emblematico attiene alle risorse finanziarie che il Piano mette nella disponibilità del MATTM: € 3.488.155.169,48 stanziate fino al 2030, delle quali

  • € 320.317.260,00 nel 2019
  • € 242.854.047,00 nel 2020
  • € 285.863.123,00 nel 2021

per interventi ritenuti immediatamente cantierabili.Nel monitoraggio effettuato dalla Corte dei conti risulta però che degli oltre 320 milioni della dotazione finanziaria 2019, (destinati a finanziare 263 interventi), il ministero ha anticipato alle Regioni meno di 190 milioni. Non si ha notizia dei saldi, a riprova che quasi tutti gli interventi attendono ancora un completamento (quando non addirittura l’avvio o la messa a bando).

Anche la Campania è ferma ad anticipazioni per meno di 10 milioni di euro per la realizzazione di 22 interventi, per complessivi 16,3 milioni.

L’analisi assume connotazioni ancor più gravi e paradossali relativamente all’impiego delle risorse comunitarie, pure confluite nel Piano ProteggItalia, che prevedono importanti asset di intervento per interventi contro il dissesto idrogeologico. Molte misure legate alla programmazione 2018-2021 registrano pagamenti fermi addirittura al 10%. È il caso ad esempio del Fondo Investimenti, della Sottomisura 4.3 del PSRN 2014-2020 e del Sottopiano 2 del FSC 2014-202 POA: oltre 800 milioni di euro per il finanziamento di 71 interventi, impegnati per appena il 17%.

Ma i dati più allarmanti e fallimentari – dichiara ancora il presidente di Federcepicostruzioni Antonio Lombardi – riguardano i programmi finanziati nell’ambito dei vari Patti per lo Sviluppo siglati con Regioni e Città metropolitane, e finanziati con il Fondo Sviluppo e Coesione 2014-2020. Parliamo sempre di interventi destinati specificamente al dissesto idrogeologico. Sono quasi tutti rimasti sulla carta. Il monitoraggio della Corte dei conti rileva pagamenti fermi a 19,2 milioni di euro, a fronte del miliardo e 851 milioni di risorse assegnate, e dei 190 milioni impegnati. È il dato forse più rappresentativo dell’andazzo di questo Paese: quasi due miliardi di risorse disponibili, appena il 10% impegnato e, di questo 10%, appena il 10% effettivamente pagato. Risorse insomma rimaste sulla carta o nei cassetti, mentre i fiumi esondano e le montagne franano”.

Il Patto per Campania assegnava alla nostra regione 346,4 milioni di euro: ne risultano impegnati appena 7,8, quasi totalmente utilizzati. Poco più del 2% del totale.

Non molto diversa la situazione per quanto riguarda le risorse FESR 2014-2020. Anche in questo caso a due anni dalla chiusura della programmazione, i pagamenti sono fermi al 24,6% e gli impegni a meno della metà (47,3%), con la Campania abbondantemente in ritardo rispetto al già pessimo trend nazionale (impegni fermi al 24%; pagamenti al 17,7%).

Da tutto quanto sopra – conclude la Corte dei conti nella più volte richiamata Deliberazione – emerge con evidenza che il Piano non ha unificato i criteri e le procedure di spesa; non ha risolto il problema dell’unità del monitoraggio, né individuato strumenti di pianificazione territoriali efficaci in grado di attuare una politica di prevenzione manutenzione. Permane la lentezza nell’adozione sia dei processi decisionali che di quelli attuativi, spesso condizionati da lunghi processi concertativi nazionali e locali”.

Il PNRR – conclude il presidente di Federcepicostruzioni – destina ora ulteriori importanti risorse alla messa in sicurezza del territorio: l’auspicio è che le regole stringenti europee costringano a rivedere l’intero piano regolatorio e normativo, con un programma di riforme serio ed articolato che ridefinisca e accentri le competenze, evitando sovrapposizioni e accavallamenti, riduca le autorizzazioni delle Sovrintendenze soltanto ai siti storici e archeologici o alle aree di grande valenza naturalistica e ambientale; e soprattutto doti le amministrazioni competenti dei profili tecnici necessari per la pianificazione progettazione degli interventi. Un piano di riforme che cancelli, finalmente, onerosi e infruttuosi commissariati straordinari, task force, tavoli di concertazione e Piani straordinari che, come insegna la storia, troppo spesso a causa delle criticità vere, mai affrontate, si sono tradotti in inutili e beffardi libri dei sogni”.

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